Rimini (RN) - Marina Centro
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PARROCCHIA S. GIROLAMO

UN INCONTRO UMANO IMPREVISTO. LA SCOPERTA CHE L'ALTRO E' UN BENE

Incontro con il prof. Wael Farouq mercoledì 29 novembre ore 21 nel Teatro parrocchiale di San Girolamo.

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UN INCONTRO UMANO IMPREVISTO. LA SCOPERTA CHE L'ALTRO E' UN BENE

Incontro con il prof. Wael Farouq mercoledì 29 novembre ore 21 nel Teatro parrocchiale di San Girolamo.

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LA CHIESA ITALIANA SOSTIENE I TERREMOTATI DEL MAROCCO

La Conferenza Episcopale Italiana esprime solidarietà alla popolazione del Marocco, colpita nella notte da un violento terremoto. Devastata in particolare la regione di Marrakech; centinaia i morti e i feriti; migliaia le persone senza alloggio e ingenti i danni materiali. Come forma di aiuto immediata, la CEI ha deciso lo stanziamento di 300mila euro dai fondi 8xmille che i cittadini destinano alla Chiesa cattolica.
È possibile sostenere l’azione di Caritas Italiana in questa emergenza, utilizzando il conto corrente postale n. 347013, o donazione on-line, o bonifico bancario specificando nella causale “Terremoto Marocco” tramite:

Banca Popolare Etica, via Parigi 17, Roma – Iban: IT 24 C 05018 03200 00001 3331 111
Banca Intesa Sanpaolo, Fil. Accentrata Ter S, Roma – Iban: IT 66 W 03069 09606 100000012474
Banco Posta, viale Europa 175, Roma – Iban: IT 91 P 07601 03200 000000347013
UniCredit, via Taranto 49, Roma – Iban: IT 88 U 02008 05206 000011063 119

FESTA DI SAN GIROLAMO: SABATO 30 SETTEMBRE

Siamo tutti invitati personalmente alla Festa parrocchiale di San Girolamo che si svolgerà Sabato 30 settembre, un invito da estendere a tutti gli amici e conoscenti:

Download Volantino_per_la_Festa_di_San_Girolamo_30.09.23.pdf

MEETING 2023: SEGNALAZIONE DI ALCUNI INCONTRI

Cari amici nel pdf che si può scaricare cliccando sul seguente link potete trovare la segnalazione di alcuni incontri tra i tanti proposti al Meeting di Rimini, ai quali con chi desidera potremo partecipare assieme.

Nello stesso pdf trovate in fondo il link per vedere la presentazione di tutte le Mostre presenti al Meeting che pure potremo visitare assieme.

Download ALCUNI_INCONTRI_PROPOSTI_AL_MEETING_DI_RIMINI.pdf

PREGHIERA PER LA PACE COL NOSTRO VESCOVO NICOLÒ

Venerdì 21 alle ore 21 con partenza da piazzale Kennedy e conclusione sulla spiaggia.

IL SENTIMENTO DELL’IRA DA PASSIONE A PECCATO

Giovedì 20 luglio 2023, ore 21 nella chiesa parrocchiale di San Girolamo

Relazione a cura di Marinella De Luca
Musiche e canti a cura di Elena Magnani



MERCOLEDÌ 12 LUGLIO ORE 21 IN TEATRO: "IL DIARIO DI SANDRA"

Mercoledì 12 luglio ore 21 nel nostro Teatro di San Girolamo sarà proiettato il docufilm di Kristian Gianfreda sulla Beata Sandra Sabattini, dal titolo: Il Diario di Sandra.
Al termine dialogheremo col nostro vescovo Nicolò e con Stefano Vitali.

Scarica la locandina invito:

Download Locandina_docufilm_sulla_Beata_Sandra.pdf

ORARI DI APERTURA DELLA CHIESA IN LUGLIO E AGOSTO

In luglio e agosto la chiesa di San Girolamo sarà aperta tutti i giovedì sera dalle 21 alle 22.30

Scarica il pieghevole con gli orari delle celebrazioni e di apertura di chiesa e cripta;

Download Pieghevole_estate_2023_per_sito.pdf

CAMBIO DELL'ORARIO DELLA PRIMA MESSA DOMENICALE E FESTIVA

CAMBIA L'ORA DELLA PRIMA MESSA DOMENICALE E FESTIVA:
ALLE ORE 8:30

«UNA CHIESA INQUIETA IN ASCOLTO DI UN’UMANITÀ FERITA»

«UNA CHIESA INQUIETA IN ASCOLTO DI UN’UMANITÀ FERITA»
Il Discorso di Papa Francesco ai referenti del cammino sinodale

Il Papa ha incontrato i referenti diocesani del cammino sinodale italiano assieme ai vescovi, mettendo in evidenza come il neoclericalismo autoreferenziale sia la tentazione più pericolosa per la Chiesa e per lo stesso processo sinodale:

«A volte si ha l’impressione che le comunità religiose, le curie, le parrocchie siano ancora un po’ troppo autoreferenziali. E l’autoreferenzialità è un po’ la teologia dello specchio: guardarsi allo specchio […] Sembra che si insinui, un po’ nascostamente, una sorta di “neoclericalismo di difesa” – il clericalismo è una perversione, e il vescovo, il prete clericale è perverso, ma il laico e la laica clericale lo è ancora di più: quando il clericalismo entra nei laici è terribile! –: il neoclericalismo di difesa generato da un atteggiamento timoroso, dalla lamentela per un mondo che “non ci capisce più”, dove “i giovani sono perduti”, dal bisogno di ribadire e far sentire la propria influenza». È una preoccupazione che si può ritrovare in tantissimi suoi interventi, dalla Evangelii gaudium, documento programmatico del pontificato, alla Lettera alla Chiesa tedesca del 2021 circa il «nuovo pelagianesimo» secondo il quale si pensa di risolvere i problemi «con riforme puramente strutturali, organiche o burocratiche».

Dalla «teologia dello specchio» ci mise in guardia già Joseph Ratzinger intervenendo al Meeting di Rimini nel 1990, quando disse che l’attivismo ecclesiocentrico è precisamente «uno specchio che riflette solamente se stesso», riducendosi a «una finestra che, invece di consentire uno sguardo libero verso il lontano orizzonte, si frappone come uno schermo tra l’orizzonte e il mondo, perdendo così il suo senso».
Francesco in un suo recente messaggio ha riproposto un passo di questo intervento in cui Ratzinger sottolinea «l’idea ingannevole che una persona sia tanto più cristiana quanto più è impegnata in strutture intra-ecclesiali». In questa direzione si può cogliere quanto sia opportuno e decisivo il costante richiamo del nostro vescovo Nicolò al fatto che «i missionari sono i giovani e gli adulti che vivono nei loro luoghi di lavoro, in famiglia, e nei vari ambienti di vita e che proprio lì, grazie al loro battesimo, sono chiamati ad essere testimoni del Vangelo, sapendo dare ragione della speranza che è in loro».
Ma cosa ci permette realmente di uscire dai nostri recinti? Occorre l’esperienza di uno sguardo capace di abbracciare integralmente la nostra umanità rispetto al quale mettersi in discussione non a partire dal proprio ruolo nella “struttura clericale” ma come uomini e donne leali con le esigenze del proprio cuore, verificando la nostra fede nell’incontro con tutti i fratelli e le sorelle del nostro tempo.
Ciò che siamo chiamati a riscoprire anche attraverso il percorso sinodale non può, infatti, essere riservato ai circoli chiusi formati dai «capi di una parrocchia», poiché chi ha veramente a cuore la propria umanità può essere attratto solo da un’esperienza che sia per «tutti: giusti, peccatori, sani, malati, tutti, tutti, tutti». Se non è per tutti non è vera per nessuno.
Nell’aula Paolo VI il risuonare dell’insistenza del Papa – «tutti, tutti, tutti» – ha innanzitutto espresso un abbraccio commosso alla nostra stessa «umanità ferita, ma, nel contempo, bisognosa di redenzione».
Si tratta di una sfida laica rivolta ad ognuno di noi – preti, operatori pastorali, credenti e non credenti – a riconoscere e seguire uno sguardo umano capace di comprendere fino in fondo questa nostra «ferita». Non sarà una «Chiesa appesantita dalle strutture, dalla burocrazia, dal formalismo» a poter vivere la storia presente all’altezza di questa sfida ma «una Chiesa “inquieta” nelle inquietudini del nostro tempo», fatta di uomini e donne disposti a «raccogliere le inquietudini della storia e a lasciarsene interrogare».
Nella visita alle famiglie in occasione della Pasqua come a scuola e in vari rapporti inaspettati di questo tempo, mi sono reso conto dell’urgenza, per la mia stessa vita, di condividere l’inquietudine della domanda di chi si incontra, per poter andare a fondo della mia umanità. Questi incontri “casuali” sono per me determinanti al punto da non poter descrivere l’incremento di una familiarità con Dio se non a partire da ognuno di questi volti, da alcuni ragazzi a scuola che hanno parlato dell’ora di religione come «un luogo in cui poter parlare di noi ed essere ascoltati» a una donna incontrata poco prima della sua morte, per il modo in cui mi ha ospitato, volendo condividere le domande provocate dalla sua malattia, cercando un abbraccio umano che la ospitasse a sua volta senza scartare nulla del dramma dell’esistenza.
Più di una volta altri amici, certamente distanti dai luoghi clericali ma, almeno per un istante, attratti da una diversità umana che li interpella, mi hanno detto di riconoscere nella Chiesa «un luogo dove poter porre domande».
Ogni incontro può allora diventare come quello di Gesù con la donna samaritana nel quale innanzitutto Cristo ha sete della sete di lei, del suo bisogno, del suo desiderio a cui neppure cinque mariti potevano rispondere. Il clericalismo autoreferenziale è così superato in un «corpo a corpo», secondo un’efficace espressione dello stesso Francesco, avendo sete della domanda di chiunque si incontra per poter riscoprire continuamente l’origine di quell’umanità che li colpisce e che siamo i primi ad aver bisogno di tornare ad accogliere.
Francesco invita a lasciarsi spiazzare «dall’opera che lo Spirito Santo va realizzando» poiché «è Lui il protagonista del processo sinodale, Lui, non noi!». Si tratta di lasciarsi mettere in discussione da un «disordine» che lo Spirito provoca, per sperimentare «un’armonia» ben diversa «dall’ordine che noi potremmo fare da noi stessi», sapendo ascoltare, come il Papa stesso ha detto nel suo ultimo viaggio in Ungheria, «le domande e le sfide senza paura o rigidità», cercando la sete anche nel deserto e accogliendo i «nuovi germogli» nei quali rifiorisce inaspettatamente l’esperienza cristiana.


don Roberto Battaglia
www.newsrimini.it del 30 maggio 2023

Clicca sul link per leggere su Newsrimini:
https://www.newsrimini.it /2023/05/come-superare-il-neoclericalismo-una-riflessione-sulle-parole-di-papa-francesco/

CORPUS DOMINI - GIOVEDÌ 8 GIUGNO ore 20.30

GIOVEDÌ 8 GIUGNO: PROCESSIONE DEL CORPUS DOMINI

Ore 20.30 Santa Messa presieduta dal nostro Vescovo Nicolò nella chiesa di S. Agostino;

seguirà la Solenne Processione col SS. Sacramento

che si concluderà al Tempietto di S. Antonio in piazza Tre martiri

in occasione dell'Ottocentenario della presenza di S. Antonio a Rimini.

800 ANNI DI S. ANTONIO A RIMINI

Per scaricare il depliant con tutte le iniziative per l'Ottocentenario della presenza di S. Antonio a Rimini clicca sul link seguente:

https://www.sangirolamo.org/resources/70Pieghevole%20Miracoli%20Antonio%20800%20A4%20programma-1.pdf

Download 70Pieghevole_Miracoli_Antonio_800_A4_programma-1.pdf

GLI INTERVENTI DEL PAPA DELLA CEI E DEL NOSTRO VESCOVO SULL'ALLUVIONE

Il dolore di Francesco è enorme, quanto smisurata è l’entità dell’“impressionante disastro” che si è abbattuto in questi giorni sull’Emilia Romagna, flagellata da alluvioni ed esondazioni, con un drammatico bilancio di nove morti, un numero non definito di dispersi, oltre 20 mila sfollati e danni economici incalcolabili.

Mentre è ancora in atto l’allerta meteo rossa, il Papa invia un messaggio di vicinanza e preghiera al cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei e arcivescovo di Bologna, città dove la situazione è in netto peggioramento.

Preghiere per le vittime e tanti "grazie" ai soccorritori
“Informato del violento nubifragio abbattutosi sulla regione dell’Emilia Romagna, specialmente sulle province della parte orientale”, si legge nel telegramma a firma del sostituto della Segreteria di Stato, monsignor Edgar Peña Parra, Papa Francesco incarica Zuppi di farsi “interprete presso congiunti e amici delle vittime dei suoi sentimenti di viva partecipazione per l’impressionante disastro” che ha colpito il territorio. In particolare, il Papa assicura “preghiere di suffragio per i defunti” ed esprime il suo cordoglio ai familiari, poi “invoca da Dio conforto per i feriti e consolazione per quanti soffrono conseguenze per la grave calamità”.

Non manca Papa Francesco di ringraziare “tutti coloro che in queste ore di particolare difficoltà si stanno adoperando per portare soccorso e alleviare ogni sofferenza”, come pure “le comunità diocesane per la manifestazione di comunione e fraterna vicinanza alle popolazioni più provate”. A tutti Francesco invia “la benedizione apostolica in segno di particolare vicinanza spirituale”. Alle preghiere del Papa – si legge nel telegramma – si aggiunge anche la partecipazione del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, e quella “personale” di Peña Parra che assicurano “un ricordo orante”.​

Va ricordato che già mercoledì 17 maggio la presidenza della Conferenza episcopale italiana aveva diffuso un comunicato in cui assicurava, a nome dei vescovi di tutte le regioni d’Italia, “il ricordo nella preghiera per le vittime, i dispersi e tutte le famiglie coinvolte”. La Cei ha invitato tutte le diocesi, le parrocchie, gli istituti religiosi “a pregare e a farsi prossimi agli abitanti dei territori provati dalle alluvioni e dalle esondazioni dei fiumi”.

La Presidenza della Conferenza Episcopale italiana ha disposto un primo stanziamento di un milione di euro dai fondi dell’8xmille che i cittadini destinano alla Chiesa cattolica, per far fronte alle necessità della popolazione colpita dall’ondata di maltempo che sta flagellando l’Emilia-Romagna. “Vogliamo esprimere, anche con questo gesto concreto, la prossimità della Chiesa in Italia alle tantissime persone che, a causa dell’alluvione e delle esondazioni, sono sfollate, avendo perso tutto o molto", afferma il Cardinale Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI. "Continuiamo a farci prossimi e a pregare per quanti, in questo dramma, hanno perso anche la loro vita. Siamo grati alle diocesi, alle parrocchie, agli istituti religiosi che non hanno lasciato sole le comunità dell’Emilia-Romagna”.

Dichiarazione del Vescovo di Rimini:
“Esprimo tutta la mia vicinanza e invio la benedizione a nome di tutta la Diocesi di Rimini a tutti coloro che sono stati colpiti dai violenti nubifragi di questi giorni.
Ringrazio tutti coloro – enti, istituzioni, volontari – che si sono messi a servizio e a disposizione e si sono prodigati in queste ore difficili e drammatiche per intervenire, aiutare, collaborare, porre rimedio ai danni causati dal maltempo.
Nelle prossime ore, quando l’allerta meteo sarà terminata ma la popolazione colpita da questa grave calamità dovrà affrontare nuovi e importanti sforzi per ripartire, credo che questa bella e necessaria solidarietà e fraternità debba continuare ad esprimersi.
Un caro augurio a tutti”.

L'INCONTRO CARNALE CON GESÙ RISORTO. COMMENTO A Gv 20, 19-31.

Commento di don Roberto Battaglia per la trasmissione
“Una Parola per Domenica” di IcaroTV

Letture della II Domenica del Tempo di Pasqua, 16 aprile 2023
At 2,42-47; Sal 117 (118); 1Pt 1,3-9; Gv 20,19-31

Oggi la liturgia ci presenta l’esperienza dell’Apostolo Tommaso, il quale, dopo aver udito la testimonianza degli altri discepoli – «Abbiamo visto il Signore!» (Gv 20, 25), la stessa espressione utilizzata da Maria Maddalena: «Ho visto il Signore!» (Gv 20, 18) – reagì: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo» (Gv 20, 25). Tommaso non sbaglia nel voler vedere la carne del Risorto per credere. Gesù stesso, infatti, mostra la carnalità della sua presenza, ovvero le mani, i piedi e il fianco dove erano ben visibili le ferite della crocifissione (cfr. Gv 20,20), invitando a guardare e toccare, sottolineando che non è un fantasma ma è presente in carne ed ossa, risorto nel suo vero corpo, giungendo perfino a farsi dare del pesce arrostito e mangiandolo davanti a loro (cfr. Lc 24, 39-43).
Cristo è effettivamente presente in carne ed ossa, la Risurrezione avviene nel suo vero corpo, dunque riguarda la materialità della nostra vita. Tuttavia non è un uomo semplicemente ritornato come prima della morte. Gesù parla e mangia con i discepoli (cfr. Gv 21, 9-14) ma sovente non viene immediatamente riconosciuto (cfr. Lc 24, 16; Gv 21,4), sparisce dalla loro vista (cfr. Lc 24, 31) o compare improvvisamente tra loro mentre sono chiusi nel cenacolo (cfr. Gv 20, 19.26). La Risurrezione di Cristo è un fatto che riguarda l’ordine storico e fisico (cfr. il Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 643) ma al tempo stesso non rimane imprigionato in quel momento, attraversa il tempo e lo spazio mutando la realtà stessa, che, in ogni particolare ed in ogni circostanza, sarà sempre segnata dalla Sua Presenza (cfr. CCC, nn. 646-647).
Neppure per i discepoli è scontato il riconoscimento del Risorto ed i racconti evangelici non omettono nulla della loro incredulità iniziale. Questo ci mostra che agli Apostoli, alla Maddalena e a tutti i testimoni della Risurrezione di Cristo (San Paolo in 1Cor 15,6 afferma che Gesù «apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta») non è stato risparmiato nulla del dramma che viviamo noi ed evidenzia, al tempo stesso, che a noi è offerta la stessa esperienza nuova del loro rapporto con Gesù risorto, cui possiamo partecipare integralmente.
Quante volte mi sento dire: «per i discepoli era diverso, avevano Gesù presente con loro». Ma anche loro devono compiere un passaggio, poiché Gesù è sempre lo stesso in carne ed ossa ma, contemporaneamente, «Egli è anche il Nuovo, Colui che è entrato in un genere diverso di esistenza» (J. Ratzinger, Gesù di Nazareth, vol. II).
Se Cristo non fosse risorto nel suo vero corpo la Resurrezione non riguarderebbe tutti i fattori dell’umano. Senza l’incontro carnale descritto dal vangelo essa sarebbe ridotta ad una visione sentimentale, conseguente ad uno “spiritualismo” estraneo all’avvenimento cristiano. Ma se l’incontro con Gesù risorto fosse “bloccato” nei giorni delle apparizioni narrate dai vangeli e non fosse possibile oggi, sempre attraverso una realtà carnale, si ricadrebbe nel medesimo spiritualismo che svuota l’annuncio cristiano del suo contenuto essenziale.
Quando Gesù appare per la seconda volta ai discepoli e si rivolge a Tommaso – «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!» (Gv 20, 27) – lo invita a «diventare credente» ovvero a fare un percorso che sarebbe stato possibile per lui anche a partire dal volto della Maddalena o dai volti delle altre donne e degli altri apostoli che gli dicevano: «Abbiamo visto il Signore» (Gv 20,25). Non basta “vedere e toccare”, occorre la libertà di lasciarsi condurre attraverso questa realtà carnale – compromettendosi con la fragile carne dei nostri volti e dei testimoni che lo Spirito ci fa incontrare – fino a compiere tutto il percorso della ragione che, trascinata dalla libertà che aderisce, culmina nel riconoscimento della divinità di Cristo: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20, 28).
Il rapporto col Risorto è per noi reale in quella nuova modalità che lo ha reso possibile per i discepoli di Gesù come esperienza presente in ogni istante della loro vita, anche dopo quei giorni.
La contemporaneità di Cristo risorto si offre a noi anche oggi nella fragilità di un incontro umano, poiché solo in questa modalità, che implica tutta la nostra libertà e la nostra ragione, chiedendoci di comprometterci affettivamente con la sua umanità gloriosa, il rapporto con Lui può cambiarci realmente. A noi sembra sempre troppo poco questo «agire sommesso di Dio» (J. Ratzinger, Gesù di Nazareth, vol. II) ma è l’unico capace di introdurci in un’esperienza carnale del rapporto con Lui.
In questo senso occorre intendere le parole rivolte a Tommaso da Gesù: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Beati non perché sia possibile credere senza vedere e toccare la carne di Cristo, ma perché l’esperienza del vedere e toccare la carne di Cristo era già possibile nell’incontro con i suoi amici e con la Maddalena, come è accaduto a chi ha creduto ai testimoni della Risurrezione. Così è possibile per noi, perché Cristo è contemporaneo, e, attraverso fatti, avvenimenti, segni, noi possiamo attraversare tutta questa carnalità, come Tommaso ha potuto mettere il dito nelle ferite di Gesù, fino a riconoscerne l’origine in questa Presenza che accade, ora e sempre, in una carne: è la Presenza del Risorto!
Non accontentiamoci di meno tra noi rispetto alla proposta di una familiarità reale con Gesù risorto, in quella nuova modalità che i discepoli iniziano a sperimentare e che è possibile in ogni tempo e in ogni luogo, in ogni circostanza della nostra vita.

Per scaricare il testo completo in formato pdf clicca sul seguente link:

Download Commento_per_IcaroTV_alle_Letture_di_Domenica_16_aprile__II_del_Tempo_di_Pasqua.pdf

UN INCONTRO UMANO DA PERSONA A PERSONA: COMMENTO AL VANGELO DELLA DOMENICA DI PASQUA 9 APRILE 2023

Commento di don Roberto Battaglia per la trasmissione
“Una Parola per Domenica” di IcaroTV

Letture della Domenica di Pasqua «Risurrezione del Signore», 9 aprile 2023
At 10,34a.37-43; Sal 117 (118); Col 3,1-4; Gv 20,1-9

«Se Cristo non è risorto, vuota è la nostra predicazione, vuota anche la nostra fede» (1Cor 15,14). «La fede cristiana sta o cade con la verità della testimonianza secondo cui Cristo è risorto dai morti» (Ratzinger, Gesù di Nazareth, vol. II), dunque del cristianesimo non rimarrebbe nulla senza la Risurrezione.
Ma cosa intendiamo quando affermiamo che Cristo è risorto? Si tratta di un’esperienza che trascende la storia e non riguarda la carnalità del risorto e la nostra stessa umanità? Oppure all’opposto si tratta di un evento imprigionato in quel momento storico, paragonabile al ritorno alla vita di Lazzaro (Gv 11, 1-44) o del figlio della vedova di Nain (Lc 7, 11-15)?
Rudolf Bultmann ci pone di fronte a un’obiezione alla quale non possiamo sottrarci: se anche si dimostrasse la risurrezione di Gesù Cristo, «un tale miracoloso evento della natura come la rianimazione di un morto» (Nuovo Testamento e Mitologia) sarebbe in realtà un fatto irrilevante.
L’osservazione è ragionevole: come può, infatti, la rianimazione di un cadavere avvenuta duemila anni fa cambiare la mia vita oggi? Per quanto grandioso, tale evento non potrebbe certamente incidere sulla nostra esistenza presente.
La Resurrezione andrebbe quindi intesa come una realtà trascendente che non riguarderebbe la storia e la materialità della nostra vita? Come potrebbe allora riguardare la concretezza dell’umano, la fisicità della mia persona, la realtà dei miei affetti e del mio lavoro, il dramma della mia esistenza?
I discepoli devono rendersi conto di quanto accaduto in un percorso che parte dalla constatazione della tomba vuota. Perché i racconti evangelici cominciano da questo dato che potrebbe anche essere interpretato diversamente? Maria Maddalena, infatti, quando corre ad avvisare gli Apostoli dice loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto» (cfr. Gv 20, 1-2). Se però è vero che il sepolcro vuoto non costituisce una prova della risurrezione, è ancor più vero che esso è decisivo per rendersi conto che quanto accaduto riguarda il corpo di Gesù, la totalità della sua persona. Non si può dunque prescindere da esso: l’annuncio evangelico della risurrezione sarebbe negato dalla presenza del corpo nel sepolcro. I testi biblici descrivono infatti una realtà che riguarda l’ordine storico e fisico, come testimoniano i numerosi incontri dello stesso Cristo Risorto con i suoi discepoli (cfr. Lc 24, 13-43; Gv 20, 11-29.21, 1-23; Mt 28, 9-10.16-20; Mc 16, 9-18; 1Cor 15, 3-9), in momenti diversi con numerosi protagonisti, tutti inizialmente increduli, i quali riconosceranno un fatto che non avrebbero potuto neppure lontanamente immaginare e che eccedeva ogni loro precomprensione. Pietro e Giovanni videro entrambi «i teli posati là, e il sudario - che era stato sul suo capo - non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte» (Gv 20, 6-7). Il testo originale lascia pensare che abbiano visto teli e sudario collocati in modo tale da escludere il trafugamento del corpo. «Entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti» (Gv 20, 8-9).
«Vide e credette»! Inizia il percorso della ragione in cui la loro libertà sarà sfidata da un avvenimento che li trascinerà oltre ogni loro immaginazione: un’esperienza in cui il credere fiorirà sempre dal vedere con i loro occhi l’evidenza di una presenza reale. Non si tratta di un fantasma ma di un corpo vero in carne ed ossa che vincerà la loro incredulità – mai censurata dai racconti evangelici – invitandoli a guardare e toccare la sua carne (cfr. Lc 24, 37-42; Gv 20, 20.27). Al tempo stesso Gesù non è più imprigionato in una circostanza storica, ma trasforma la realtà attraversando il tempo e lo spazio (cfr. Lc 24, 31; Gv 20, 19.26).
Non c’è più circostanza o luogo che non sia segnato dalla presenza di Cristo risorto.
Gesù non è semplicemente un cadavere ritornato alla vita biologica come Lazzaro, che poi è dovuto nuovamente morire. L’incontro con il Risorto non è un’esperienza mistica ma un incontro umano con una Persona viva che si può vedere e toccare, con la quale si può ancora mangiare e bere.
La Risurrezione riguarda quindi l’ordine storico e fisico, può essere documentata da testimoni di cui possiamo verificare l’attendibilità ed al tempo stesso trascende la storia, introducendo tutta la creazione e ciascuno di noi in una nuova realtà.
Il rapporto con quell’uomo in carne ed ossa continua così ad essere contemporaneo. Per Pietro, Giovanni e Andrea, la Maddalena, Gesù rimane il loro presente, in ogni istante e in ogni circostanza. Nel suo pianto, che le impediva di vedere, Maria Maddalena sarà nuovamente sorpresa dall’incontro con la Persona amata, così l’evangelista Giovanni potrà ricordare l’ora del primo incontro - «erano circa le quattro del pomeriggio» (Gv 1, 39) – perché quello stesso sguardo continuerà a sorprendere lui e l’amico Andrea come la prima volta, in ogni momento della loro vita. Così continua ad essere il nostro presente, in ogni tempo ed in ogni luogo, con lo stesso metodo dell’inizio, apparentemente fragile ma l’unico capace di cambiare realmente il nostro quotidiano: l’incontro umano, da persona a persona, con una presenza in carne ed ossa, con cui si può mangiare e bere. In ogni istante ed in ogni circostanza, anche quando le lacrime sembrano oscurare tutto, la Persona amata può ritornare a sorprenderci.
Vivere così, correndo (Gv 20, 4), cioè essendo sempre tesi a questo incontro e mendicanti di questo volto umano, rende la vita un’avventura degna di essere vissuta.

Per scaricare il testo integrale in formato pdf occorre cliccare sul link seguente:

Download Commento_per_IcaroTV_alle_Letture_di_Domenica_9_aprile__Pasqua.pdf

ORARI LITURGIE E CONFESSIONI NEL TRIDUO PASQUALE

PARROCCHIA SAN GIROLAMO – RIMINI

6 aprile GIOVEDÌ SANTO
ore 8,00 Celebrazione delle LODI MATTUTINE e Lettura Spirituale
ore 15.30-18.30: CONFESSIONI (don Roberto e don Daniel)
ore 18,30: SANTA MESSA della «CENA DEL SIGNORE» con il rito della “Lavanda dei piedi”
ore 19.30–20.30: Dopo la reposizione dell’Eucaristia: adorazione con preghiera personale in Cripta.

7 aprile VENERDÌ SANTO Giornata di digiuno e astinenza
ore 8.00 Celebrazione delle LODI MATTUTINE e Lettura Spirituale
ore 15.30- 18,30.. CONFESSIONI (don Roberto e don Daniel)
ore 18,30: CELEBRAZIONE DELLA PASSIONE DEL SIGNORE (Colletta per la Terra Santa)

8 aprile SABATO SANTO
ore 8,00: LODI MATTUTINE e Lettura Spirituale
ore 9.00 – 12.00: CONFESSIONI (don Roberto e don Daniel)
ore 15.30–19.30: CONFESSIONI (don Roberto e don Daniel)
ore 21 VEGLIA PASQUALE
Al termine della Veglia, alle 22.30, ci scambiamo gli auguri con un rinfresco nella Sala dell’Oratorio, con una sorpresa per i bambini e i ragazzi.

9 aprile PASQUA - DOMENICA DI RISURREZIONE
ore 8,30 Celebrazione delle LODI MATTUTINE
SANTE MESSE ore 9 - 11 - 18,30

10 aprile LUNEDÌ DI PASQUA
Sante Messe ore 9 - 11 - 18,30

Per scaricare il programma completo della Settimana Santa clicca sul seguente link:

Download Settimana_santa_2023.pdf

COMMENTO AL VANGELO DELLA PASSIONE SECONDO MATTEO

Commento di don Roberto Battaglia per la trasmissione
“Una Parola per Domenica” di IcaroTV

Letture della Domenica delle Palme, 2 aprile 2023
Is 50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11; Mt 26,14-27,66

Perché Gesù è stato ucciso? Per avere affermato di essere Dio. La morte di Cristo non sarebbe neppure concepibile senza la sua pretesa divina. Se Gesù fosse stato semplicemente un maestro o uno dei tanti “falsi messia” del tempo, una seria indagine storica non potrebbe trovare ragioni alla sua uccisione.
Lo studioso ebreo Jacob Neusner, che è stato uno dei più grandi specialisti della letteratura rabbinica antica, si rapporta con grande serietà e rigore alla figura di Gesù Cristo in una disputa con Lui a partire dal Discorso della montagna riportato dall’evangelista Matteo sul quale abbiamo meditato nelle domeniche del tempo ordinario precedenti alla Quaresima. Il rabbino aiuta infatti a comprendere con chiarezza la portata della questione implicata da tale affermazione di Gesù. «Osserviamo ancora una volta quanto sia personale il centro della predicazione di Gesù: esso ruota intorno a lui e non intorno al suo messaggio. […] “Prendi la tua croce e seguimi” non equivale a dire “Studia la Torah che io insegno e che ho appreso dal mio maestro prima di me. […] E questo mi riporta alla discussione che io avrei voluto intavolare se non con Gesù quel giorno, con un suo discepolo il giorno seguente: “Il tuo maestro è Dio?” Comprendo, infatti, che solo Dio può esigere da me quello che sta chiedendo Gesù. […] Gesù avanza una richiesta che soltanto Dio fa» (A rabbi talks with Jesus).
Neusner comprende bene la centralità della persona di Cristo: Egli non propone un messaggio ma l’incontro con la sua stessa persona. La proposta di Gesù non può essere ridotta ad una esortazione etica ma è una pretesa assoluta, qualcosa che solo Dio può chiedere. Occorre che la nostra ragione si lasci sfidare e allargare da questa pretesa, così come essa emerge con chiarezza dai testi della Sacra Scrittura che la Tradizione ci consegna.
«Il sommo sacerdote gli disse: “Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se sei tu il Cristo, il Figlio di Dio”. “Tu l’hai detto – gli rispose Gesù –; anzi io vi dico: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo”. Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: “Ha bestemmiato! Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; che ve ne pare?”. E quelli risposero: “È reo di morte!”» (Mt 26, 63-66).
Non possiamo rinunciare a verificare questa pretesa nella nostra vita, poiché Cristo o è tutto o è niente, non è ragionevole accontentarsi di ridurlo al maestro di una dottrina o di una morale, come ha detto Papa Francesco nell’Udienza generale di questa settimana: «Quello che cambia una vita è l’incontro con il Signore […] Quando uno trova l’idea di Gesù rimane un ideologo del cristianesimo e questo non salva, soltanto Gesù ci salva, se tu lo hai incontrato e gli hai aperto la porta del tuo cuore. L’idea di Gesù non ti salva!» (29 marzo 2023).
È Lui in Persona che ci salva e cambia la nostra vita non un discorso su di Lui. Solo la presenza reale di Gesù Cristo ci può salvare e cambiare, non un messaggio o una morale. Dio lo si conosce in un incontro umano, l’incontro imprevisto con un uomo con cui si può mangiare e bere: questa è la «bestemmia» (Mt 26,65) per cui ogni potere, in qualsiasi epoca, vuole uccidere Cristo.
Sulla croce ritorna la tentazione su cui avevamo meditato nella prima domenica di Quaresima: «Se sei Figlio di Dio dì che queste pietre diventino pane» (Mt 4,3); «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù» (Mt 4,6); «Se sei Figlio di Dio … scendi dalla croce» (Mt 27,40);
Gesù non cede alla tentazione. Egli non mostra la sua divinità ostentando la sua potenza ma nell’obbedienza al Padre: «Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà» (Mt 26,42).
Per il modo in cui lo videro morire, colpiti dalla sua umanità, non furono gli scribi e i farisei a riconoscerlo come Dio, ma dei pagani: «Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: “Davvero costui era Figlio di Dio!”» (Mt 27,54).
Oggi come duemila anni fa, mentre le chiese si svuotano e non di rado all’interno delle nostre comunità ci si perde in autoreferenziali discussioni “sull’idea di Gesù”, non mancano uomini e donne che sono invece attratti dall’umanità di Cristo, attraverso un semplice incontro umano.
Saremo così semplici da lasciarci anche noi colpire da questa stessa umanità, per verificare realmente la sua pretesa divina?

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CENTENARIO DELLA NASCITA DI DON GIUSEPPE BONINI (1923 - 1 aprile - 2023)

CENTENARIO DELLA NASCITA DI DON GIUSEPPE BONINI
(1923 - 1 aprile - 2023)

Primo parroco di San Girolamo (1965-1998)
Sabato 1 aprile abbiamo ringraziato Dio nel Centenario della nascita di don Giuseppe Bonini, primo parroco di San Girolamo, dal 1965 al 1998.

Lo abbiamo ricordato nella preghiera in tutte le SS. Messe della Domenica delle Palme, affinché, nella Comunione dei Santi con la Beata Sandra sua nipote, possa continuare ad esserci padre, sostenendo la nostra Comunità parrocchiale e ciascuno di noi nella sequela a Cristo.

Nella foto: don Giuseppe Bonini nella celebrazione per il 70° anniversario della sua ordinazione sacerdotale (2017).

VIA CRUCIS

Venerdì 31 marzo si è svolta la Via Crucis nel piazzale Fellini, arricchita dai commenti di alcune amiche che hanno raccontato l'esperienza vissuta nei ritrovi della nostra comunità parrocchiale in questo tempo di Quaresima.

GESÙ HA SETE DELLA NOSTRA SETE

Martedì prossimo, 21 marzo alle ore 21 concludiamo i dialoghi del tempo di Quaresima chiedendoci: cosa ci è accaduto nell'incontro con le testimonianze proposte e nel confronto tra noi? Come l'esperienza vissuta ci aiuta a comprendere cosa è accaduto alla samaritana e al cieco nato incontrando Gesù e come i racconti evangelici di questi avvenimenti ci fanno prendere coscienza di quanto sta accadendo a noi?
Nel corso del nostro dialogo ci sarà un video collegamento con un operatore AVSI da poco ritornato da un viaggio compiuto in Siria accompagnando il segretario della Conferenza Episcopale Italiana, per aiutarci a capire cosa sta accadendo e come si sta intervenendo per aiutare le popolazioni colpite dal terremoto.

GESÙ HA SETE DELLA NOSTRA SETE

Martedì prossimo, 21 marzo alle ore 21 concludiamo i dialoghi del tempo di Quaresima chiedendoci: cosa ci è accaduto nell'incontro con le testimonianze proposte e nel confronto tra noi? Come l'esperienza vissuta ci aiuta a comprendere cosa è accaduto alla samaritana e al cieco nato incontrando Gesù e come i racconti evangelici di questi avvenimenti ci fanno prendere coscienza di quanto sta accadendo a noi?
Nel corso del nostro dialogo ci sarà un video collegamento con un operatore AVSI da poco ritornato da un viaggio compiuto in Siria accompagnando il segretario della Conferenza Episcopale Italiana, per aiutarci a capire cosa sta accadendo e come si sta intervenendo per aiutare le popolazioni colpite dal terremoto.

QUARTA DOMENICA DI QUARESIMA: IL CIECO NATO

Commento di don Roberto Battaglia per la trasmissione
“Una Parola per Domenica” di IcaroTV

Letture di Domenica 19 marzo, IV di Quaresima
1Sam 16,1b.4.6-7.10-13; Sal 22 (23); Ef 5,8-14; Gv 9,1-41

Domenica scorsa il racconto dell’incontro tra Gesù e la donna samaritana ci ha posti di fronte a ciò che è essenziale nel cristianesimo: l’avvenimento di un incontro. A dieci anni dall’elezione di Papa Francesco non possiamo a questo proposito non ricordare quanto affermò nella Evangelii gaudium, riproponendo a sua volta ciò che scrisse il suo predecessore nella prima enciclica: «Non mi stancherò di ripetere quelle parole di Benedetto XVI che ci conducono al centro del Vangelo: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva”» . Entrambi i documenti programmatici degli ultimi due papi partono dunque da questa affermazione.
Nel racconto evangelico della guarigione del cieco nato emergono due posizioni che proprio su questo si contrappongono: una che parte dall’avvenimento accaduto, quella del cieco che ha ritrovato la vista, e l’altra, quella dei farisei, che parte da una idea, una visione etica che deve censurare il fatto per non essere messa in discussione. Sono due modi di usare la ragione, uno che parte dall’esperienza e riconosce con povertà di spirito quanto è accaduto e l’altro che, privilegiando l’ideologia sulla realtà, deve censurare ciò che non corrisponde alla propria visione.
«Passando, vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: “Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?”. Rispose Gesù: “Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio”» (Gv 9, 1-3). La realtà è positiva ed ogni circostanza ci è data perché si affermi l’opera di Dio nella nostra vita. «Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi» (Sap 1,13).
Gesù si commuove per il nostro bisogno, che innanzitutto è quello di ritrovare la luce (cfr. Gv 9,5), per poter vedere la realtà riconoscendone il significato. «Sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: “Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe” - che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva» (Gv 9, 6-7). È sempre un particolare umano in cui il divino investe la nostra vita: quel fango formato dalla saliva del Figlio di Dio fatto uomo impastata con la terra esprime la dinamica del segno che ha il suo culmine nel sacramento. Non c’è rapporto con il Mistero di Dio se non attraverso il segno, dentro il reale, dentro le circostanze della vita, nella carne di quell’uomo.
Il miracolo non evita mai il percorso della ragione, anzi, la provoca ad una verifica svelando la posizione che assumiamo di fronte alla realtà tutta. Subito si scatenano le interpretazioni mentre il cieco che ha riacquistato la vista rende ragione di quello che ha vissuto semplicemente descrivendo l’avvenimento accaduto (cfr. Gv 9,11). Ma quel giorno era un sabato e dunque quel segno è ben più di una guarigione, implica una pretesa divina da parte di Cristo, per cui il cieco guarito viene portato dai farisei e continua a dire semplicemente quello che gli è successo: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo» (Gv 9, 15). Lui parte dal fatto, la sua ragione è sottomessa all’esperienza per dirla con le parole di Jean Guitton ed è questa apertura che gli permette di vedere – «È un profeta!» (Gv 9, 17) – mentre i farisei poggiano su un pregiudizio: «alcuni dei farisei dicevano: “Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato”. Altri invece dicevano: “Come può un peccatore compiere segni di questo genere?”» (Gv 9,16).
I farisei indagano e raccolgono testimonianze ma questo non basta perché la realtà è più grande della loro idea e non possono accoglierla: quanto più raccolgono prove tanto più si chiudono nel proprio pregiudizio. Lo interrogano di nuovo, sempre a partire dal medesimo preconcetto: «Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore» (Gv 9, 24). Lui risponde con la propria esperienza, irriducibile ad ogni potere: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo» (Gv 9, 25).
L’uomo che era stato cieco regge il confronto con i farisei facendoli andare su tutte le furie anche con l’ironia tipica dei racconti giovannei: «volete diventare anche voi suoi discepoli?» (Gv 9,27). I farisei non possono controbattere e usano la violenza dell’ideologia: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?» (Gv 9,34). Loro, anche di fronte all’evidenza, sono ciechi e non vedono, mentre l’unico che era cieco vede perché parte da un avvenimento accaduto: «Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla» (Gv 9,32-33).
Se dovessi descrivere il cammino di questi anni, in cui è riaccaduto di riconoscere nuovamente «l’amore dell’anima mia» (Ct 3,1) in modo incomparabilmente più intenso dell’inizio – ma siamo sempre all’inizio – userei le stesse parole: «Prima non vedevo e ora ci vedo».
La provocazione finale di Gesù è rivolta a ognuno di noi: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi» (Gv 9,39). L’alternativa, anche per noi ora, è tra un avvenimento e un’ideologia: ognuno può sorprendersi a giudicare cosa sta vivendo, verificando ciò che realmente ci sostiene nel vivere.

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TERZA DOMENICA DI QUARESIMA: LA SAMARITANA

Commento di don Roberto Battaglia per la trasmissione
“Una Parola per Domenica” di IcaroTV

Letture di Domenica 12 marzo, III di Quaresima
Es 17,3-7; Sal 94 (95); Rm 5,1-2.5-8; Gv 4,5-42

Gesù ha sete e chiede da bere alla donna samaritana incontrata al pozzo. Di cosa ha sete Gesù? L’evangelista Giovanni, attraverso l’ironia che spesso caratterizza la sua narrazione, riporta questo dialogo sorprendente, dalla reazione polemica della donna infastidita dal fatto che un giudeo chieda da bere a lei che è samaritana, alla provocazione di Cristo che comincia a parlarle del dono che lui può fare alla sua vita mentre lei pensa che si parli dell’acqua del pozzo. Gesù allude a molto di più: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna» (Gv 4,13-14). La donna lo sfida: «Signore dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua» (Gv 4,15).
Mi ha molto colpito un’affermazione del card. Zuppi quando, riguardo alla secolarizzazione, ha detto che «dobbiamo guardare alla sete, non lamentarci del deserto» .
Cristo, oggi come duemila anni fa, continua a cercare la nostra sete perché sa che il cuore dell’uomo di ogni tempo è definito da questo desiderio. Gesù ha sete della nostra sete ed anche nel dialogo con questa donna cerca la sua sete, come scrisse Gregorio Nazianzeno: «Gesù aveva sete di dissetare la sete di lei» . Egli vuole allargare il suo desiderio, poiché, come abbiamo visto nel racconto delle tentazioni (cfr. Mt, 4,1-11), il riscatto dell’umano comincia dall’accogliere totalmente il bisogno di cui siamo costituiti. La resistenza della donna è vinta quando Cristo all’improvviso le dice «Va’ a chiamare tuo marito» (Gv 4, 16) e lei risponde «Io non ho marito» (Gv 4, 17). Gesù, come accade sempre in tutti i suoi incontri, non le rivolge un richiamo etico ma provoca il suo desiderio: «Hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito» (Gv 4, 18).
Non era mai stata amata così neppure dai tanti uomini che l’avevano posseduta, nessuno l’aveva mai guardata con uno sguardo capace di cogliere e far emergere tutto il suo desiderio, che nemmeno cinque mariti potevano soddisfare. Di fronte a quello sguardo capace di penetrare e leggere nel suo cuore la dialettica ideologica cede di schianto. Questo invito ad allargare il desiderio, a scoprire l’ampiezza infinita della nostra sete è per tutti, di fronte alla moglie o al marito che hai accanto, di fronte al coniuge che ti ha abbandonato o che hai lasciato: in qualsiasi situazione vocazionale e affettiva ci troviamo questo sguardo è la prima urgenza per poter vivere l’amore umano a qualsiasi livello, senza dover censurare nulla di noi. Questa esperienza è da subito missionaria, senza che siano necessari lunghi e complicati corsi di formazione: la donna corre in città a dire a tutti: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?» (Gv 4, 29).
Siamo chiamati a vivere la missione così, in un «corpo a corpo» come lo chiama il Papa , certi che in ogni incontro si gioca lo stesso dramma dell’incontro tra Cristo e la donna samaritana. Di lei non si parla più nel vangelo, non sappiamo che percorso ha fatto, ma solo di questo suo primo incontro, perché il cristianesimo è innanzitutto questo avvenimento imprevisto e imprevedibile in cui lei ha scoperto uno sguardo capace di abbracciare tutta la sua umanità e si è resa conto di cosa stava cercando cambiando un marito dopo l’altro. Ha capito chi era, comprendendo di quale bisogno infinito era costituita. Se questa donna fosse andata a prendere l’acqua poco prima o poco dopo non sarebbe accaduto questo incontro, se la samaritana non avesse risposto a Gesù o avesse reagito infastidita interrompendo il dialogo non avrebbe vissuto l’esperienza decisiva della sua vita .
L’infinito si rende incontrabile nel finito, l’universale ci investe attraverso un particolare, uno sguardo umano. Anche oggi, più che mai in questo cambiamento d’epoca segnato dalla secolarizzazione, solo uno sguardo capace di far emergere e interpellare il desiderio del nostro cuore senza scartare nulla di ciò che siamo – neppure il peccato – può essere convincente e persuasivo, innanzitutto per noi.
Perché sono qui? Come potrei essere ancora cristiano e prete se non potendo tornare a incrociare nuovamente questo sguardo? Il cristianesimo non è per chi è impeccabile, ma per chi, come la donna samaritana, si lascia sorprendere e abbracciare da Colui che ha sete della nostra sete.

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GESÙ HA SETE DELLA NOSTRA SETE

GESÙ HA SETE DELLA NOSTRA SETE
“Beati coloro che hanno fame e sete della giustizia” (Mt 5,6).

MARTEDÌ 14 MARZO alle 21 nella Sala dell’Oratorio “don Bonini” a San Girolamo, dialogo con gli amici del CEC (Comunità Educanti con i Carcerati) di APG23 (Casa “Madre del Perdono” a Montefiore e Casa “Madre della Riconciliazione” - San Facondino a Saludecio).

“Gesù ha sete della nostra sete”, il suo sguardo, che cerca nell’incontro con la donna Samaritana quel desiderio infinito a cui nemmeno i suoi cinque mariti potevano rispondere, permette di guardare con tenerezza ad ogni nostra ferita.
Continuiamo il dialogo iniziato nell’ultimo incontro, per scoprire come l’esperienza che ci ha colpito domenica scorsa sia possibile in ogni situazione, anche quando tutto parrebbe perduto.