L'INCONTRO CARNALE CON GESÙ RISORTO. COMMENTO A Gv 20, 19-31.
Commento di don Roberto Battaglia per la trasmissione
“Una Parola per Domenica” di IcaroTV
Letture della II Domenica del Tempo di Pasqua, 16 aprile 2023
At 2,42-47; Sal 117 (118); 1Pt 1,3-9; Gv 20,19-31
Oggi la liturgia ci presenta l’esperienza dell’Apostolo Tommaso, il quale, dopo aver udito la testimonianza degli altri discepoli – «Abbiamo visto il Signore!» (Gv 20, 25), la stessa espressione utilizzata da Maria Maddalena: «Ho visto il Signore!» (Gv 20, 18) – reagì: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo» (Gv 20, 25). Tommaso non sbaglia nel voler vedere la carne del Risorto per credere. Gesù stesso, infatti, mostra la carnalità della sua presenza, ovvero le mani, i piedi e il fianco dove erano ben visibili le ferite della crocifissione (cfr. Gv 20,20), invitando a guardare e toccare, sottolineando che non è un fantasma ma è presente in carne ed ossa, risorto nel suo vero corpo, giungendo perfino a farsi dare del pesce arrostito e mangiandolo davanti a loro (cfr. Lc 24, 39-43).
Cristo è effettivamente presente in carne ed ossa, la Risurrezione avviene nel suo vero corpo, dunque riguarda la materialità della nostra vita. Tuttavia non è un uomo semplicemente ritornato come prima della morte. Gesù parla e mangia con i discepoli (cfr. Gv 21, 9-14) ma sovente non viene immediatamente riconosciuto (cfr. Lc 24, 16; Gv 21,4), sparisce dalla loro vista (cfr. Lc 24, 31) o compare improvvisamente tra loro mentre sono chiusi nel cenacolo (cfr. Gv 20, 19.26). La Risurrezione di Cristo è un fatto che riguarda l’ordine storico e fisico (cfr. il Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 643) ma al tempo stesso non rimane imprigionato in quel momento, attraversa il tempo e lo spazio mutando la realtà stessa, che, in ogni particolare ed in ogni circostanza, sarà sempre segnata dalla Sua Presenza (cfr. CCC, nn. 646-647).
Neppure per i discepoli è scontato il riconoscimento del Risorto ed i racconti evangelici non omettono nulla della loro incredulità iniziale. Questo ci mostra che agli Apostoli, alla Maddalena e a tutti i testimoni della Risurrezione di Cristo (San Paolo in 1Cor 15,6 afferma che Gesù «apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta») non è stato risparmiato nulla del dramma che viviamo noi ed evidenzia, al tempo stesso, che a noi è offerta la stessa esperienza nuova del loro rapporto con Gesù risorto, cui possiamo partecipare integralmente.
Quante volte mi sento dire: «per i discepoli era diverso, avevano Gesù presente con loro». Ma anche loro devono compiere un passaggio, poiché Gesù è sempre lo stesso in carne ed ossa ma, contemporaneamente, «Egli è anche il Nuovo, Colui che è entrato in un genere diverso di esistenza» (J. Ratzinger, Gesù di Nazareth, vol. II).
Se Cristo non fosse risorto nel suo vero corpo la Resurrezione non riguarderebbe tutti i fattori dell’umano. Senza l’incontro carnale descritto dal vangelo essa sarebbe ridotta ad una visione sentimentale, conseguente ad uno “spiritualismo” estraneo all’avvenimento cristiano. Ma se l’incontro con Gesù risorto fosse “bloccato” nei giorni delle apparizioni narrate dai vangeli e non fosse possibile oggi, sempre attraverso una realtà carnale, si ricadrebbe nel medesimo spiritualismo che svuota l’annuncio cristiano del suo contenuto essenziale.
Quando Gesù appare per la seconda volta ai discepoli e si rivolge a Tommaso – «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!» (Gv 20, 27) – lo invita a «diventare credente» ovvero a fare un percorso che sarebbe stato possibile per lui anche a partire dal volto della Maddalena o dai volti delle altre donne e degli altri apostoli che gli dicevano: «Abbiamo visto il Signore» (Gv 20,25). Non basta “vedere e toccare”, occorre la libertà di lasciarsi condurre attraverso questa realtà carnale – compromettendosi con la fragile carne dei nostri volti e dei testimoni che lo Spirito ci fa incontrare – fino a compiere tutto il percorso della ragione che, trascinata dalla libertà che aderisce, culmina nel riconoscimento della divinità di Cristo: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20, 28).
Il rapporto col Risorto è per noi reale in quella nuova modalità che lo ha reso possibile per i discepoli di Gesù come esperienza presente in ogni istante della loro vita, anche dopo quei giorni.
La contemporaneità di Cristo risorto si offre a noi anche oggi nella fragilità di un incontro umano, poiché solo in questa modalità, che implica tutta la nostra libertà e la nostra ragione, chiedendoci di comprometterci affettivamente con la sua umanità gloriosa, il rapporto con Lui può cambiarci realmente. A noi sembra sempre troppo poco questo «agire sommesso di Dio» (J. Ratzinger, Gesù di Nazareth, vol. II) ma è l’unico capace di introdurci in un’esperienza carnale del rapporto con Lui.
In questo senso occorre intendere le parole rivolte a Tommaso da Gesù: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Beati non perché sia possibile credere senza vedere e toccare la carne di Cristo, ma perché l’esperienza del vedere e toccare la carne di Cristo era già possibile nell’incontro con i suoi amici e con la Maddalena, come è accaduto a chi ha creduto ai testimoni della Risurrezione. Così è possibile per noi, perché Cristo è contemporaneo, e, attraverso fatti, avvenimenti, segni, noi possiamo attraversare tutta questa carnalità, come Tommaso ha potuto mettere il dito nelle ferite di Gesù, fino a riconoscerne l’origine in questa Presenza che accade, ora e sempre, in una carne: è la Presenza del Risorto!
Non accontentiamoci di meno tra noi rispetto alla proposta di una familiarità reale con Gesù risorto, in quella nuova modalità che i discepoli iniziano a sperimentare e che è possibile in ogni tempo e in ogni luogo, in ogni circostanza della nostra vita.
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