LITURGIA ECUMENICA NELLA CHIESA VALDESE
Leggi la Meditazione proposta da don Roberto nella Liturgia ecumenica celebrata nella chiesa valdese di viale Trento 61, a cui hanno partecipato un gruppo di fedeli della Parrocchia San Girolamo.
LA GIUSTIZIA SOVRABBONDANTE
Meditazione di don Roberto Battaglia nella Liturgia Ecumenica
celebrata presso la chiesa Valdese Domenica 22 gennaio 2023
Mt 5,20-25: 20Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. 21Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. 22Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna. 23Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Il nostro brano (Mt 5,20-25) va collocato nel contesto di tutto il Discorso della montagna (Mt 4,23-7,28) ed in particolare della parte riportata in 5,17-48, di cui l’affermazione del v. 20 è decisiva.
Si tratta di un tema peculiare di Matteo, quello della giustizia maggiore, o giustizia superiore, meglio ancora giustizia sovrabbondante. Il culmine di questa parte del Discorso della montagna sarà il v. 48: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli”. Le parole di Gesù in Mt 5,20 legano la sua affermazione sul compimento di 5,17 (“Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento”) con le antitesi che seguono (“Fu detto… ma Io vi dico”) che esprimono il contenuto del compimento stesso.
Da dove ha origine questa sovrabbondanza di vita che è la giustizia maggiore proposta da Gesù come dimensione determinante dell’esperienza del regno dei cieli, dunque del rapporto con la profondità del reale? Ripercorriamo alcuni dei passaggi in cui ricorre il tema della giustizia in Matteo.
1,19 - Giuseppe uomo giusto è il primo che si apre alla nuova giustizia. Era un uomo giusto ma la sua giustizia non era adeguata a comprendere quello che stava accadendo in Maria. Accogliendo Gesù ancora nel grembo della madre si apre ad una giustizia maggiore, che non annulla ma supera compiendola e portandola al suo pieno significato, l’antica giustizia.
3,15 - Gesù risponde a Giovanni che non voleva battezzarlo: “è conveniente che si compia ogni giustizia”.
5,6 - “Beati gli affamati e gli assetati di giustizia, perché saranno saziati” (la giustizia è la volontà di Dio, il Suo disegno di salvezza”). Torneremo su questa fame e su questa sete.
5,10 - “Beati i perseguitati a causa della giustizia”: si tratta dei perseguitati “a causa di Cristo” (5,11).
6,1 - “Badate di non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli”.
Non si tratta di una polemica con l’ipocrisia di scribi e farisei. Qui siamo nella prospettiva del compimento (cfr. le citazioni di compimento in Mt e il loro significato) non dell’annullamento. Scribi e farisei sono considerati modello di una osservanza della legge scrupolosa e zelante: come si può dunque superare questa giustizia?
Si tratta ancor meno di percorrere una direzione in cui il superamento lo si intende come un ulteriore sforzo etico, perché la giustizia maggiore indicata da Gesù come la condizione per “entrare nel regno dei cieli”, è totalmente altro: essa si compie in un superamento che la realizza nel suo pieno significato proprio in quanto costituisce una novità radicale irriducibile alla precedente.
La sovrabbondanza di vita che è la giustizia maggiore, superiore a quella degli scribi e dei farisei, è invece generata dall’irruzione di Dio nella nostra vita.
La nuova giustizia fiorisce, infatti, dall’accoglienza della novità costituita dall’ingresso di Dio fatto uomo nella storia, che genera un cambiamento radicale, corrispondente al cuore (inteso in senso biblico come la sede della ragione e delle esigenze fondamentali dell’uomo) più di ogni altro tentativo riconducibile ad una giustizia secondo una nostra misura ristretta. Occorre la misura sovrabbondante di Dio (circa la sovrabbondanza secondo una nuova misura cfr. Lc 6,38).
Non dimentichiamo Mt 5,6: “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia”. Chi può saziare questa fame?
È indispensabile identificare con chiarezza l’ampiezza di questa fame e di questa sete per non accontentarci della giustizia che possiamo compiere davanti agli uomini, la quale è priva della novità che il cuore umano attende, in quanto in essa replichiamo soltanto noi stessi. Ricordiamo Gv 4,1-42, la sete della Samaritana: “Gesù aveva sete di dissetare la sete di lei” dice Gregorio Nazianzeno, e solo la persona stessa di Cristo può soddisfare questa sete infinita.
Ecco il valore delle antitesi che seguono. Come sappiamo l’espressione “Fu detto” è un passivo teologico che indica l’azione di Dio, per cui il ripetersi delle antitesi con l’affermazione “Ma io vi dico” implica la pretesa di un’autorità divina da parte di Gesù e al tempo stesso la natura della giustizia superiore: non soltanto “qualcosa da fare”, ma una presenza da accogliere.
La giustizia maggiore è una Persona.
È il rapporto con la persona di Gesù a rispondere alla fame e alla sete di giustizia della nostra umanità. Solo l’incontro con Lui genera una sovrabbondanza di vita altrimenti inimmaginabile (cfr. Mc 2,12: “Non abbiamo mai visto nulla di simile”).
Non si tratta di osservare dei precetti ma di lasciare entrare nella nostra esistenza questa persona che cambia la nostra vita.
Le antitesi (vedi, ad esempio, quelle sull’omicidio e sull’adulterio) descrivono un altro modo di vivere, ovvero quella novità radicale che è una sovrabbondanza di vita, uno sguardo su di me e sull’altro che solo Cristo può portare. La moralità è lo stupore denso di attrattiva per questa sovrabbondanza di vita generata dall’accettare questo sguardo su di sé.
La giustizia maggiore è il legarsi sempre di più all’origine di questa sovrabbondanza di vita, a Colui che la genera, fino ad immedesimarsi con il suo sguardo alla donna o all’uomo che si ama, al fratello o alla sorella che abbiamo accanto, perfino al nemico.
Non è un’etica ma un’ontologia: non si tratta di “fare delle cose”, ma di entrare nel rapporto col Padre che è nei cieli, cioè nella profondità del reale, nel dialogo con il Mistero da cui siamo strappati dal nulla ora e da cui fiorisce tutta la realtà che abbiamo davanti ai nostri occhi e di cui facciamo parte. Si tratta di entrare nell’intimità col Padre che è nei cieli in un rapporto che non esclude nulla di noi e della realtà, ma ci trascina alla radice di tutto, generando in questo modo quella sovrabbondanza che è la giustizia maggiore. Da qui nascono, in modo assolutamente originale, opere nuove, un “fare” nuovo, la cui origine non possiamo mai dare per scontata, tornando a una nostra giustizia, che non ci salva dal nostro male e non risponde alla nostra sete e alla nostra fame.
Il culmine di questa esperienza è descritto in Mt 5,48: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli”. Anche qui non si tratta di una perfezione che dovremmo raggiungere col nostro sforzo morale, a prescindere da Dio ovvero riducendo la nostra esperienza a un “cristianesimo senza Cristo”. Essere perfetti come il Padre, che “fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt 5,45), significa accogliere la natura di Dio come misericordia (cfr. Lc 6,36: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso”), dunque condotti allo scopo ultimo, al vero significato della giustizia, al compimento della nostra umanità che si realizza nel lasciarci perdonare.
Quando l’autore stesso del Vangelo del compimento e della giustizia maggiore ha sperimentato tutto questo? Nel suo incontro personale con Cristo, lasciandosi abbracciare dalla misericordia con cui è stato guardato (cfr. Mt 9, 9-13).
La giustizia maggiore (sovrabbondante) è quella persona, quello sguardo di misericordia con cui siamo guardati ora e che dice anche a noi adesso: “seguimi” (Mt 9, 9).
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