LA TENTAZIONE DI UN CRISTIANESIMO SENZA CRISTO
Omelia nella XIV domenica del Tempo Ordinario
San Girolamo, 8 luglio 2018
Oggi la Liturgia ci propone il brano del Vangelo secondo Marco in cui viene descritta la prima obiezione a Gesù – che, in fondo, è lo scandalo di sempre rispetto alla sua persona, anche per noi oggi – che nasce proprio tra chi lo conosceva bene, lo aveva visto crescere e lo frequentava. Lo scandalo blocca dunque – oggi come duemila anni fa – innanzitutto coloro che pensano già di conoscere Gesù: «molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: “Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?”. Ed era per loro motivo di scandalo». (Mc 6,2-3).
Al termine dell’anno scolastico, un ragazzo senegalese di fede musulmana, il quale, pur non avvalendosi dell’IRC, rimane quasi sempre in classe per seguire le ore di religione, quando ho chiesto cosa lo avesse colpito e interessato di più delle nostre lezioni, mi ha sorpreso rispondendo: «le ferite di Gesù». Si riferiva, evidentemente, a due occasioni in cui, attraverso l’osservazione della Sindone, avevo parlato della Passione di Cristo. Un ragazzino musulmano colpito dall’umanità di Gesù! Mentre a noi capita, a volte, di fare riunioni intere senza nominare il Suo nome, senza un istante di commozione per la Sua presenza, riconosciuta e amata. Per questo il Papa parla della «tentazione di essere cristiani senza Cristo» (Omelia a Santa Marta, 27.06.13), ovvero «senza carne» (Gaudete et exsultate, 37).
Qual è la natura di questo scandalo? Non si tratta di un rifiuto teorico di Gesù, ma, più spesso di quanto possiamo rendercene conto, siamo scandalizzati dal fatto che Dio ci venga incontro in uno di noi, un uomo, con cui si può mangiare e bere, che accoglie i peccatori, prostitute e pubblicani, e sta a tavola con loro: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?» (Mt 9,11). Gridiamolo invece anche noi oggi: l’esperienza della Chiesa è generata da un abbraccio di misericordia da cui nessuno è escluso, in qualsiasi situazione si trovi! Non si tratta di una dottrina o di una legge, ma di un uomo in carne ed ossa, che entra nella nostra vita con la sua umanità, attraverso un incontro umano, un volto, uno sguardo, che ci afferra ad uno ad uno. La Chiesa non è un’azienda che organizza attività – quante volte il Papa ci ripete che non è una ONG! – ma un organismo che vive di questo contagio umano, in cui si comunica il fascino di una presenza che, sola, può attrarre davvero il cuore rendendolo libero, mentre regole e dottrine stancano e ci fanno schiavi di schemi imposti da noi o da altri.
Quello che a noi fa scandalo (cfr. Mc 6,3) è che la potenza di Dio agisca attraverso la nostra povera umanità e, di fronte alla complessità di questo “cambiamento d’epoca”, operi attraverso la fragilità di un incontro umano “casuale”, non attraverso la forza di una organizzazione che si rivolge alle masse, ma in un rapporto personale con ogni uomo e ogni donna che si incontra. Questa settimana si è rinnovata per me l’esperienza di questo sguardo umano, che ha a cuore la singola persona, in una uscita con il gruppo dei giovanissimi, che abbiamo fatto a Gabicce Monte, dormendo in tenda una notte per poi vedere insieme sorgere l’alba in uno splendido punto panoramico. Per varie concomitanze, tra cui le vacanze in famiglia per alcuni, ci siamo ritrovati con non molti partecipanti, e, per il fatto stesso di essere in pochi, altri hanno rinunciato, per cui il gruppetto si è molto ridotto rispetto ai numeri consueti dei nostri ritrovi. Con Marco, l’adulto che condivide questo lavoro educativo coi ragazzi, abbiamo deciso ugualmente di fare l’uscita, anche con pochi, poiché, ci siamo detti, «la faremmo anche per una persona sola». Proprio per questo, per me e per Marco innanzitutto, è stata un’esperienza di grandissima intensità, soprattutto nell’attesa dell’alba al mattino, quando mi sono reso conto che già la luce dell’aurora rivela una preferenza unica, per me e per te. Come il sole sorge ogni mattino così Dio ci precede ridonandoci la vita istante per istante: a un certo punto, appena levato il sole, una scia di luce sul mare pareva richiamare a questa preferenza. Sì, perché quella bellezza ci è data affinché il nostro cuore possa riconoscere Colui che ce la dona e che avrebbe fatto l’universo intero anche solo per uno di quei ragazzi, anche solo per me e per te. Marco mi ha detto di aver visto l’alba tantissime volte da piccolo, grazie alla mamma che faceva alzare presto i figli per mostrare loro questo spettacolo, ma vederla così, insieme e con questo sguardo, è tutta un’altra cosa. Appunto, uno sguardo umano che ti raggiunge ad uno ad uno, nella certezza che anche il volto di uno solo è più prezioso dell’universo intero.
Vivendo questa esperienza mi è venuto in mente il racconto di un sacerdote che, visitando una missione del PIME sul Rio delle Amazzoni, era rimasto colpito da un missionario il quale, affrontando pericoli di ogni specie nella foresta e rischiando ogni volta la vita camminando per ore e ore, andava a trovare un solo indigeno. Uno! Questo è lo sguardo di Cristo per ognuno di noi. Di fronte all’enormità dei problemi del mondo e all’urgenza della missione della Chiesa, la risposta non è nella potenza di una strategia o di un progetto, ma nel gesto con cui il missionario mette in gioco la propria vita e dedica giorni e giorni per una sola persona. A noi questa logica dell’agire di Dio scandalizza, ma è l’unica modalità con cui la nostra vita può cambiare, poiché solo l’attrattiva di uno sguardo umano, che ha a cuore me e te, può affascinarci e portare nella nostra esistenza una reale novità. Una ragazzina che ha partecipato al Campeggio della scorsa settimana descrive così l’esperienza vissuta, facendo riferimento alla “Storia della valle nella nebbia” che ci ha accompagnato: «sono uscita dalla nebbia quando, stando in silenzio nel bosco, abbiamo sentito i suoni della natura. Eravamo dodici ragazzi come gli apostoli [non è una esagerazione, perché è il medesimo incontro con la stessa umanità di Gesù di cui narra il Vangelo] e mi sono sentita una agli occhi di Dio». Una! Unica, amata, scelta, preferita. Solo così la vita cambia. Un’altra amica ha aggiunto, dopo aver osservato il cielo nell’ultima serata: «ognuno di noi è speciale come le stelle». Occorre questa semplicità e questa apertura, senza la quale Gesù non può neppure operare i miracoli (Mc 6,5). Non si tratta di espressioni poetiche o sentimentali. Me ne sono accorto ieri, parlando con una persona ammalata, poiché nel dialogo con lei era evidente che non c’è nulla di più concreto, per affrontare con gusto pieno l’esistenza, del riconoscimento di essere voluti e amati.
E noi siamo disposti a comprometterci con Dio, che sceglie di entrare in rapporto con noi attraverso l’umanità di Qualcuno con cui puoi mangiare e bere?
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