Rimini (RN) - Marina Centro
95 Voci
0541 27175
PARROCCHIA S. GIROLAMO

«CHI È PIÙ GRANDE?»

Omelia nella XIV Domenica del T. O. – San Girolamo 7 luglio2019

Francesco ha annunciato lunedì scorso che tra i santi che saranno canonizzati il prossimo mese di ottobre ci sarà anche John Henry Newman (1801-1890), sacerdote anglicano che fu accolto nella Chiesa Cattolica nel 1845 e fu creato Cardinale da Leone XIII nel 1879. Una volta un bambino chiese al cardinale, grande teologo e futuro santo: «Chi è più grande: un cardinale o un santo?». Egli rispose: «Vedi, piccolo mio, un cardinale appartiene alla terra, è terrestre; un santo appartiene al cielo, è celeste».
Che cosa realmente conta nell’esperienza ecclesiale? La santità! Non certo il ruolo nell’organizzazione ecclesiastica, le attività che possiamo pianificare e organizzare, le riflessioni clericali, ma la santità, ovvero quella vita nuova generata «dall’irruzione dell’avvenimento della Pasqua», come ha ricordato il Papa nella bellissima Lettera al Popolo di Dio che è in cammino in Germania, quella «felicità autenticamente umana e divina», la quale protegge e salvaguarda «la Chiesa da ogni riduzione ideologica», possibile per la continua «irruzione dello Spirito Santo».
Gesù lo ha richiamato agli Apostoli proprio dopo i loro primi “successi pastorali”, quando tornavano entusiasti dalla missione e dicevano: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome» (Lc 10,17). Dopo aver sottolineato il potere conferito loro, Cristo, infatti, conclude: «Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli» (Lc 10,20). Anche il potere di sottomettere Satana è ben poca cosa rispetto al fatto che i loro nomi – che i nostri nomi! – sono scritti nei cieli, ossia che siamo afferrati da Lui, che abbiamo incontrato la Sua Presenza che rinnova la vita.
Questa pienezza di vita non accade per un’attività “associativa” o “clericale”. Così la descrive San Paolo, come abbiamo ascoltato nella seconda lettura: «quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo. Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura» (Gal 6,14-15).
In questi giorni ho incontrato un ex parrocchiano di Riccione, tuttora appartenente alla parrocchia dove fui viceparroco appena ordinato sacerdote. È un uomo di novant’anni, il quale, dopo tanto tempo, mi ha ricercato riuscendo a rintracciare il mio numero di telefono, perché, mi ha detto, «mia moglie e tanti miei amici sono morti, ed io volevo rivederti perché quel Pellegrinaggio a Lourdes [andammo con un pullman di parrocchiani nell’aprile 1993, ero prete da un anno e mezzo] è stata la gita più bella che ho vissuto. Quei giorni hanno cambiato la mia vita». Si ricordava ogni particolare di quel viaggio di ventisei anni fa, in cui faceva il “chierichetto” venendo a versare il vino fatto da lui direttamente nel calice con la sua bottiglia: momenti di preghiera, processioni, persino una serata in cui guardammo la partita alla tv, facendo storcere il naso ad alcune signore devote. Lui riprendeva tutto con la video camera e mi ha fatto rivedere il filmato partendo da una Via Crucis dove io commentavo la stazione del Cireneo, dicendo che Gesù ci afferra sempre attraverso un incontro casuale. È stato impressionante: ho riascoltato quelle parole di cui sono molto più cosciente ora e che, soprattutto, potevo vedere realizzate in quell’uomo, che si iscrisse al pellegrinaggio preoccupato che si facessero troppe preghiere e che ora, dopo tanti anni, lo riconosce come un momento che ha cambiato la sua esistenza, avendo in mente tutti i particolari.
Solo di questo possiamo rallegrarci, come dice Gesù, o vantarsi, come afferma San Paolo: del fatto che Cristo ci ha presi generando un legame che dura nel tempo e per l’eternità.
Tutto il resto finisce, anche nella Chiesa. Di ogni attività non rimarrà nulla se non l’esistenza cambiata dalla presenza di Cristo. Si chiama santità, ed è l’esperienza cui ci richiama l’imminente beatificazione della nostra Sandra Sabattini. Come diceva il Beato e prossimo santo John Henry Newman a quel bambino, l’essere cardinale (ancor più tanti aspetti organizzativi e burocratici in cui riduciamo l’esperienza cristiana) riguarda la terra, ma la santità dura per l’eternità, è la “vita della vita” che comincia già ora, rendendo eterno e pieno di gusto e significato ogni istante dell’esistenza: «Rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli» (Lc 10,20).
Possiamo proporci altro? Nei nostri ritrovi possiamo mettere a tema altro che non sia la santità?
La santità, ovvero l’umanità vera, cioè la risposta alla nostra esigenza di “vita”, all’urgenza di Qualcosa o Qualcuno che la riempia davvero, che sia all’altezza del nostro desiderio, del grido che brama il senso del vivere ed emerge in ogni brandello della nostra carne ferita. Una di voi, molto giovane, il giorno del funerale di una persona cara nei giorni scorsi, è rimasta colpita da un articolo che le avevo proposto (tra l’altro ne ho consigliato la lettura anche agli amici del CPP, perché pertinente ai temi dell’ultima riunione, di cui ho fatto riferimento nell’omelia di domenica scorsa), sullo scrittore francese Michel Houellebecq, discutibile per tanti aspetti, ma con una domanda radicale sulla propria vita, che chiede una risposta totale. La giovane amica me ne ha riproposto un brano, sul quale, nei giorni successivi, abbiamo riflettuto in una colazione con altre persone della sua età: «C’è qualcosa nel fondo dell’io, che preme e pulsa per continuare a desiderare e ad attendere, a dispetto di qualsiasi ferita. Dolorosa, contorta, piantata nel nervo del nostro tempo come una spina. […] Questo qualcosa esiste, e […], nonostante tutto, non è morto: esiste, forse, illuminata a tratti, la possibilità di una via».
Questa via esiste, è un uomo col quale ci si imbatte attraverso un incontro umano casuale, oggi come duemila anni fa.
Abbiamo altro di vero da dirci? La vita è una cosa seria, a volte brevissima, un soffio: rischiamo tutto su ciò che la riempie tutta, qui sulla terra e per l’eternità!

Per scaricare il testo completo in formato pdf clicca sulla riga seguente:

Download Omelia_nella_XIV_Domenica_del_T._O.___San_Girolamo_7_luglio2019.pdf

O TUTTO O NIENTE

Omelia nella XIII Domenica del T. O. – San Girolamo 30 giugno 2019

«Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: “Ti seguirò dovunque tu vada”. E Gesù gli rispose: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. A un altro disse: “Seguimi”. E costui rispose: “Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre”. Gli replicò: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio”. Un altro disse: “Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia”. Ma Gesù gli rispose: “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio”» (Lc 9,57-62).
Gesù chiede tutto, la sequela a Lui non può riguardare solo un aspetto dell’esistenza umana: o tutto o niente. Questa radicalità che sovente ci spaventa è, in realtà, quanto di più corrispondente vi sia rispetto alla nostra umanità, che è costituita da un desiderio che chiede tutto, da una esigenza insopprimibile di significato che ci fa gridare: «Perché?».
Sono stato profondamente colpito dal fatto che questa domanda sia emersa in tutta la sua drammaticità nell’ultima riunione del Consiglio pastorale, provocati dai fatti della vita, compresa la malattia di alcune persone care.
Solo una proposta come quella di Cristo, che esige la totalità, può essere all’altezza di una domanda che chiede tutto. Questo grido – «Perché?» – non può essere soddisfatto da facili risposte, spiegazioni o definizioni, e ci provoca a non accontentarci di riduzioni del cristianesimo, siano esse formule dottrinali, atteggiamenti spiritualisti o attivisti. Lo si comprende nella propria esperienza umana, quando le formule che recitiamo nella liturgia o le idee che affermiamo, con apparente convinzione, non tengono nel momento in cui la vita “stringe” nella sua drammaticità. È una grazia scoprire, in una circostanza drammatica, come l’idea di Dio che si aveva non è adeguata e può diventare addirittura l’immagine di un “dio mostruoso” che vuole la nostra morte, o, ancora, sorprendersi a non riuscire a stare vicino a chi vive una grave malattia. È una grande opportunità per sperimentare che non ci basta una riduzione della fede a moralismi e teorie, poiché essi non reggono di fronte ai grandi interrogativi, alla grande domanda del nostro cuore: «Perché?».
L’accontentarsi di facili risposte è in realtà una fuga dalla realtà e ci allontana dalla nostra stessa umanità, rendendoci incapaci di incrociare il bisogno degli uomini e delle donne che incontriamo, perché impauriti dall’intensità della domanda del cuore umano.
Dio, invece, non ha paura, ci ricorda il Papa, Egli «ci conduce là dove si trova l’umanità più ferita e dove gli esseri umani, al di sotto dell’apparenza della superficialità e del conformismo, continuano a cercare la risposta alla domanda sul senso della vita» (GE 135).
Dio non ha paura di questa domanda, perché essa ci svela che siamo fatti a sua immagine e somiglianza. Solo il prendere sul serio questa esigenza di significato di cui siamo costituiti ci consente di essere liberi, come ci ricorda il brano di San Paolo che abbiamo ascoltato come seconda lettura (cfr. Gal 5, 1), liberi da ogni potere o condizionamento, liberi di rischiare su una proposta per la vita che sia all’altezza del nostro desiderio.
Occorre vedere una umanità che fiorisce dal giocare fino in fondo la propria libertà nella verifica di un ideale grande, come è accaduto nell’incontro pubblico dove abbiamo incontrato esperienze di accoglienza dei migranti (2 aprile), guardando dei volti, scoprendo un modo di vivere diverso o, come è accaduto nell’uscita a Padova (24 marzo), quando siamo stati colpiti da chi ci ha introdotto alla bellezza della Cappella degli Scrovegni comunicandoci un’esperienza umana attraente.
Ho bene in mente il volto di una di voi, che lo scorso anno avevo incontrato arrabbiata con Dio per un’esperienza di sofferenza grande ed ora, dopo essere venuta con noi a Padova, si ritrova cambiata, dice lei, «da quello che abbiamo vissuto e che ci siamo detti».
Non si può barare: quando succede realmente, la faccia cambia. L’ho visto accadere in diversi incontri, anche con persone giovani, in cui si è affrontata la questione decisiva della vita. Non è una definizione la risposta, ma una umanità vera, un luogo, come è accaduto anche mercoledì scorso nella riunione del CPP, in cui non prevale la preoccupazione di inculcare risposte ma di allargare le domande, un luogo di tenerezza che ama questo grido – «Perché?» – e invita a non censurare gli interrogativi e le esigenze del nostro cuore. Quando invece si tenta di far tacere questa domanda – tante volte anche le riunioni all’interno dei nostri gruppi sono caratterizzate dalla paura di mettere a tema l’interrogativo ultimo – si diventa sempre più scettici, distanti dalla vita reale e dal dramma dei nostri fratelli e sorelle.
Occorre una tenerezza verso la propria umanità, una passione per il nostro bisogno infinito, una libertà totale nello sfidarci ad andare a fondo della vita, senza accontentarci di una partecipazione formale alla vita ecclesiale, la quale, invece, ci rende pian piano cinici e disperati.
La questione è radicale: ma la vita è buona o no? È un bene che io ci sia?
Occorre, diceva un amico durante le riunione di mercoledì scorso, l’esperienza reale di un Destino buono. L’intuizione di questa umanità possibile accade sempre in un particolare, sottolineava un altro: uno sguardo, un dialogo imprevisto, un incontro inatteso, una uscita, una mostra vista assieme (come è accaduto per alcuni nel visitare la Mostra su Giobbe al Meeting dello scorso anno sulla realtà del male e della sofferenza), il lasciarsi colpire dalla richiesta di pregare insieme per gli amici ammalati, sia nelle SS. Messe festive sia partecipando al Pellegrinaggio a Loreto. Tutti particolari, fatti e incontri, che hanno mosso qualcuno di noi, a partire da uno sguardo umano che ha comunicato la bellezza del vivere, un gusto per l’esistenza che non ha bisogno di dimenticare o rinnegare nulla, in un abbraccio che ricomprende tutto e che ci unisce in una sola carne, in quanto afferrati da Cristo il quale – ricordava un altro amico durante la riunione del CPP – è vivo oggi con un “cuore di carne”.
Queste cose si capiscono se si ama la vita e se si rischia tutto nel verificare ogni proposta per l’esistenza, compresa quella di Cristo. Egli non ha paura del nostro desiderio e della nostra libertà. E tu?

Per scaricare il testo in formato pdf clicca sulla riga seguente:

Download Omelia_San_Girolamo_-_domenica_30.06.19.pdf

SUMMER GAMES #sangi19

La prossima settimana si svolgerà la terza edizione dei SUMMER GAMES con giochi gonfiabili per tutte le età:

Download Volantino_Summer_games_2019.pdf

CAMPEGGIO ESTIVO A CANCELLINO

Dal 7 al 10 luglio 2019 il Campeggio estivo a Cancellino:

Download Volantino_Campeggio_San_Girolamo_2019.pdf

Festa di S. Antonio

Sabato 15 giugno ore 18.30

UN CRISTIANESIMO SENZA CRISTO? PRESENTAZIONE DEL LIBRO

Buongiorno amici,

mi permetto di rinnovare l'invito alla presentazione del mio libro:

UN CRISTIANESIMO SENZA CRISTO?

Mercoledì 15 maggio 2019 · ore 21
Teatro del Seminario Vescovile “don Oreste Benzi” via Covignano, 259 · Rimini

Interverranno:
Ezio Prato Docente di Teologia Fondamentale presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale (Milano)
Manuel Mussoni Presidente Azione Cattolica diocesana
Mario Galasso Direttore Caritas diocesana
Modera:
Simona Mulazzani Direttore Icaro TV e Docente all’ISSR “A. Marvelli”

L'Editore mi ha detto che dovrebbero leggerlo tutti i membri dei CPP e gli operatori pastorali in genere... comincio ad invitare i miei parrocchiani alla lettura....

Si può scaricare l'invito in formato pdf:

Download Un_cristianesimo_senza_Cristo_presentazione_libro_15.05.19.pdf

ULTIMI GIORNI DELLE BENEDIZIONI PASQUALI

Lunedì 29 aprile (dalle 14 alle 19.30): DESTRA DEL PORTO (nn. 1-57).

Martedì 30 aprile (dalle 15.30 alle 20), con una pausa per la celebrazione della Messa feriale): DESTRA DEL PORTO (nn. 58-157).

Venerdì 3 maggio (dalle 14 alle 19.30): VESPUCCI 1-39 (eccetto il Palazzo Arpesella).

Lunedì 6 maggio (dalle 14 alle 19.30): VESPUCCI 40-71.

Per scaricare il programma degli ultimi giorni clicca sulla riga seguente:

Download Avviso_Benedizioni_2019_-_13a_settimana.pdf

LA NOSTALGIA DI QUALCUNO CHE C’È

Omelia nella Veglia pasquale della notte santa, San Girolamo, sabato 20 aprile 2019.

Le donne vanno al sepolcro al mattino presto (cfr. Lc 24,1), quando è ancora buio (cfr. Gv 20,1). Ognuno di noi può guardare ai drammi che sta vivendo ed alle circostanze in cui si trova, a quelle situazioni in cui – come disse il Papa in una Catechesi sul Triduo pasquale – “il buio della notte sembra penetrare nell’anima; a volte pensiamo: ormai non c’è più nulla da fare”, ma proprio in quel “momento in cui la notte è ‘più notte’, è più buia, prima che incominci il giorno” (Udienza generale, 1 aprile 2015), irrompe una luce nuova, tanto imprevedibile quanto attesa e quasi anticipata nell’aurora di quella nostalgia che non ha fatto dormire Maria Maddalena e le sue amiche. Una nostalgia che non era generata innanzitutto da un’assenza ma dall’esperienza di pienezza che avevano fatto nell’incontro con Gesù. Erano piene di nostalgia perché avevano vissuto l’esperienza di una corrispondenza con le esigenze del loro cuore come mai era accaduto nella loro vita. Per questo non avevano mai distolto lo sguardo da quell’uomo durante tutta la sua Passione, fino alla morte e al momento della sepoltura (cfr. Lc 23,49.55–56), per questo avevano vegliato nel desiderio di tornare al sepolcro: quella nostalgia non era un ricordo sentimentale ma un desiderio insopprimibile di poterlo rivedere. Una delle nostre chierichette mi ha chiesto ieri durante la Celebrazione della Passione: “noi oggi celebriamo la morte di Gesù, ma Lui c’è lo stesso vero?”. Sì è vero, Lui c’è! Lo desideriamo perché c’è! La nostalgia non è provocata da ciò che manca, ma fiorisce da ciò che accade!
Gesù c’è! L’annuncio di questa Notte è che Cristo è vivo oggi, è presente come duemila anni fa, anzi è ancora più presente – se così ci possiamo esprimere – perché il suo accadere tra noi non è più limitato nel tempo e nello spazio, è veramente morto ed è veramente Risorto, mutando per sempre la realtà: niente di tutto ciò che esiste lo possiamo pensare senza la presenza viva di Gesù, che cambia tutto.
Uno di voi – una delle persone della nostra comunità che più mi colpisce per il suo desiderio di approfondire la fede – mi ha detto durante una riunione: “Sì, certo, Cristo è presente ma… non possiamo mica incontrarlo come nei fatti raccontati dal Vangelo…”. Un’affermazione così è come la pietra sepolcrale del nostro scetticismo, per cui l’esperienza cristiana ci appare come impossibile da vivere.
Questa pietra può essere spazzata via guardando quello che ti sta accadendo: cosa sta destando questo tuo desiderio, cosa ti sta rimettendo in moto nel rapporto con Lui, cosa ti sta affascinando nel corso in preparazione al matrimonio, nel modo di parlare del rapporto tra l’uomo e la donna, nel modo di prendere sul serio la tua esperienza umana, se non la Sua Presenza viva?
È facile ritornare a quello che già pensiamo di sapere del cristianesimo, nel momento in cui pretendiamo di possedere questa Presenza che ci stupisce facendola rientrare negli schemi vecchi del “già saputo”, dei nostri procedimenti, delle regole di una Chiesa ridotta a organizzazione umana che gestiamo noi democraticamente, come un’associazione in cui ciascuno cerca di conservare il suo pezzettino di potere. La semplicità e la concretezza del vangelo sono miliardi di anni luce distanti da questa complicazione.
O parti da quello che credi già di conoscere o parti da quello che ti succede. Ma se il punto di partenza è quello che sai del cristianesimo… non è più cristianesimo, è un’altra cosa, inutile per vivere, perché il cristianesimo può essere solo un fatto che accade, un uomo vivo oggi.
Quelle donne non si sono ritrovate per discutere su come organizzare la comunità dopo la morte di Gesù, non si sono divise gli incarichi per ritagliarsi uno spazio di azione rispetto agli apostoli.
Esse non hanno mai distolto lo sguardo da quell’uomo che aveva riempito la loro vita, come nessun altro aveva mai potuto fare in tutta la loro esistenza. Non hanno mai smesso di desiderare quello che era loro accaduto, si sono lasciate sospingere dalla loro nostalgia, piene di quello sguardo, piene di un’esperienza rispetto alla quale non potevano più accontentarsi di meno. Avevano nel cuore e negli occhi il volto di un uomo che trascinava tutta la loro affezione.
Questa mattina – c’era anche padre Daniel – abbiamo fatto una colazione con alcune giovani studentesse universitarie della nostra parrocchia. A tema la nostra vicenda umana, a partire dalle ragioni per cui ci ritroviamo. Una diceva che ciò che la colpisce nei nostri dialoghi e nella comunità cristiana è che non vengono date delle risposte precostituite, che pretendano di risolvere i problemi, ma ci si aiuta a scoprire le domande vere e a mettersi in moto con la propria umanità. Un’altra condivideva il desiderio di scoprire la propria strada nello studio, nei rapporti affettivi, nel lavoro, mentre una testimoniava come i rapporti nell’esperienza cristiana sono “la sua famiglia”, dove scopri di essere accolta gratuitamente, per quella che sei.
Se tu sorprendi nella tua esperienza il momento in cui sei stato colpito dall’annuncio cristiano, puoi accorgerti che mai questo è avvenuto per l’esito di un ragionamento teorico o di una iniziativa ben riuscita, tutte cose che possono suscitare compiacimento ma non stupore.
Se qualcosa ti ha colpito e ti sta muovendo è sempre l’incontro imprevisto e imprevedibile con una umanità attraente. Una faccia, una presenza umana, un volto da seguire.
Pietro, dopo essere corso al sepolcro e aver visto, “è tornato indietro pieno di stupore per l’accaduto” (Lc 24,12).
E noi, siamo disposti a rischiare tutto su ciò che ti stupisce o preferiamo tornare indietro, facendo rientrare tutto in uno schema consolidato?
Nella risposta a questa domanda si decide la nostra esistenza.

Per scaricare il testo in formato pdf clicca sulla riga seguente:

Download Omelia_nella_Veglia_pasquale_San_Girolamo_20.04.19.pdf

ATTACCATI ALLA CARNE DI GESÙ

Omelia nella Celebrazione della Passione del Signore, San Girolamo, 19 aprile 2019

«Che cos’è la verità?», domanda Pilato (Gv 18,38).
Gesù è lì davanti al governatore romano: la verità è Lui stesso, la sua persona, quell’uomo apparentemente inerme di fronte al potere. Cristo non rende testimonianza alla verità (cfr. Gv 18,37) con un sistema di idee, ma con la sua carne: la dottrina «ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: la dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo» (Papa Francesco).
In quel volto sfigurato possiamo riconoscere la vera Bellezza, e la possiamo riconoscere nella bellezza di una umanità desiderabile, nel modo in cui l’uomo Gesù ha vissuto questa circostanza, una umanità compiuta nel suo “Sì” al Padre.
Quando tutto pare venir meno rimane solo il “Sì”, il “Sì” di Cristo al Padre, il nostro “Sì” a Gesù, il nostro “Sì” al Padre nella carne di Cristo, trascinati da questa presenza umana alla pienezza che il cuore di ogni uomo desidera. Non si tratta di un pensiero devoto, ma della realtà di una umanità che suscita un’attrattiva, per un modo diverso di vivere tutto, che segna il quotidiano, i rapporti, gli ambienti in cui si vive, la politica, l’intera storia umana. Essa non è generata da una ideologia, nemmeno dall’ideologia cristiana, ma da un fatto imprevisto e imprevedibile che inaspettatamente accade: Gesù è morto, Dio fatto uomo condivide tutta la drammaticità della nostra vicenda umana fino alla morte: non c’è circostanza e non c’è sofferenza da cui possiamo strappare via questa presenza – perfino i nostri peccati! – che cambia tutto e che non può essere scalfita neppure dal più grande tradimento.
L’alternativa è tra Gesù presente e le nostre idee su di lui: ognuno di noi, leale con le proprie domande e prendendo sul serio il dramma dell’esistenza può riconoscere di cosa ha realmente bisogno.
La tunica inconsutile di Cristo (Gv 19,23) è il segno dell’unità della Chiesa, essa indica una strada, la semplicità e la concretezza di un metodo: permanere in un luogo in cui poter stare attaccati alla carne di Gesù.

Per scaricare il testo in formato pdf clicca sulla riga seguente:

Download Omelia_nella_Celebrazione_della_Passione_del_Signore.pdf

LA MONDANITÀ SPIRITUALE E LA TENTAZIONE DI GIUDA

Omelia nella Santa Messa della Cena del Signore,
San Girolamo 18 aprile 2019

Iniziando la Settimana Santa Francesco ha ricordato «la tentazione più perfida che minaccia la Chiesa», quello che considera il pericolo più grande, ovvero «la mondanità spirituale» (Omelia nella Santa Messa della Domenica delle Palme, 14 aprile 2019).
Non si tratta dell’attaccamento ai piaceri mondani, che può ritrovarsi anche in personalità ecclesiastiche e costituisce certamente una grave tentazione, la quale, tuttavia, non sarà mai pericolosa e devastante come la mondanità spirituale, che «consiste nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana ed il benessere personale» (Evangelii gaudium, 93).
Questa sostituzione della gloria del Signore con la gloria umana, compiuta in nome di Dio stesso, allo scopo di affermare la dottrina cristiana o promuoverne i principi etici conseguenti, nell’illusione di un traguardo spirituale raggiunto con le proprie capacità, coincide con una posizione farisaica, che sottilmente cerca «i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo» (Fil 2,21. In questa direzione si pretende di realizzare la Chiesa come una realtà “perfetta”, nella quale l’organizzazione è pienamente efficiente, la dottrina e la morale sono annunciate con definizioni formalmente corrette, ma manca il cuore, ovvero la carne di Cristo, e così essa non suscita più attrattiva, poiché parla solamente di se stessa, mentre «solo una Chiesa che sa radunare attorno al “fuoco” resta capace di attirare» (Francesco, Discorso ai Vescovi USA, 23.09.15)
Questa tentazione consiste precisamente nel considerare la salvezza cristiana e la stessa costruzione della Chiesa come opera nostra, compiuta attraverso il nostro sforzo personale, lo zelo della nostra devozione o l’impegno del nostro attivismo. Possiamo ricondurre ad essa anche la posizione di Giuda, che tradisce perché deluso da Cristo, il quale non stava cambiando la società, non realizzava quella rivoluzione tanto attesa, non incideva, non appariva concreta.
Per questo lo consegna a chi voleva ucciderlo. Giuda era pieno di zelo e di passione per il messaggio di Gesù, per diffondere il quale avrebbe forse combattuto, ma Cristo non era il suo centro affettivo: al posto di questa affezione c’era il suo progetto. In questa prospettiva la Chiesa si riduce ad una organizzazione in cui non si ha a cuore l’umanità di chi si incontra, ma ci si chiude in un funzionalismo fatto di procedure e strutture che servono solo a soddisfare chi si accontenta di un ruolo: da qui nasce il clericalismo, di preti e di laici, origine delle deviazioni più devastanti.
Ma noi pensiamo davvero di costruire la Chiesa col nostro attivismo o con il nostro atteggiamento devoto? Quante volte il gergo che usiamo nelle riunioni di segreterie e commissioni è lontano dai drammi reali e dalle domande dell’umanità sofferente? Quante volte le iniziative sono fatte per soddisfare chi le pensa a tavolino e non per rispondere al bisogno dell’uomo concreto che cerca un senso per vivere, una risposta al proprio dolore, che grida, a volte in modo sorprendente e irrituale, l’esigenza di Dio? Quante volte nelle nostre riunioni è bandito il contenuto dell’annuncio cristiano, da relegarsi invece a momenti, cosiddetti, “spirituali”?
Il clericalismo non si vince distribuendo il potere nell’organizzazione ecclesiastica: troppo spesso, denuncia il nostro Papa, si è generata «una élite laicale credendo che siano laici impegnati solo quelli che lavorano in cose “dei preti”» (Lettera al Presidente della Commissione per l’America Latina, 19.03.16). Il funzionalismo, il clericalismo, così come tutte le patologie ecclesiali nascono dal dare per scontata la fede e dal pensare di fatto, come Giuda, che ci sia qualcosa di più efficace e incisivo di Cristo.
Qual è, invece, la natura autentica della Chiesa? Un uomo, Dio fatto carne, che si china a lavare i piedi a me uomo peccatore (Gv 13,1-15), che mi stima e mi ama mentre lo tradisco, che è commosso per la mia umanità bisognosa, che non ha ribrezzo delle mie ferite, che bacia la mia carne di lebbroso, che piange con me e non mi consola con delle teorie o delle spiegazioni, ma con un abbraccio. Per questo la liturgia del Giovedì santo ci propone il gesto compiuto da Gesù nell’Ultima Cena, legandolo all’istituzione dell’eucarestia e del sacerdozio.
La Chiesa non la costruiamo noi, la fa Cristo con l’umanità di chi si lascia lavare i piedi, come Pietro, che accetta, dopo l’iniziale resistenza perché vuole Gesù, e basta!
Secondo le nuove disposizioni del Papa il gruppo di coloro a cui vengono lavati i piedi è una porzione del popolo di Dio – non solamente i dodici Apostoli – uomini e donne, i quali vivono un gesto che esprime l’essenziale: Dio fatto carne che mendica il mio cuore. Si diventa protagonisti nella Chiesa non per un ruolo, non perché si diventa capi dei chierichetti o parte delle segreterie o padroni delle iniziative ecclesiastiche, non diventando preti o vescovi, ma lasciandosi commuovere da Cristo che si inginocchia davanti a noi, lasciandosi guardare da Lui, lasciandosi abbracciare e stringendo la sua carne.
Uomini e donne così possono essere fino in fondo responsabili del Popolo di Dio, non di meri aspetti organizzativi o funzionali ma della Chiesa in quanto tale. Per la mia vita e la mia stessa vocazione sono decisivi rapporti vissuti a questo livello, con amici laici, compresi diversi delle parrocchie in cui ho vissuto e vivo. È protagonista responsabile del Popolo di Dio chi, lasciandosi afferrare da Cristo vive e comunica un’umanità attraente, capace di parlare al cuore degli uomini e delle donne del nostro tempo, i quali, come noi, cercano ciò di cui abbiamo bisogno per vivere.

Clicca sulla riga seguente per scaricare il testo in formato pdf

Download Omelia_nella_Santa_Messa_della_Cena_del_Signore_-_Gioved__santo_18.04.19.pdf

SETTIMANA SANTA

Scarica cliccando sulla riga seguente il programma, con orari e celebrazioni, della Settimana Santa.

Download settimana_santa_2019.pdf

UN CRISTIANESIMO SENZA CRISTO?

Cari amici di San Girolamo,
vi anticipo che entro Pasqua sarà pubblicato un mio testo dal titolo:
“Un cristianesimo senza Cristo? Il Magistero di Francesco sulle tentazioni gnostiche e pelagiane della Chiesa di oggi”. Edizioni Itaca.
Sarà presentato pubblicamente MERCOLEDI' 15 MAGGIO, alle ore 21 nel Teatro del Seminario.
Interverranno:
Ezio Prato (Docente di teologia fondamentale presso la Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale).
Manuel Mussoni (Presidente diocesano dell'Azione Cattolica).
Mario Galasso (Direttore della Caritas diocesana e Delegato regionale delle Caritas dell’Emilia Romagna).
Modera: Simona Mulazzani, Direttrice Icaro TV.

Ve lo comunico con anticipo affinché chi desidera partecipare possa segnarlo per tempo in agenda.

COSA VINCE LA PAURA?

Esperienze di incontro con i migranti accolti nelle nostre famiglie:
Teatro parrocchiale di San Girolamo Martedì 2 aprile ore 21

INTERVERRANNO:

Mario Galasso, Direttore della Caritas Diocesana,
con la moglie Maria Laura Gualandi

Donatella Magnani, insegnante

Download Volantino_san_girolamo_A4.pdf

Visita alle famiglie per la Benedizione pasquale - dal 25 al 29 marzo

Lunedì 25 marzo (dalle 17 alle 19.30): TRIESTE e RISMONDO.

Martedì 26 marzo (dalle 15.30 alle 19.30, con una pausa per la celebrazione della Messa feriale): BORSI.

Mercoledì 27 marzo (dalle 14 alle 19.30): VIE FILZI e MONTELLO.

Giovedì 28 marzo (dalle 14 alle 19.30, con una pausa per la celebrazione della Messa feriale): TRIESTE (1-16).

Venerdì 29 marzo (dalle 14 alle 17.30): CHIESA.

Download Avviso_Benedizioni_2019_-_8a_settimana.pdf

USCITA A PADOVA: SCOPRIRE IL VANGELO ATTRAVERSO GIOTTO

Domenica 24 marzo proponiamo a tutti, dai bambini agli adulti, un'uscita a Padova incentrata sulla visita alla Cappella degli Scrovegni, dove gli affreschi di Giotto ci conducono alla scoperta della "semplicità e della concretezza del Vangelo".

Scarica il volantino in formato pdf per invitare amici e conoscenti:

Download Padova_24.03.19.pdf

Visita alle famiglie per la Benedizione pasquale: calendario della settimana dal 25.02 al 01.03

Lunedì 25 febbraio (dalle 14 alle 19.30): VIALE NAZARIO SAURO (nn. 1 - 40).

Martedì 26 febbraio (dalle 15.30 alle 19.30, con una pausa per la celebrazione della Messa feriale): VIALE PRINCIPE AMEDEO (nn. 51 - 76).

Mercoledì 27 febbraio (dalle 14 alle 19.30): PISANI.

Venerdì 1 marzo (dalle 14 alle 17.30): SUCCI - GIOIA -
DUCA D’AOSTA.

Si può scaricare l’avviso in formato pdf cliccando sulla riga seguente.

Download Avviso_Benedizioni_2019_-_5a_settimana.pdf

CALENDARIO BENEDIZIONI PASQUALI DELLA SETTIMANA

Lunedì 18 febbraio (dalle 14 alle 19.30): PRINCIPE AMEDEO (dal n. 1 al n. 34).

Martedì 19 febbraio (dalle 15 alle 19.30, con una pausa per la celebrazione della Messa feriale): NAZARIO SAURO (nn. 48- 69).

Mercoledì 20 febbraio (dalle 14 alle 19.30): CORMONS (nn. 1-57).

Giovedì 21 febbraio (dalle 14 alle 17): MONFALCONE
(solo i nn. dal 7 AL 14, che non sono riuscito a visitare il 05.02).

Venerdì 22 febbraio (dalle 14 alle 17.30): MOROSINI – ERMADA.

CALENDARIO DELLE BENEDIZIONI DELLA SETTIMANA

Lunedì 11 febbraio (dalle 14 alle 19.30): GRATTACIELO (piani dal 27° al 15° scendendo).

Mercoledì 13 febbraio (dalle 14 alle 19.30): GRATTACIELO (piani dal 14° al 1° scendendo).

Giovedì 14 febbraio (dalle 14 alle 19.30, con una pausa per la celebrazione della Messa feriale): VIALE PRINCIPE AMEDEO (35-50).

Venerdì 15 febbraio (dalle 14 alle 17.30): NAZARIO SAURO 41-47.

Per scaricare il pdf con l'avviso completo delle benedizioni di questa settimana clicca sulla riga seguente:

Download Avviso_Benedizioni_2019_-_3a_settimana.pdf

CENA DELLE PARROCCHIE DELLA NOSTRA ZONA PASTORALE

Le comunità parrocchiali della zona pastorale di "Rimini centro" (Centro storico - San Girolamo - S. Maria Ausiliatrice), si ritrovano per una cena SABATO 23 FEBBRAIO ore 19.30 nella Sala della Parrocchia San Giuseppe al Porto. € 15 adulti €5 bambini e ragazzi.
Si tratta di una occasione di condivisione dell'esperienza che stiamo vivendo nelle nostre comunità.

Scarica il volantino invito in formato pdf per tutte le informazioni e per invitare gli amici e i vicini di casa:

Download cena_zona_pastorale_A4.pdf

Calendario delle Benedizioni della settimana dal 5 al 8 febbraio

CALENDARIO BENEDIZIONI PASQUALI
DELLA SETTIMANA


Martedì 5 febbraio (dalle 14 alle 19.30, con una pausa per la celebrazione della Messa feriale): VIA MONFALCONE.

Mercoledì 6 febbraio (dalle 14 alle 19.30): PALAZZO ARPESELLA (Viale Vespucci 29).

Giovedì 7 febbraio (dalle 14 alle 19.30, con una pausa per la celebrazione della Messa feriale): VIALE CORMONS 58-87.

Venerdì 8 febbraio (dalle 14 alle 17.30): VIA LOCCHI.

Scarica il pdf col calendario settimanale delle Benedizioni pasquali cliccando sulla riga seguente:

Download Avviso_Benedizioi_2019_-_2a_settimana.pdf

COSA VINCE LA PAURA?

Scarica l'opuscolo con alcuni testi del Papa assieme a tre articoli recenti che aiutano ad un giudizio su quello che sta accadendo riguardo all'accoglienza dei migranti.

Download Quale_esperienza_pu__vincere_la_paura.pdf

Visita alle famiglie per la Benedizione pasquale - PASQUA 2019

Questa settimana comincerò la visita alle famiglie per la Benedizione pasquale, secondo il seguente programma:

CALENDARIO BENEDIZIONI PASQUALI
DELLA SETTIMANA

Mercoledì 30 gennaio (dalle 14 alle 19.30): VIA DANDOLO (dal n. 32 al n. 43).

Giovedì 31 gennaio (dalle 14 alle 19.30, con una pausa per la celebrazione della Messa feriale): VIA DANDOLO (dal n. 1 al n. 31).

Venerdì 1 febbraio (dalle 14 alle 17.30): VIALI CENTAURO e CLIMENE.

Cliccando sulla riga seguente si può scaricare il programma della settimana in formato pdf:

Download Avviso_Benedizioi_2019_-_1a_settimana.pdf

LA FEDE È UN INCONTRO, NON È UNA RELIGIONE

SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DI MARIA SS.MA MADRE DI DIO
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Basilica Vaticana, Martedì, 1° gennaio 2019

«Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori» (Lc 2,18). Stupirci: a questo siamo chiamati oggi, a conclusione dell’Ottava di Natale, con lo sguardo ancora posato sul Bambino nato per noi, povero di tutto e ricco di amore. Stupore: è l’atteggiamento da avere all’inizio dell’anno, perché la vita è un dono che ci dà la possibilità di ricominciare sempre, anche dalla condizione più bassa.
Ma oggi è anche il giorno in cui stupirsi davanti alla Madre di Dio: Dio è un piccolo bimbo in braccio a una donna, che nutre il suo Creatore. La statua che abbiamo davanti mostra la Madre e il Bambino così uniti da sembrare una cosa sola. È il mistero di oggi, che desta uno stupore infinito: Dio si è legato all’umanità, per sempre. Dio e l’uomo sempre insieme, ecco la buona notizia d’inizio anno: Dio non è un signore distante che abita solitario i cieli, ma l’Amore incarnato, nato come noi da una madre per essere fratello di ciascuno, per essere vicino: il Dio della vicinanza. Sta sulle ginocchia di sua madre, che è anche nostra madre, e da lì riversa sull’umanità una tenerezza nuova. E noi capiamo meglio l’amore divino, che è paterno e materno, come quello di una madre che non smette di credere nei figli e mai li abbandona. Il Dio-con-noi ci ama indipendentemente dai nostri sbagli, dai nostri peccati, da come facciamo andare il mondo. Dio crede nell’umanità, dove si staglia, prima e ineguagliabile, la sua Madre.
All’inizio dell’anno, chiediamo a lei la grazia dello stupore davanti al Dio delle sorprese. Rinnoviamo lo stupore delle origini, quando nacque in noi la fede. La Madre di Dio ci aiuta: la Madre che ha generato il Signore, genera noi al Signore. È madre e rigenera nei figli lo stupore della fede, perché la fede è un incontro, non è una religione. La vita, senza stupore, diventa grigia, abitudinaria; così la fede. E anche la Chiesa ha bisogno di rinnovare lo stupore di essere dimora del Dio vivente, Sposa del Signore, Madre che genera figli. Altrimenti, rischia di assomigliare a un bel museo del passato. La “Chiesa museo”. La Madonna, invece, porta nella Chiesa l’atmosfera di casa, di una casa abitata dal Dio della novità. Accogliamo con stupore il mistero della Madre di Dio, come gli abitanti di Efeso al tempo del Concilio. Come loro la acclamiamo “Santa Madre di Dio”. Da lei lasciamoci guardare, lasciamoci abbracciare, lasciamoci prendere per mano.
Lasciamoci guardare. Questo soprattutto nel momento del bisogno, quando ci troviamo impigliati nei nodi più intricati della vita, giustamente guardiamo alla Madonna, alla Madre. Ma è bello anzitutto lasciarci guardare dalla Madonna. Quando ci guarda, lei non vede dei peccatori, ma dei figli. Si dice che gli occhi sono lo specchio dell’anima; gli occhi della piena di grazia rispecchiano la bellezza di Dio, riflettono su di noi il paradiso. Gesù ha detto che l’occhio è «la lampada del corpo» (Mt 6,22): gli occhi della Madonna sanno illuminare ogni oscurità, riaccendono ovunque la speranza. Il suo sguardo rivolto a noi dice: “Cari figli, coraggio; ci sono io, la vostra madre!”
Questo sguardo materno, che infonde fiducia, aiuta a crescere nella fede. La fede è un legame con Dio che coinvolge tutta intera la persona, e che per essere custodito ha bisogno della Madre di Dio. Il suo sguardo materno ci aiuta a vederci figli amati nel popolo credente di Dio e ad amarci tra noi, al di là dei limiti e degli orientamenti di ciascuno. La Madonna ci radica nella Chiesa, dove l’unità conta più della diversità, e ci esorta a prenderci cura gli uni degli altri. Lo sguardo di Maria ricorda che per la fede è essenziale la tenerezza, che argina la tiepidezza. Tenerezza: la Chiesa della tenerezza. Tenerezza, parola che oggi tanti vogliono cancellare dal dizionario. Quando nella fede c’è posto per la Madre di Dio, non si perde mai il centro: il Signore, perché Maria non indica mai sé stessa, ma Gesù; e i fratelli, perché Maria è madre.
Sguardo della Madre, sguardo delle madri. Un mondo che guarda al futuro senza sguardo materno è miope. Aumenterà pure i profitti, ma non saprà più vedere negli uomini dei figli. Ci saranno guadagni, ma non saranno per tutti. Abiteremo la stessa casa, ma non da fratelli. La famiglia umana si fonda sulle madri. Un mondo nel quale la tenerezza materna è relegata a mero sentimento potrà essere ricco di cose, ma non ricco di domani. Madre di Dio, insegnaci il tuo sguardo sulla vita e volgi il tuo sguardo su di noi, sulle nostre miserie. Rivolgi a noi gli occhi tuoi misericordiosi.
Lasciamoci abbracciare. Dopo lo sguardo, entra qui in gioco il cuore, nel quale, dice il Vangelo odierno, «Maria custodiva tutte queste cose, meditandole» (Lc 2,19). La Madonna, cioè, aveva tutto a cuore, abbracciava tutto, eventi favorevoli e contrari. E tutto meditava, cioè portava a Dio. Ecco il suo segreto. Allo stesso modo ha a cuore la vita di ciascuno di noi: desidera abbracciare tutte le nostre situazioni e presentarle a Dio.
Nella vita frammentata di oggi, dove rischiamo di perdere il filo, è essenziale l’abbraccio della Madre. C’è tanta dispersione e solitudine in giro: il mondo è tutto connesso, ma sembra sempre più disunito. Abbiamo bisogno di affidarci alla Madre. Nella Scrittura ella abbraccia tante situazioni concrete ed è presente dove c’è bisogno: si reca dalla cugina Elisabetta, viene in soccorso agli sposi di Cana, incoraggia i discepoli nel Cenacolo… Maria è rimedio alla solitudine e alla disgregazione. È la Madre della consolazione, che con-sola: sta con chi è solo. Ella sa che per consolare non bastano le parole, occorre la presenza; e lì è presente come madre. Permettiamole di abbracciare la nostra vita. Nella Salve Regina la chiamiamo “vita nostra”: sembra esagerato, perché è Cristo la vita (cfr Gv 14,6), ma Maria è così unita a Lui e così vicina a noi che non c’è niente di meglio che mettere la vita nelle sue mani e riconoscerla “vita, dolcezza e speranza nostra”.
E poi, nel cammino della vita, lasciamoci prendere per mano. Le madri prendono per mano i figli e li introducono con amore nella vita. Ma quanti figli oggi, andando per conto proprio, perdono la direzione, si credono forti e si smarriscono, liberi e diventano schiavi. Quanti, dimentichi dell’affetto materno, vivono arrabbiati con sé stessi e indifferenti a tutto! Quanti, purtroppo, reagiscono a tutto e a tutti con veleno e cattiveria! La vita è così. Mostrarsi cattivi talvolta pare persino sintomo di fortezza. Ma è solo debolezza. Abbiamo bisogno di imparare dalle madri che l’eroismo sta nel donarsi, la fortezza nell’aver pietà, la sapienza nella mitezza.
Dio non ha fatto a meno della Madre: a maggior ragione ne abbiamo bisogno noi. Gesù stesso ce l’ha data, non in un momento qualsiasi, ma dalla croce: «Ecco tua madre!» (Gv 19,27) ha detto al discepolo, ad ogni discepolo. La Madonna non è un optional: va accolta nella vita. È la Regina della pace, che vince il male e conduce sulle vie del bene, che riporta l’unità tra i figli, che educa alla compassione.
Prendici per mano, Maria. Aggrappati a te supereremo i tornanti più angusti della storia. Portaci per mano a riscoprire i legami che ci uniscono. Radunaci insieme sotto il tuo manto, nella tenerezza dell’amore vero, dove si ricostituisce la famiglia umana: “Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio”. Lo diciamo tutti insieme alla Madonna: “Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio”.

Scarica il odf cliccando sulla riga seguente:

Download LA_FEDE___UN_INCONTRO__NON___UNA_RELIGIONE.pdf

LASCIAMOCI GUARDARE DA GESÙ

Omelia nella Santa Messa della Notte di Natale, San Girolamo 2018

Il bambino è posto in una mangiatoia (cfr. Lc 2,7). Dio fattosi carne viene a prenderci proprio lì, mentre siamo abbruttiti cercando di riempirci con un falso nutrimento, il cibo delle bestie, Lui viene a ridestare la nostra fame e la nostra sete, suscitando il desiderio che ci fa uomini.
Di cosa abbiamo fame e sete? Di verità, giustizia, felicità, amore.
Come ci fa riscoprire il vero bisogno del nostro cuore? Donandoci se stesso in un rapporto in carne ed ossa, il cui calore fa rifiorire tutta la nostra umanità. Per questo i primi hanno seguito quel bambino divenuto adulto: quando si sono sentiti guardati da quell’uomo per la prima volta si sono sorpresi a dire “io” come non era mai accaduto prima, hanno scoperto tutta l’intensità della loro domanda e dei loro desideri. Da quel momento, in cui si sono sentiti guardati da Gesù, non hanno più potuto pensare a loro stessi se non a partire da quello sguardo. È accaduto a Giovanni e Andrea, a Pietro, ai pubblicani Matteo e Zaccheo, alla Maddalena e alla Samaritana… fino a me e a te.
Non è stata un’idea che li ha attratti, non è stata una morale che li ha cambiati, ma un incontro imprevisto e imprevedibile, qualcosa che non immaginavano neppure potesse accadere ma si sono accorti di desiderare come niente altro al mondo.
Sono stati così attratti che non desideravano altro se non tornare a sentirlo parlare, a vederlo… anzi a lasciarsi guardare ancora da Lui, perché a partire da quello sguardo si sorprendevano a guardare la moglie come non l’avevano mai guardata prima, guardavano in modo diverso i figli, i problemi sul lavoro, le difficoltà economiche, gli amici ammalati, i propri cari morti… cambiava il modo di guardare a se stessi, ai propri peccati, ai propri fallimenti. Cominciavano ad aver pietà di loro stessi.
Per questo non affanniamoci a vivere il Natale col nostro tentativo di guardare Gesù, ma lasciamoci sorprendere come si è lasciata sorprendere Maria dall’annuncio dell’Angelo fino ad ogni istante del rapporto con quel figlio di cui è divenuta figlia (cfr. Dante, Divina Commedia, Paradiso, Canto XXXIII).
Ciascuno di noi può verificarlo nella vita quotidiana: quando accade che tutto ritorna nella pace e nell’unità? Quando, bambini, incrociamo lo sguardo della mamma e del babbo, o, adulti quello di un amico che tiene a noi o della persona amata, ed allora i problemi e le sofferenze rimangono tali, eppure cambia tutto.
Tarkovskij, nel film «Andrej Rubl‘v», fa dire ad un suo personaggio: «Tu lo sai bene: non ti riesce qualcosa, sei stanco, e non ce la fai più. E d’un tratto incontri nella folla lo sguardo di qualcuno – uno sguardo umano – ed è come se ti fossi accostato a un divino nascosto. E tutto diventa improvvisamente più semplice».
Questa è la luce di cui parlano le letture di questa notte (cfr. Is 9,1 e Lc 2,9).
Per questo Dio, per farsi conoscere, non ci ha dato un libro che spiegasse tutto, non ci ha mandato dei maestri che ci istruissero con delle norme morali, ma ci dà se stesso in carne ed ossa (cfr. Tt 2,14), un volto umano da cui lasciarci guardare, un abbraccio il cui calore ci fa tornare ad essere noi stessi.
Nel parlare, in questo momento, ho in mente degli occhi attratti da uno sguardo così, magari per un istante, quando, mentre facevo gli auguri di Natale in una classe con un panettone della Pasticceria Giotto, realizzato dai detenuti del carcere di massima sicurezza di Padova – raccontando l’esperienza vissuta da chi, condannato per gravi crimini, ha ritrovato un senso per vivere grazie a questa possibilità di lavoro ed al rapporto con chi glielo ha proposto, con alcune conversioni alla fede cristiana che stupiscono e affascinano – ho incrociato lo sguardo di un ragazzo che non partecipa praticamente mai alla lezione, estraniandosi rispetto a quanto viene proposto, e, sentendo anche solo un accenno circa la vicenda di questi carcerati era attento, probabilmente per qualcosa che riguarda la sua storia, come mai lo era stato.
Ho in mente lo sguardo di alcune persone che, per un incontro imprevisto e imprevedibile, inaspettatamente si sono riavvicinate alla Chiesa, o di chi, in una circostanza apparentemente ordinaria, si sente guardato da Gesù… ed hanno nostalgia di quello sguardo, tornano a cercarlo perché non vogliono perderlo… Ho in mente lo sguardo di qualcuno che si sorprende addosso il desiderio di vedere e toccare Cristo…
Che intensità cominciare a vivere così! Ogni fatto ed ogni incontro può diventare avvenimento e ogni volta si ricomincia a guardare con tenerezza la propria umanità bisognosa.
Ogni volta si rimane sorpresi, come lo sono io adesso mentre riscopro che questo sguardo torna ad attrarre tutta la mia affezione e tutto il mio desiderio e comincia a prendere tutta la mia carne come non avrei immaginato.
Si può vivere per meno di questo?

Scarica il testo in formato pdf cliccando sulla riga seguente:

Download Omelia_nella_S._Messa_della_Notte_di_Natale_2018.pdf

LETTERA AI PARROCCHIANI CON GLI AUGURI PER UN SANTO NATALE

NATALE 2018

Matteo nel suo Vangelo ci racconta come è stato l’incontro che ha segnato la sua vita, ci introduce in un “gioco di sguardi” che è in grado di trasformare la storia. Gesù lo guardò. Che forza di amore ha avuto lo sguardo di Gesù per smuovere Matteo come ha fatto! Che forza devono avere avuto quegli occhi per farlo alzare! Lo guardò con occhi di misericordia; lo guardò come nessuno lo aveva guardato prima. E quello sguardo aprì il suo cuore, lo rese libero, lo guarì, gli diede una speranza, una nuova vita, come a Zaccheo, a Bartimeo, a Maria Maddalena, a Pietro e anche a ciascuno di noi.
Giovanni l’Evangelista riporta nel suo Vangelo persino l’ora di quel momento che cambiò la sua vita. Sì, quando il Signore fa crescere in una persona la coscienza di essere chiamata si ricorda quando è incominciato tutto: «Erano circa le quattro del pomeriggio» (Gv 1,39).
Quando ci dimentichiamo di quest’ora mettiamo da parte la cosa più preziosa: lo sguardo del Signore. Siediti un momento, e lasciati guardare, e ricorda le volte in cui Lui ti ha guardato e ti sta guardando. Lasciati guardare da Lui.
(Papa Francesco)

Carissimi amici,
io non potrei più vivere senza tornare ogni giorno a incrociare questo sguardo. Per questo desidero augurare, a me e a voi, di essere sempre più disponibili a lasciarci sorprendere dal modo imprevisto e imprevedibile in cui Gesù, Dio fatto carne, continua a entrare nella nostra vita guardandoci con tenerezza e misericordia.
In questo Natale lasciamoci guardare da Cristo!
Ricordo ciascuno nella preghiera, particolarmente chi sta vivendo momenti di sofferenza e prova, soprattutto i nostri giovani e i nostri ammalati.

Un abbraccio,
don Roberto
Rimini, 15 dicembre 2018

Si può scaricare la lettera in formato pdf cliccando sulla riga seguente:

Download Auguri_di_Natale_2018.pdf