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PARROCCHIA S. GIROLAMO

AGGIORNAMENTI SUL SITO DELLA PARROCCHIA

E' stato aggiornato il sito della parrocchia con le immagini della festa per il 70° anniversario dell'ordinazione sacerdotale di don Bonini, l'audio della sua omelia, oltre a due recenti interventi del Papa su don Mazzolari e don Milani.
Rimangono in evidenza il volantino con le iniziative estive per ragazzi e famiglie e il Discorso del Vescovo in occasione del Corpus Domini.
Ringrazio ancora tutti quelli che hanno contribuito in vari modi alla festa di domenica: don Giuseppe era veramente commosso e colmo di gratitudine per tutta la comunità.

Per visitare il sito si può cliccare su:
http://www.sangirolamo.rimini.it/

GRIS DI RIMINI: Manuale di sopravvivenza al New Age - SAN GIROLAMO 28 GIUGNO

GRIS DI RIMINI
Manuale di sopravvivenza al New Age
e alle sue illusioni

Interviene:
P. Francois Dermine
Presidente nazionale del Gris
Mercoledì 28 giugno alle ore 21.00
Teatro parrocchiale di San Girolamo

Download GRIS_di_rimini.pdf

Lettera ai parrocchiani con invito alla Festa per il 70° di don Giuseppe

E' possibile scaricare la Lettera - invito che in questi giorni sarà recapitata nelle case dei parrocchiani per invitare alla celebrazione del 70° anniversario dell'ordinazione sacerdotale del nostro don Giuseppe Bonini.

Download Invito_ai_parrocchiani_per_il_70__anniversario_di_don_Giuseppe.pdf

70° ANNIVERSARIO DI SACERDOZIO DI DON GIUSEPPE BONINI

Domenica 25 giugno alle 18.30 celebreremo il 70° anniversario di sacerdozio del nostro carissimo don Giuseppe Bonini. Alle 18.30 celebreremo la Santa Messa con a seguire la cena nella piazza della nostra casa parrocchiale, per la quale occorre iscriversi entro domenica prossima con la quota di € 15 presso Francesco Barone (3403651668).
Nella foto: don Giuseppe con don Renato e don Roberto nella festa per il suoi 94 anni, il 1 aprile scorso.

CORPUS DOMINI GIOVEDI' 15 GIUGNO

Giovedì 15 giugno 2017 si svolgerà la Solenne Processione cittadina presieduta dal Vescovo; ore 20,30: S. Messa concelebrata presieduta dal Vescovo nella chiesa di s. Agostino. Seguirà la processione lungo via Sigismondo, Piazza Cavour, Corso d’Augusto. Benedizione solenne all’Arco d’Augusto. Siamo tutti invitati a partecipare.

Download Corpus_domini_2017.pdf

MARTEDI' 13 GIUGNO: COMINCIANO LE CENE CONDIVISE

Cominciano da stasera, martedì 13 giugno, alle ore 20, le cene condivise, ritrovo settimanale per tutta la comunità parrocchiale nel periodo estivo, aperto a tutti, a cui invitare vicini di casa e amici.

"Ti faranno sentire l’amore di Dio solo quelli che ti sostengono, che ti accompagnano e ti aiutano a crescere"

Il Papa ha incontrato i giovanissimi del "Graal", esperienza educativa proposta ai ragazzi delle medie. C'erano anche tanti riminesi.
Francesco ha risposto alle domande dei ragazzi, riportiamo di seguito l'ultima, riguardante la sofferenza dei piccoli.
Tanio:
Caro Papa Francesco, mi chiamo Tanio, sono nato in Bulgaria e al primo mese di vita i miei genitori mi hanno lasciato in orfanotrofio. A cinque anni sono stato adottato da una nuova famiglia italiana. Dopo un anno però la mia nuova mamma è morta. Ho vissuto fino ad ora con papà e i mei nonni. Quest’anno sono morti anche i miei nonni. I Cavalieri sono un dono, un grande dono, per me: perché mi stanno vicini e mi sostengono in ogni momento della mia vita. Però, mi sorge questa domanda: come si fa a credere che il Signore ti ama, quando ti fa mancare persone o accadere cose che tu non vorresti mai?

Papa Francesco:
Come si a capire che il Signore ti ama quando ti fa mancare persone o cose che tu non vorresti mai perdere? Pensiamo un po’, tutti insieme, con l’immaginazione, a un ospedale qualsiasi dei bambini. Come si può pensare che Dio ami quei bambini e li lascia ammalati, li lascia morire, tante volte? Pensate a questa domanda: perché soffrono i bambini? Perché ci sono bambini nel mondo che soffrono la fame, e in altre parti del mondo c’è uno spreco tanto grande? Perché? Tu sai, ci sono domande – come quella che tu hai fatto – alle quali non si può rispondere con le parole. Tanio, tu hai fatto questa domanda e non ci sono parole per spiegare. Soltanto, troverai qualche spiegazione – ma non del “perché”, ma del “para que” [“a che scopo”] – nell’amore di quelli che ti vogliono bene e ti sostengono. Non è una spiegazione del perché succedono queste cose, ma c’è gente che ti accompagna. Io ti dico sinceramente, e tu capirai bene questo: quando mi faccio io nella preghiera la domanda “perché soffrono i bambini?”, di solito la faccio quando vado negli ospedali dei bambini e poi esco – ti dico la verità – con il cuore non dico distrutto, ma molto addolorato, il Signore non mi risponde. Soltanto guardo il Crocifisso. Se Dio ha permesso che suo Figlio soffrisse così per noi, qualche cosa deve esserci lì che abbia un senso. Ma, caro Tanio, io non posso spiegarti il senso. Lo troverai tu: più avanti nella vita o nell’altra vita. Ma spiegazioni, come si spiega un teorema matematico o una questione storica, non ti posso dare né io né qualcun altro. Ci sono, nella vita – capite bene questo! – ci sono nella vita domande e situazioni che non si possono spiegare. Una di quelle è quella che tu hai fatto, della tua sofferenza. Ma dietro a questo, sempre c’è l’amore di Dio. “Ah, e come lo spieghi?”. Non si può spiegare. Io non posso spiegarlo. E se qualcuno ti dice: “Vieni, vieni, che io te lo spiego”, dubita. Ti faranno sentire l’amore di Dio solo quelli che ti sostengono, che ti accompagnano e ti aiutano a crescere. Grazie per avere fatto questa domanda, perché è importante che voi, ragazzi e ragazze, da questa età, incominciate a capire queste cose, perché questo vi aiuterà a crescere bene e ad andare avanti. Grazie, Tanio.

"LA CHIESA ESISTE PER ANNUNCIARE IL VANGELO, SOLO PER QUELLO!"

Lo ha ricordato Papa Francesco nel Regina coeli di Domenica scorsa.

"L’Ascensione ci ricorda questa assistenza di Gesù e del suo Spirito che dà fiducia, dà sicurezza alla nostra testimonianza cristiana nel mondo. Ci svela perché esiste la Chiesa: la Chiesa esiste per annunciare il Vangelo, solo per quello! E anche, la gioia della Chiesa è annunciare il Vangelo. La Chiesa siamo tutti noi battezzati. Oggi siamo invitati a comprendere meglio che Dio ci ha dato la grande dignità e la responsabilità di annunciarlo al mondo, di renderlo accessibile all’umanità. Questa è la nostra dignità, questo è il più grande onore di ognuno di noi, di tutti i battezzati!"

«GESÙ MAI SI È LEGATO ALLE STRUTTURE MA SEMPRE SI LEGAVA AI RAPPORTI»

Non bisogna perdere nessuna delle parole del Papa a Genova, per tutti i discorsi di Francesco nella sua visita al capoluogo ligure clicca su:

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/travels/2017/inside/documents/papa-francesco-genova_2017.html


Ecco un passaggio significativo nel dialogo coi sacerdoti e i laici collaboratori della Curia:
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Domanda: Chiediamo a Lei oggi i criteri per vivere un’intensa vita spirituale nel nostro ministero che, nella complessità della vita moderna e dei compiti anche amministrativi, tende a farci vivere dispersi e frantumati.

Papa Francesco: […] La paura più grande alla quale dobbiamo pensare, che possiamo immaginare, è una vita statica: una vita del prete che ha tutto ben risolto, tutto in ordine, strutturato. […] Gesù sempre è stato un uomo di strada, un uomo di cammino, un uomo aperto alle sorprese di Dio. Invece, il sacerdote che ha tutto pianificato, tutto strutturato, generalmente è chiuso alle sorprese di Dio e si perde quella gioia della sorpresa dell’incontro. Il Signore ti prende quando non te l’aspetti, ma sei aperto. […] Se guardiamo Gesù, i Vangeli ci fanno vedere due momenti, che sono forti, che sono il fondamento […]: l’incontro con il Padre e l’incontro con le persone. […] Tutto si deve vivere in questa chiave dell’incontro. Tu, sacerdote, ti incontri con Dio, con il Padre, con Gesù nell’Eucaristia, con i fedeli: ti incontri. […] Gesù mai, mai, si è legato alle strutture, ma sempre si legava ai rapporti. […] Una volta ho sentito un uomo di Dio […] che diceva: “Nella Chiesa si deve vivere quel detto: “minimo di strutture per il massimo di vita, e mai il massimo di strutture per il minimo di vita”. Senza rapporti con Dio e con il prossimo, niente ha senso nella vita di un prete. […] Questa è un po’ la risposta sui criteri che voglio darvi. “Ma, Padre, Lei non è moderno… Questi criteri sono antichi…”. Così è la vita, figlio! Sono i vecchi criteri della Chiesa che sono moderni, ultramoderni!

SABATO 3 GIUGNO ALLE 18.30 IN CATTEDRALE: S. MESSA A CONCLUSIONE DELL'ASSEMBLEA DIOCESANA

L'Assemblea si concluderà con la Solenne Concelebrazione Eucaristica presieduta dal Vescovo in Basilica Cattedrale alle 18.30 di sabato 3 giugno, a cui non sono invitati solo i delegati ma tutti i fedeli.
Per questo, secondo il suggerimento del Vicario generale, SABATO 3 GIUGNO
NON SARA' CELEBRATA LA S. MESSA PRE - FESTIVA DELLE 18.30
IN PARROCCHIA

Download Assemblea_diocesana_A5.pdf

ASSEMBLEA DIOCESANA 2-3 GIUGNO

Venerdì 2 e Sabato 3 giugno si svolgerà l'Assemblea diocesana alla quale parteciperanno i rappresentanti delle parrocchie e di tutte le realtà ecclesiali diocesane.
I delegati della Parrocchia San Girolamo, oltre al parroco stesso, sono: Erika Guidi, Luciana Cenni, Paolo Fabbri, i quali, a partire dall'esperienza vissuta quest'anno, hanno scelto di lavorare nell'area tematica riguardante l'inclusione sociale dei poveri, coinvolgendo tutta la comunità con una riflessione realizzata attraverso un questionario e accogliendo quanto emerso dall'Assemblea parrocchiale del 26 marzo scorso..

Download Assemblea_A5.pdf

LA PASTORALE È UN INCONTRO

Venerdì scorso il Papa si è recato a benedire delle famiglie a Ostia. Mi è tornato alla mente un brano del suo Discorso sulla pastorale vocazionale, dove afferma che
"Quando passa per le strade, Gesù si ferma e incrocia lo sguardo dell’altro, senza fretta. E’ questo che rende attraente e affascinante la sua chiamata. Oggi, purtroppo, la fretta e la velocità degli stimoli a cui siamo sottoposti non sempre lasciano spazio a quel silenzio interiore in cui risuona la chiamata del Signore. Talvolta, è possibile correre questo rischio anche nelle nostre comunità: pastori e operatori pastorali presi dalla fretta, eccessivamente preoccupati delle cose da fare, che rischiano di cadere in un vuoto attivismo organizzativo, senza riuscire a fermarsi per incontrare le persone. Il Vangelo, invece, ci fa vedere che la vocazione inizia da uno sguardo di misericordia che si è posato su di me".

Ecco il link al video sulle benedizioni:
http://www.tv2000.it/tg2000/video/papa-francesco-venerdi-della-misericordia-a-ostia/

GUARDARE SENZA “FILTRI CLERICALI” IL VOLTO DI CRISTO

Lettera del Santo Padre Francesco ai partecipanti alla XXXVI Assemblea Generale del Consiglio Episcopale Latinoamericano (CELAM) [9-12 Maggio 2017, San Salvador]

[…] Aparecida (quella apparizione come oggi l’esperienza della Conferenza) non ci porta ricette, bensì chiavi, criteri, piccole grandi certezze per illuminare e, soprattutto, “accendere” il desiderio di toglierci ogni indumento inutile e ritornare alle radici, all’essenziale, all’atteggiamento che piantò la fede agli inizi della Chiesa e poi fece del nostro continente la terra della speranza. Aparecida vuole solo rinnovare la nostra speranza in mezzo a tante “inclemenze”. Il primo invito che questa icona ci fa come pastori è d’imparare a guardare al Popolo di Dio. Imparare ad ascoltarlo e a conoscerlo, a dargli l’importanza e il posto che gli spettano. Non in modo concettuale od organizzativo, nominale o funzionale. Sebbene sia certo che oggigiorno c’è una maggiore partecipazione di fedeli laici, molte volte li abbiamo relegati all’impegno intra-ecclesiale, senza un chiaro sprone, affinché permeino, con la forza del Vangelo, gli ambiti sociali, politici, economici e universitari. Imparare ad ascoltare il Popolo di Dio significa scalzarci dei nostri pregiudizi e razionalismi, dei nostri schemi funzionali, per conoscere come lo Spirito agisce nel cuore di tanti uomini e donne che con grande vigore non smettono di gettare le reti e lottano per rendere credibile il Vangelo, per conoscere come lo Spirito continua a muovere la fede della nostra gente; quella fede che non sa tanto di guadagni e di successi pastorali, quanto di ferma speranza.

Quanto abbiamo da imparare dalla fede della nostra gente! La fede delle madri e delle nonne che non hanno paura di sporcarsi per portare avanti i propri figli. […] Sono il chiaro esempio della seconda realtà che come pastori siamo invitati a fare nostra: non dobbiamo aver paura di sporcarci per la nostra gente. Non dobbiamo aver paura del fango della storia pur di riscattare e rinnovare la speranza. Pesca solo colui che non ha paura di rischiare e d’impegnarsi per i suoi. E ciò non nasce dall’eroicità o dall’istinto kamikaze di alcuni, e non è neanche un’ispirazione individuale di qualcuno che si vuole immolare. È tutta la comunità credente ad andare alla ricerca del suo Signore, perché è solo uscendo e lasciando le sicurezze (che tante volte sono “mondane”) che la Chiesa si centra, è solo smettendo di essere autoreferenziali che possiamo ri-centrarci in Colui che è fonte di Vita e di Pienezza.

Per poter vivere con speranza è fondamentale che ci ri-centriamo in Gesù Cristo che già abita al centro della nostra cultura e viene a noi sempre nuovo. Lui è il centro. Questa certezza, e invito, aiuta noi pastori a incentrarci in Cristo e nel suo Popolo. Loro non sono antagonisti. Contemplare Cristo nel suo popolo è imparare a decentrarci da noi stessi per centrarci nell’unico Pastore. Ri-centrarci con Cristo nel suo Popolo è avere il coraggio di andare verso le periferie del presente e del futuro affidandoci alla speranza che il Signore continuerà a essere presente e che la sua presenza sarà fonte di vita in abbondanza. Da qui verranno la creatività e la forza per giungere dove si generano i nuovi paradigmi che stanno regolando la vita dei nostri paesi e per poter raggiungere, con la Parola di Gesù, i nuclei più profondi dell’anima delle città dove, ogni giorno di più, cresce l’esperienza di non sentirsi cittadini, ma piuttosto “cittadini a metà”, “avanzi urbani” (cfr. Evangelii gaudium, n. 74). Certo, non lo possiamo negare, la realtà si presenta a noi sempre più complessa e sconcertante, ma ci viene chiesto di viverla come discepoli del Maestro senza permetterci di essere osservatori asettici e neutrali, ma uomini e donne appassionati del Regno, desiderosi d’impregnare le strutture della società con la Vita e l’Amore che abbiamo conosciuto. E questo non come colonizzatori o dominatori, ma condividendo il buon odore di Cristo, e che sia questo odore a continuare a trasformare vite. Vi ripeto, come fratello, quel che ho scritto in Evangelii gaudium (n. 49): «Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: “Voi stessi date loro da mangiare” (Mc 6, 37)».

Tutto ciò aiuterà a rivelare la dimensione misericordiosa della maternità della Chiesa che, sull’esempio di Aparecida, sta tra i “fiumi e il fango della storia”, accompagnando e incoraggiando la speranza affinché ogni persona, dovunque si trovi, possa sentirsi a casa, possa sentirsi figlio amato, cercato e atteso. Questo sguardo, questo dialogo con il popolo fedele di Dio, offre al pastore due atteggiamenti molto belli da coltivare: il coraggio per annunciare il Vangelo e la sopportazione per affrontare le difficoltà e i dispiaceri che la stessa predicazione provoca.

Nella misura in cui ci faremo coinvolgere nella vita del nostro popolo fedele e toccheremo il fondo delle sue ferite, potremo guardare senza “filtri clericali” il volto di Cristo, andare al suo Vangelo per pregare, pensare, discernere e lasciarci trasformare, a partire dal suo volto, in pastori di speranza. Che Maria, Nostra Signora Aparecida, continui a condurci da suo Figlio affinché i nostri popoli in Lui abbiano vita… e in abbondanza. E, per favore, vi chiedo di non dimenticarvi di pregare per me. Che Gesù vi benedica e la Vergine Maria si prenda cura di voi.

PAPA FRANCESCO ALL'AC: OGNI VOSTRA INIZIATIVA, OGNI PROPOSTA, OGNI CAMMINO, SIA ESPERIENZA MISSIONARIA DESTINATA ALL'EVANGELIZZAZIONE, NON AUTOCONSERVAZIONE

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO ALL'AZIONE CATTOLICA ITALIANA
Piazza San Pietro, Domenica, 30 aprile 2017

Cari amici dell’Azione Cattolica, buongiorno!

sono davvero felice di incontrarvi oggi, così numerosi e in festa per il 150° anniversario di fondazione della vostra Associazione. Vi saluto tutti con affetto ad iniziare dall’Assistente generale e dal Presidente nazionale, che ringrazio per le parole con cui hanno introdotto questo incontro. La nascita dell’Azione Cattolica Italiana fu un sogno, nato dal cuore di due giovani, Mario Fani e Giovanni Acquaderni, che è diventato nel tempo cammino di fede per molte generazioni, vocazione alla santità per tantissime persone: ragazzi, giovani e adulti che sono diventati discepoli di Gesù e, per questo, hanno provato a vivere come testimoni gioiosi del suo amore nel mondo. Anche per me è un po’ aria di famiglia: mio papà, mia nonna, erano dell’Azione cattolica!

È una storia bella e importante, per la quale avete tante ragioni di essere grati al Signore e per la quale la Chiesa vi è riconoscente. È la storia di un popolo formato da uomini e donne di ogni età e condizione, che hanno scommesso sul desiderio di vivere insieme l’incontro con il Signore: piccoli e grandi, laici e pastori, insieme, indipendentemente dalla posizione sociale, dalla preparazione culturale, dal luogo di provenienza. Fedeli laici che in ogni tempo hanno condiviso la ricerca delle strade attraverso cui annunciare con la propria vita la bellezza dell’amore di Dio e contribuire, con il proprio impegno e la propria competenza, alla costruzione di una società più giusta, più fraterna, più solidale. È una storia di passione per il mondo e per la Chiesa - ricordavo quando vi ho parlato di un libro scritto in Argentina nel ’37 che diceva: “Azione cattolica e passione cattolica”! - e dentro di questa storia cui sono cresciute figure luminose di uomini e donne di fede esemplare, che hanno servito il Paese con generosità e coraggio.

Avere una bella storia alle spalle non serve però per camminare con gli occhi all’indietro, non serve per guardarsi allo specchio, non serve per mettersi comodi in poltrona! Non dimenticare questo: non camminare con gli occhi all’indietro, farete uno schianto! Non guardarsi allo specchio! In tanti siamo brutti, meglio non guardarsi! E non mettersi comodi in poltrona, questo ingrassa e fa male al colesterolo! Fare memoria di un lungo itinerario di vita aiuta a rendersi consapevoli di essere popolo che cammina prendendosi cura di tutti, aiutando ognuno a crescere umanamente e nella fede, condividendo la misericordia con cui il Signore ci accarezza. Vi incoraggio a continuare ad essere un popolo di discepoli-missionari che vivono e testimoniano la gioia di sapere che il Signore ci ama di un amore infinito, e che insieme a Lui amano profondamente la storia in cui abitiamo. Così ci hanno insegnato i grandi testimoni di santità che hanno tracciato la strada della vostra associazione, tra i quali mi piace ricordare Giuseppe Toniolo, Armida Barelli, Piergiorgio Frassati, Antonietta Meo, Teresio Olivelli, Vittorio Bachelet. Azione Cattolica, vivi all’altezza della tua storia! Vivi all’altezza di queste donne e questi uomini che ti hanno preceduto.

In questi centocinquanta anni l’Azione Cattolica è sempre stata caratterizzata da un amore grande per Gesù e per la Chiesa. Anche oggi siete chiamati a proseguire la vostra peculiare vocazione mettendovi a servizio delle diocesi, attorno ai Vescovi - sempre -, e nelle parrocchie - sempre -, là dove la Chiesa abita in mezzo alle persone - sempre. Tutto il Popolo di Dio gode i frutti di questa vostra dedizione, vissuta in armonia tra Chiesa universale e Chiesa particolare. È nella vocazione tipicamente laicale a una santità vissuta nel quotidiano che potete trovare la forza e il coraggio per vivere la fede rimanendo lì dove siete, facendo dell’accoglienza e del dialogo lo stile con cui farvi prossimi gli uni agli altri, sperimentando la bellezza di una responsabilità condivisa. Non stancatevi di percorrere le strade attraverso le quali è possibile far crescere lo stile di un’autentica sinodalità, un modo di essere Popolo di Dio in cui ciascuno può contribuire a una lettura attenta, meditata, orante dei segni dei tempi, per comprendere e vivere la volontà di Dio, certi che l’azione dello Spirito Santo opera e fa nuove ogni giorno tutte le cose.

Vi invito a portare avanti la vostra esperienza apostolica radicati in parrocchia, «che non è una struttura caduca» - avete capito bene? La parrocchia non è una struttura caduca! -, perché «è presenza ecclesiale nel territorio, ambito dell’ascolto della Parola, della crescita della vita cristiana, del dialogo, dell’annuncio, della carità generosa, dell’adorazione e della celebrazione» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 28). La parrocchia è lo spazio in cui le persone possono sentirsi accolte così come sono, e possono essere accompagnate attraverso percorsi di maturazione umana e spirituale a crescere nella fede e nell’amore per il creato e per i fratelli. Questo è vero però solo se la parrocchia non si chiude in sé stessa, se anche l’Azione Cattolica che vive in parrocchia non si chiude in sé stessa, ma aiuta la parrocchia perché rimanga «in contatto con le famiglie e con la vita del popolo e non diventi una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi» (ibid.). Per favore, questo no!

Cari soci di Azione Cattolica, ogni vostra iniziativa, ogni proposta, ogni cammino sia esperienza missionaria, destinata all’evangelizzazione, non all’autoconservazione. Il vostro appartenere alla diocesi e alla parrocchia si incarni lungo le strade delle città, dei quartieri e dei paesi. Come è accaduto in questi centocinquanta anni, sentite forte dentro di voi la responsabilità di gettare il seme buono del Vangelo nella vita del mondo, attraverso il servizio della carità, l’impegno politico, - mettetevi in politica, ma per favore nella grande politica, nella Politica con la maiuscola! - attraverso anche la passione educativa e la partecipazione al confronto culturale. Allargate il vostro cuore per allargare il cuore delle vostre parrocchie. Siate viandanti della fede, per incontrare tutti, accogliere tutti, ascoltare tutti, abbracciare tutti. Ogni vita è vita amata dal Signore, ogni volto ci mostra il volto di Cristo, specialmente quello del povero, di chi è ferito dalla vita e di chi si sente abbandonato, di chi fugge dalla morte e cerca riparo tra le nostre case, nelle nostre città. «Nessuno può sentirsi esonerato dalla preoccupazione per i poveri e per la giustizia sociale» (ibid., 201).

Rimanete aperti alla realtà che vi circonda. Cercate senza timore il dialogo con chi vive accanto a voi, anche con chi la pensa diversamente ma come voi desidera la pace, la giustizia, la fraternità. È nel dialogo che si può progettare un futuro condiviso. È attraverso il dialogo che costruiamo la pace, prendendoci cura di tutti e dialogando con tutti.

Cari ragazzi, giovani e adulti di Azione Cattolica: andate, raggiungete tutte le periferie! Andate, e là siate Chiesa, con la forza dello Spirito Santo.

Vi sostenga la protezione materna della Vergine Immacolata; vi accompagnino l’incoraggiamento e la stima dei Vescovi; come anche la mia Benedizione che di cuore imparto su di voi e sull’intera Associazione. E per favore non dimenticatevi di pregare per me!

PAPA FRANCESCO ALL'AC: INCORAGGIATE I VOSTRI MEMBRI AD APPREZZARE LA MISSIONE CORPO A CORPO CASUALE

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO DEL
FORUM INTERNAZIONALE DELL'AZIONE CATTOLICA (FIAC)

Aula del Sinodo, Giovedì, 27 aprile 2017

Cari fratelli e sorelle,

Vi saluto in occasione della celebrazione di questo Congresso internazionale di Azione Cattolica, che ha come tema: “Azione Cattolica in missione con tutti e per tutti”. Mi piacerebbe condividere con voi alcune preoccupazioni e considerazioni.

Carisma – ricreazione alla luce di Evangelii gaudium

Storicamente l’Azione Cattolica ha avuto la missione di formare laici che si assumessero la propria responsabilità nel mondo. Oggi, in concreto, è la formazione di discepoli missionari. Grazie per aver assunto decisamente la Evangelii gaudium come magna carta.

Il carisma dell’Azione Cattolica è il carisma della stessa Chiesa incarnata profondamente nell’oggi e nel qui di ogni Chiesa diocesana che discerne in contemplazione e con sguardo attento la vita del suo popolo e cerca nuovi cammini di evangelizzazione e di missione a partire dalle diverse realtà parrocchiali.

L’Azione Cattolica ha avuto tradizionalmente quattro pilastri o zampe: la Preghiera, la Formazione, il Sacrificio e l’Apostolato. A seconda del momento della sua storia ha poggiato prima una zampa e poi le altre. Così, in un certo momento, a essere più forte è stata la preghiera o la formazione dottrinale. Date le caratteristiche del momento, l’apostolato deve essere il tratto distintivo ed è la zampa che si poggia per prima. E questo non va a detrimento delle altre realtà, ma, proprio al contrario, è ciò che le provoca. L’apostolato missionario ha bisogno di preghiera, formazione e sacrificio. Ciò appare chiaramente ad Aparecida e nella Evangelii gaudium. C’è un dinamismo integratore nella missione.

Formate: offrendo un processo di crescita nella fede, un percorso catechetico permanente orientato alla missione, adeguato a ogni realtà, basandovi sulla Parola di Dio, per animare una felice amicizia con Gesù e l’esperienza di amore fraterno.

Pregate: in quella santa estroversione che pone il cuore nei bisogni del popolo, nelle sue sofferenze e nelle sue gioie. Una preghiera che camini, che vi porti molto lontano. Così eviterete di stare a guardare continuamente voi stessi.

Sacrificatevi: ma non per sentirvi più puliti, il sacrificio generoso è quello che fa bene agli altri. Offrite il vostro tempo cercando come fare perché gli altri crescano, offrite quello che c’è nelle tasche condividendolo con quanti hanno meno, offrite generosamente il dono della vocazione personale per abbellire e far crescere la casa comune.

Rinnovare l’impegno evangelizzatore – diocesanità – parrocchie

La missione non è un compito tra i tanti nell’Azione Cattolica, è il compito. L’Azione Cattolica ha il carisma di portare avanti la pastorale della Chiesa. Se la missione non è la sua forza distintiva, si snatura l’essenza dell’Azione Cattolica, e perde la sua ragion d’essere.

È vitale rinnovare e aggiornare l’impegno dell’Azione Cattolica per l’evangelizzazione, giungendo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, in tutte le periferie esistenziali, veramente, non come una semplice formulazione di principi.

Ciò implica ripensare i vostri piani di formazione, le vostre forme di apostolato e persino la vostra stessa preghiera affinché siano essenzialmente, e non occasionalmente, missionari. Abbandonare il vecchio criterio: perché si è sempre fatto così. Ci sono cose che sono state davvero molto buone e meritorie, che oggi sarebbero fuori contesto se le volessimo ripetere.

L’Azione Cattolica deve assumere la totalità della missione della Chiesa in generosa appartenenza alla Chiesa diocesana a partire dalla Parrocchia.

La missione della Chiesa universale si aggiorna in ogni Chiesa particolare con il proprio colore; parimenti l’Azione Cattolica acquista vita autentica rispondendo e assumendo come propria la pastorale di ogni Chiesa diocesana nel suo inserimento concreto a partire dalle parrocchie.

L’Azione Cattolica deve offrire alla Chiesa diocesana un laicato maturo che serva con disponibilità i progetti pastorali di ogni luogo come un modo per realizzare la sua vocazione. Dovete incarnarvi concretamente.

Non potete essere come quei gruppi tanto universali che non hanno una base in nessun posto, che non rispondono a nessuno e vanno cercando ciò che più li aggrada di ogni luogo.

Agenti – Tutti senza eccezioni

Tutti i membri dell’Azione Cattolica sono dinamicamente missionari. I ragazzi evangelizzano i ragazzi, i giovani i giovani, gli adulti gli adulti, e così via. Niente di meglio di un proprio pari per mostrare che è possibile vivere la gioia della fede.

Evitate di cadere nella tentazione perfezionista dell’eterna preparazione per la missione e delle eterne analisi, che quando si concludono sono già passate di moda o sono superate. L’esempio è Gesù con gli apostoli: li inviava con quello che avevano. Poi li riuniva e li aiutava a discernere su ciò che avevano vissuto.

Che sia la realtà a dettarvi il tempo, che permettiate allo Spirito Santo di guidarvi. Egli è il maestro interiore che illumina il nostro operato quando siamo liberi da preconcetti e condizionamenti. S’impara a evangelizzare evangelizzando, come s’impara a pregare pregando, se il nostro cuore è bendisposto.

Tutti potete andare in missione anche se non tutti potete uscire nelle strade o nelle campagne. È molto importante il posto che date alle persone anziane che sono membri da lungo tempo o che s’incorporano. Si potrebbe dire: possono essere la sezione contemplativa e intercessore all’interno delle diverse sezioni dell’Azione Cattolica. Sono loro a poter creare il patrimonio di preghiera e di grazia per la missione. Come pure i malati. Questa preghiera Dio l’ascolta con tenerezza speciale. Che tutti loro si sentano partecipi, si scoprano attivi e necessari.

Destinatari – Tutti gli uomini e tutte le periferie

È necessario che l’Azione Cattolica sia presente nel mondo politico, imprenditoriale, professionale, ma non perché ci si creda cristiani perfetti e formati, ma per servire meglio.

È indispensabile che l’Azione Cattolica sia presente nelle carceri, negli ospedali, nelle strade, nelle baraccopoli, nelle fabbriche. Se così non sarà, sarà un’istituzione di esclusivisti che non dicono nulla a nessuno, neppure alla stessa Chiesa.

Voglio un’Azione Cattolica tra la gente, nella parrocchia, nella diocesi, nel paese, nel quartiere, nella famiglia, nello studio e nel lavoro, nella campagna, negli ambiti propri della vita. È in questi nuovi areopaghi che si prendono decisioni e si costruisce la cultura.

Snellire i modi d’inserimento. Non siate dogane. Non potete essere più restrittivi della stessa Chiesa né più papisti del Papa. Aprite le porte, non fate esami di perfezione cristiana perché così facendo promuoverete un fariseismo ipocrita. C’è bisogno di misericordia attiva.

L’impegno che assumono i laici che aderiscono all’Azione Cattolica guarda avanti. È la decisione di lavorare per la costruzione del regno. Non bisogna “burocratizzare” questa grazia particolare perché l’invito del Signore viene quando meno ce lo aspettiamo; non possiamo neppure “sacramentalizzare” l’ufficializzazione con requisiti che rispondono a un altro ambito della vita della fede e non a quello dell’impegno evangelizzatore. Tutti hanno diritto a essere evangelizzatori.

Che l’Azione Cattolica offra lo spazio di accoglienza e di esperienza cristiana a quanti, per motivi personali, si sentono “cristiani di second’ordine”.

Modo – In mezzo al popolo

Il modo dipende dai destinatari. Come ci ha detto il Concilio e preghiamo spesso nella Messa: attenti e condividendo le lotte e le speranze degli uomini per mostrare loro il cammino della salvezza. L’Azione Cattolica non può stare lontano dal popolo, ma viene dal popolo e deve stare in mezzo al popolo. Dovete popolarizzare di più l’Azione Cattolica. Non è una questione d’immagine ma di veridicità e di carisma. Non è neppure demagogia, ma seguire i passi del maestro che non ha provato disgusto per nulla.

Per poter seguire questo cammino è bene ricevere un quartiere popolare. Condividere la vita della gente e imparare a scoprire quali sono i suoi interessi e le sue ricerche, quali sono i suoi aneliti e le sue ferite più profonde; e di che cosa ha bisogno da noi. Ciò è fondamentale per non cadere nella sterilità di dare risposte a domande che nessuno si fa. I modi di evangelizzare si possono pensare da una scrivania, ma solo dopo essere stati in mezzo al popolo e non al contrario.

Un’Azione Cattolica più popolare, più incarnata, vi causerà problemi, perché vorranno far parte dell’istituzione persone che apparentemente non sono in condizioni di farlo: famiglie in cui i genitori non si sono sposati in Chiesa, uomini e donne con un passato o un presente difficile ma che lottano, giovani disorientati e feriti. È una sfida alla maternità ecclesiale dell’Azione Cattolica; ricevere tutti e accompagnarli nel cammino della vita con le croci che portano sulle spalle.

Tutti possono partecipare a partire da ciò che hanno e con quel che possono.

Per questo popolo concreto ci si forma. Con questo e per questo popolo concreto si prega.

Aguzzate la vista per vedere i segni di Dio presenti nella realtà, soprattutto nelle espressioni di religiosità popolare. Da lì potrete capire meglio il cuore degli uomini e scoprirete i modi sorprendenti con cui Dio agisce al di là dei nostri concetti.

Progetto – Azione Cattolica in uscita – Passione per Cristo, passione per il nostro popolo

Vi siete proposti un’Azione Cattolica in uscita, e questo è un bene perché vi situa sul vostro proprio asse. Uscita significa apertura, generosità, incontro con la realtà al di là delle quattro mura dell’istituzione e delle parrocchie. Ciò significa rinunciare a controllare troppo le cose e a programmare i risultati. È questa libertà, che è frutto dello Spirito Santo, che vi farà crescere.

Il progetto evangelizzatore dell’Azione Cattolica deve compiere i seguenti passi: primerear, cioè prendere l’iniziativa, partecipare, accompagnare, fruttificare e festeggiare. Un passo avanti nell’uscita, incarnati e camminando insieme. Questo è già un frutto da festeggiare. Contagiate con la gioia della fede, che si noti la gioia di evangelizzare in ogni occasione, opportuna e non opportuna.

Non cadete nella tentazione dello strutturalismo. Siate audaci, non siete più fedeli alla Chiesa se aspettate a ogni passo che vi dicano che cosa dovete fare.

Incoraggiate i vostri membri ad apprezzare la missione corpo a corpo casuale o a partire dall’azione missionaria della comunità.

Non clericalizzate il laicato. Che l’aspirazione dei vostri membri non sia di far parte del sinedrio delle parrocchie che circonda il parroco ma la passione per il regno. Non dimenticatevi però di impostare il tema vocazionale con serietà. Scuola di santità che passa necessariamente per la scoperta della propria vocazione, che non è esser un dirigente o un prete diplomato, bensì, e prima di tutto, un evangelizzatore.

Dovete essere luogo di incontro per il resto dei carismi istituzionali e dei movimenti che ci sono nella Chiesa senza paura di perdere identità. Inoltre, tra i vostri membri devono uscire evangelizzatori, catechisti, missionari, operatori sociali che continueranno a far crescere la Chiesa.

Molte volte si è detto che l’Azione Cattolica è il braccio lungo della gerarchia e questo, lungi dall’essere una prerogativa che fa guardare gli altri dall’alto in basso, è una responsabilità molto grande che implica fedeltà e coerenza a quello che la Chiesa mostra in ogni momento della storia senza pretendere di restare ancorati a forme passate come se fossero le uniche possibili. La fedeltà alla missione esige questa “plasticità buona” di chi ha rivolto un orecchio al popolo e l’altro a Dio.

Nella pubblicazione “La Acción Católica a luz de la teología Tomista”, del 1937, si legge: “Forse l’Azione Cattolica non deve tradursi in Passione Cattolica?”. La passione cattolica, la passione della Chiesa è vivere la dolce e confortante gioia di evangelizzare. Questo è ciò di cui abbiamo bisogno dall’Azione Cattolica.

Grazie.

PAPA FRANCESCO ALL'AC: INCORAGGIATE I VOSTRI MEMBRI AD APPREZZARE LA MISSIONE CORPO A CORPO CASUALE

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO DEL
FORUM INTERNAZIONALE DELL'AZIONE CATTOLICA (FIAC)

Aula del Sinodo, Giovedì, 27 aprile 2017

Cari fratelli e sorelle,

Vi saluto in occasione della celebrazione di questo Congresso internazionale di Azione Cattolica, che ha come tema: “Azione Cattolica in missione con tutti e per tutti”. Mi piacerebbe condividere con voi alcune preoccupazioni e considerazioni.

Carisma – ricreazione alla luce di Evangelii gaudium

Storicamente l’Azione Cattolica ha avuto la missione di formare laici che si assumessero la propria responsabilità nel mondo. Oggi, in concreto, è la formazione di discepoli missionari. Grazie per aver assunto decisamente la Evangelii gaudium come magna carta.

Il carisma dell’Azione Cattolica è il carisma della stessa Chiesa incarnata profondamente nell’oggi e nel qui di ogni Chiesa diocesana che discerne in contemplazione e con sguardo attento la vita del suo popolo e cerca nuovi cammini di evangelizzazione e di missione a partire dalle diverse realtà parrocchiali.

L’Azione Cattolica ha avuto tradizionalmente quattro pilastri o zampe: la Preghiera, la Formazione, il Sacrificio e l’Apostolato. A seconda del momento della sua storia ha poggiato prima una zampa e poi le altre. Così, in un certo momento, a essere più forte è stata la preghiera o la formazione dottrinale. Date le caratteristiche del momento, l’apostolato deve essere il tratto distintivo ed è la zampa che si poggia per prima. E questo non va a detrimento delle altre realtà, ma, proprio al contrario, è ciò che le provoca. L’apostolato missionario ha bisogno di preghiera, formazione e sacrificio. Ciò appare chiaramente ad Aparecida e nella Evangelii gaudium. C’è un dinamismo integratore nella missione.

Formate: offrendo un processo di crescita nella fede, un percorso catechetico permanente orientato alla missione, adeguato a ogni realtà, basandovi sulla Parola di Dio, per animare una felice amicizia con Gesù e l’esperienza di amore fraterno.

Pregate: in quella santa estroversione che pone il cuore nei bisogni del popolo, nelle sue sofferenze e nelle sue gioie. Una preghiera che camini, che vi porti molto lontano. Così eviterete di stare a guardare continuamente voi stessi.

Sacrificatevi: ma non per sentirvi più puliti, il sacrificio generoso è quello che fa bene agli altri. Offrite il vostro tempo cercando come fare perché gli altri crescano, offrite quello che c’è nelle tasche condividendolo con quanti hanno meno, offrite generosamente il dono della vocazione personale per abbellire e far crescere la casa comune.

Rinnovare l’impegno evangelizzatore – diocesanità – parrocchie

La missione non è un compito tra i tanti nell’Azione Cattolica, è il compito. L’Azione Cattolica ha il carisma di portare avanti la pastorale della Chiesa. Se la missione non è la sua forza distintiva, si snatura l’essenza dell’Azione Cattolica, e perde la sua ragion d’essere.

È vitale rinnovare e aggiornare l’impegno dell’Azione Cattolica per l’evangelizzazione, giungendo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, in tutte le periferie esistenziali, veramente, non come una semplice formulazione di principi.

Ciò implica ripensare i vostri piani di formazione, le vostre forme di apostolato e persino la vostra stessa preghiera affinché siano essenzialmente, e non occasionalmente, missionari. Abbandonare il vecchio criterio: perché si è sempre fatto così. Ci sono cose che sono state davvero molto buone e meritorie, che oggi sarebbero fuori contesto se le volessimo ripetere.

L’Azione Cattolica deve assumere la totalità della missione della Chiesa in generosa appartenenza alla Chiesa diocesana a partire dalla Parrocchia.

La missione della Chiesa universale si aggiorna in ogni Chiesa particolare con il proprio colore; parimenti l’Azione Cattolica acquista vita autentica rispondendo e assumendo come propria la pastorale di ogni Chiesa diocesana nel suo inserimento concreto a partire dalle parrocchie.

L’Azione Cattolica deve offrire alla Chiesa diocesana un laicato maturo che serva con disponibilità i progetti pastorali di ogni luogo come un modo per realizzare la sua vocazione. Dovete incarnarvi concretamente.

Non potete essere come quei gruppi tanto universali che non hanno una base in nessun posto, che non rispondono a nessuno e vanno cercando ciò che più li aggrada di ogni luogo.

Agenti – Tutti senza eccezioni

Tutti i membri dell’Azione Cattolica sono dinamicamente missionari. I ragazzi evangelizzano i ragazzi, i giovani i giovani, gli adulti gli adulti, e così via. Niente di meglio di un proprio pari per mostrare che è possibile vivere la gioia della fede.

Evitate di cadere nella tentazione perfezionista dell’eterna preparazione per la missione e delle eterne analisi, che quando si concludono sono già passate di moda o sono superate. L’esempio è Gesù con gli apostoli: li inviava con quello che avevano. Poi li riuniva e li aiutava a discernere su ciò che avevano vissuto.

Che sia la realtà a dettarvi il tempo, che permettiate allo Spirito Santo di guidarvi. Egli è il maestro interiore che illumina il nostro operato quando siamo liberi da preconcetti e condizionamenti. S’impara a evangelizzare evangelizzando, come s’impara a pregare pregando, se il nostro cuore è bendisposto.

Tutti potete andare in missione anche se non tutti potete uscire nelle strade o nelle campagne. È molto importante il posto che date alle persone anziane che sono membri da lungo tempo o che s’incorporano. Si potrebbe dire: possono essere la sezione contemplativa e intercessore all’interno delle diverse sezioni dell’Azione Cattolica. Sono loro a poter creare il patrimonio di preghiera e di grazia per la missione. Come pure i malati. Questa preghiera Dio l’ascolta con tenerezza speciale. Che tutti loro si sentano partecipi, si scoprano attivi e necessari.

Destinatari – Tutti gli uomini e tutte le periferie

È necessario che l’Azione Cattolica sia presente nel mondo politico, imprenditoriale, professionale, ma non perché ci si creda cristiani perfetti e formati, ma per servire meglio.

È indispensabile che l’Azione Cattolica sia presente nelle carceri, negli ospedali, nelle strade, nelle baraccopoli, nelle fabbriche. Se così non sarà, sarà un’istituzione di esclusivisti che non dicono nulla a nessuno, neppure alla stessa Chiesa.

Voglio un’Azione Cattolica tra la gente, nella parrocchia, nella diocesi, nel paese, nel quartiere, nella famiglia, nello studio e nel lavoro, nella campagna, negli ambiti propri della vita. È in questi nuovi areopaghi che si prendono decisioni e si costruisce la cultura.

Snellire i modi d’inserimento. Non siate dogane. Non potete essere più restrittivi della stessa Chiesa né più papisti del Papa. Aprite le porte, non fate esami di perfezione cristiana perché così facendo promuoverete un fariseismo ipocrita. C’è bisogno di misericordia attiva.

L’impegno che assumono i laici che aderiscono all’Azione Cattolica guarda avanti. È la decisione di lavorare per la costruzione del regno. Non bisogna “burocratizzare” questa grazia particolare perché l’invito del Signore viene quando meno ce lo aspettiamo; non possiamo neppure “sacramentalizzare” l’ufficializzazione con requisiti che rispondono a un altro ambito della vita della fede e non a quello dell’impegno evangelizzatore. Tutti hanno diritto a essere evangelizzatori.

Che l’Azione Cattolica offra lo spazio di accoglienza e di esperienza cristiana a quanti, per motivi personali, si sentono “cristiani di second’ordine”.

Modo – In mezzo al popolo

Il modo dipende dai destinatari. Come ci ha detto il Concilio e preghiamo spesso nella Messa: attenti e condividendo le lotte e le speranze degli uomini per mostrare loro il cammino della salvezza. L’Azione Cattolica non può stare lontano dal popolo, ma viene dal popolo e deve stare in mezzo al popolo. Dovete popolarizzare di più l’Azione Cattolica. Non è una questione d’immagine ma di veridicità e di carisma. Non è neppure demagogia, ma seguire i passi del maestro che non ha provato disgusto per nulla.

Per poter seguire questo cammino è bene ricevere un quartiere popolare. Condividere la vita della gente e imparare a scoprire quali sono i suoi interessi e le sue ricerche, quali sono i suoi aneliti e le sue ferite più profonde; e di che cosa ha bisogno da noi. Ciò è fondamentale per non cadere nella sterilità di dare risposte a domande che nessuno si fa. I modi di evangelizzare si possono pensare da una scrivania, ma solo dopo essere stati in mezzo al popolo e non al contrario.

Un’Azione Cattolica più popolare, più incarnata, vi causerà problemi, perché vorranno far parte dell’istituzione persone che apparentemente non sono in condizioni di farlo: famiglie in cui i genitori non si sono sposati in Chiesa, uomini e donne con un passato o un presente difficile ma che lottano, giovani disorientati e feriti. È una sfida alla maternità ecclesiale dell’Azione Cattolica; ricevere tutti e accompagnarli nel cammino della vita con le croci che portano sulle spalle.

Tutti possono partecipare a partire da ciò che hanno e con quel che possono.

Per questo popolo concreto ci si forma. Con questo e per questo popolo concreto si prega.

Aguzzate la vista per vedere i segni di Dio presenti nella realtà, soprattutto nelle espressioni di religiosità popolare. Da lì potrete capire meglio il cuore degli uomini e scoprirete i modi sorprendenti con cui Dio agisce al di là dei nostri concetti.

Progetto – Azione Cattolica in uscita – Passione per Cristo, passione per il nostro popolo

Vi siete proposti un’Azione Cattolica in uscita, e questo è un bene perché vi situa sul vostro proprio asse. Uscita significa apertura, generosità, incontro con la realtà al di là delle quattro mura dell’istituzione e delle parrocchie. Ciò significa rinunciare a controllare troppo le cose e a programmare i risultati. È questa libertà, che è frutto dello Spirito Santo, che vi farà crescere.

Il progetto evangelizzatore dell’Azione Cattolica deve compiere i seguenti passi: primerear, cioè prendere l’iniziativa, partecipare, accompagnare, fruttificare e festeggiare. Un passo avanti nell’uscita, incarnati e camminando insieme. Questo è già un frutto da festeggiare. Contagiate con la gioia della fede, che si noti la gioia di evangelizzare in ogni occasione, opportuna e non opportuna.

Non cadete nella tentazione dello strutturalismo. Siate audaci, non siete più fedeli alla Chiesa se aspettate a ogni passo che vi dicano che cosa dovete fare.

Incoraggiate i vostri membri ad apprezzare la missione corpo a corpo casuale o a partire dall’azione missionaria della comunità.

Non clericalizzate il laicato. Che l’aspirazione dei vostri membri non sia di far parte del sinedrio delle parrocchie che circonda il parroco ma la passione per il regno. Non dimenticatevi però di impostare il tema vocazionale con serietà. Scuola di santità che passa necessariamente per la scoperta della propria vocazione, che non è esser un dirigente o un prete diplomato, bensì, e prima di tutto, un evangelizzatore.

Dovete essere luogo di incontro per il resto dei carismi istituzionali e dei movimenti che ci sono nella Chiesa senza paura di perdere identità. Inoltre, tra i vostri membri devono uscire evangelizzatori, catechisti, missionari, operatori sociali che continueranno a far crescere la Chiesa.

Molte volte si è detto che l’Azione Cattolica è il braccio lungo della gerarchia e questo, lungi dall’essere una prerogativa che fa guardare gli altri dall’alto in basso, è una responsabilità molto grande che implica fedeltà e coerenza a quello che la Chiesa mostra in ogni momento della storia senza pretendere di restare ancorati a forme passate come se fossero le uniche possibili. La fedeltà alla missione esige questa “plasticità buona” di chi ha rivolto un orecchio al popolo e l’altro a Dio.

Nella pubblicazione “La Acción Católica a luz de la teología Tomista”, del 1937, si legge: “Forse l’Azione Cattolica non deve tradursi in Passione Cattolica?”. La passione cattolica, la passione della Chiesa è vivere la dolce e confortante gioia di evangelizzare. Questo è ciò di cui abbiamo bisogno dall’Azione Cattolica.

Grazie.

IL VERBO SI E' FATTO CARNE NON IDEA. IL VERBO SI E' FATTO CARNE NON LEGGE

PAPA FRANCESCO
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

La fede è concreta, Lunedì, 24 aprile 2017
(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVII, n.95, 25/04/2017)

Cosa significa vivere davvero la Pasqua, lo «spirito pasquale»? Domanda necessaria, perché per il cristiano c’è il rischio della «idealizzazione» e di dimenticare che «la nostra fede è concreta». Nella prima messa celebrata a Santa Marta dopo le festività pasquali, nella mattina di lunedì 24 aprile, Papa Francesco ha tracciato il percorso da seguire: «andare sulle strade dello Spirito, senza compromessi», testimoniando con coraggio e franchezza la verità.

Per comprendere questo programma di vita occorre un «passaggio di mentalità», liberarsi dai lacci del «razionalismo» e aderire alla «libertà» dello Spirito. Ed è ciò che Gesù spiegava a Nicodemo nel celebre episodio evangelico della visita notturna (Giovanni, 3, 1-8) preso in esame dal Pontefice commentando la liturgia odierna.

«Questo fariseo — ha detto il Papa — era un uomo buono. Era inquieto, non capiva. Il suo cuore era nella notte». Si trattava però di «una notte diversa da quella di Giuda, perché questa è una notte che lo portava ad avvicinarsi a Gesù, l’altro ad allontanarsi». Andato da Gesù per «chiedere spiegazioni», riceve una risposta che «non capisce». Sembra quasi che «Gesù volesse complicare le cose o metterlo in imbarazzo». Risponde infatti: «In verità io ti dico: se uno non nasce dall’alto, non può vedere il Regno di Dio». Nicodemo domanda: «Ma come si può nascere un’altra volta?». Sembra, ha fatto notare Francesco, «un po’ ironico, ma non è così». È invece l’espressione di un grande tormento interiore. Gesù allora spiega che si tratta di «un passaggio da una mentalità a un’altra» e «con tanta pazienza, con tanto amore, a quest’uomo di buona volontà, lo aiuta in questo passaggio».

Anche il Pontefice si è soffermato sulla risposta di Gesù: «Ma cosa significa “nascere dallo Spirito”? Cosa significa “dovete nascere dall’alto: il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va. Così è chiunque è nato dallo Spirito”». E ha sottolineato come in questo messaggio si percepisca «un’aria di libertà».

Resta, comunque, un discorso, non facile e «per capirlo meglio — ha suggerito il Papa — ci illumina la prima lettura». Nel brano proposto dalla liturgia (Atti degli apostoli, 4, 23-31) s’incontra infatti «il finale di una storia che la liturgia ha proposto durante tutta la settimana della Pasqua. La storia della guarigione, da parte di Pietro e Giovanni, di quello storpio che era portato tutti i giorni presso la porta del Tempio, detta “la bella”, per chiedere l’elemosina». La lettura di questo episodio getta luce sul discorso a Nicodemo. Lo ha spiegato il Papa facendo notare che «tutta la gente che era lì al portico di Salomone», aveva «visto» e si era stupita. Si tratta proprio di «quel sentimento — più di un sentimento: quello stato d’animo — che fa in noi la presenza del Signore. Lo stupore. L’incontro con il Signore porta allo stupore».

Di fronte a ciò i capi, i sommi sacerdoti, i dottori della legge, si erano «scandalizzati» e, consapevoli che il miracolo fosse pubblico, si chiedevano: «Cosa facciamo?». Lo stesso, ha ricordato il Pontefice, accadde quando Gesù guarì il cieco dalla nascita. Quindi i presenti si chiedevano: «Come facciamo per coprire questo? Perché la gente ha visto, la gente crede, abbiamo l’evidenza... Come nascondere questo?». Del resto, vedevano quello storpio che secondo la narrazione «ballava di gioia per far capire loro che Gesù l’aveva guarito». I dottori della legge si misero d’accordo di chiamare i due apostoli e «di dire loro di non parlare più, di non predicare più», ma quando fecero «loro la proposta», Pietro — proprio lui che «aveva rinnegato Gesù tre volte» rispose: «No! Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato. E... continueremo così».

Ecco il dettaglio che chiarisce tutto. Le «due parole» che sono poi le stesse con le quali Giovanni inizia la prima lettera: «quello che abbiamo visto e ascoltato». Si tratta, ha fatto notare il Papa, della «concretezza. La concretezza di un fatto. La concretezza della fede. La concretezza dell’incarnazione del Verbo».

Di fronte a ciò, ha continuato a spiegare il Pontefice, «i capi vogliono entrare nei negoziati per arrivare a compromessi». Ma gli apostoli «non vogliono compromessi; hanno coraggio. Hanno la franchezza, la franchezza dello Spirito». Una «franchezza che significa parlare apertamente, con coraggio». È quindi «questo il punto: la concretezza della fede». Una conclusione che coinvolge ogni cristiano. Ha infatti ricordato Francesco: «Alle volte noi dimentichiamo che la nostra fede è concreta: il Verbo si è fatto carne, non si è fatto idea: si è fatto carne». Non a caso «quando recitiamo il Credo, diciamo tutte cose concrete: “Credo in Dio Padre, che ha fatto il cielo e la terra, credo in Gesù Cristo che è nato, che è morto...”, sono tutte cose concrete. Il Credo nostro non dice: “Io credo che devo fare questo, che devo fare questo, che devo fare questo o che le cose sono per queste...”: no! Sono cose concrete». E la «concretezza della fede» porta «alla franchezza, alla testimonianza fino al martirio, che è contro i compromessi o l’idealizzazione della fede». Si potrebbe dire che per quei dottori della legge «il Verbo non si è fatto carne: si è fatto legge». Per loro era importante solo stabilire: «si deve fare questo fino a qui e non di più; si deve fare questo... E così erano ingabbiati in questa mentalità razionalistica». Una mentalità, però, ha avvisato il Papa, «che non è finita con loro». Infatti nella storia tante volte quella Chiesa «che ha condannato il razionalismo, l’illuminismo», è anch’essa «caduta in una teologia del “si può e non si può”, “fino a qui, fino a là”, e ha dimenticato la forza, la libertà dello Spirito, questo rinascere dallo Spirito che ti dà la libertà, la franchezza della predica, l’annuncio che Gesù Cristo è il Signore».

Secondo questa chiave di lettura, ha chiarito il Pontefice, si capisce anche «la storia delle persecuzioni». E infatti nella prima lettura si legge: «Si sollevarono i re della terra, i principi si allearono insieme contro il Signore e contro il suo Cristo. Davvero in questa città Erode e Ponzio Pilato, con le nazioni e il popolo di Israele si sono alleati contro il Tuo Unto, il Signore».

Ecco allora l’insegnamento ancora attuale: «Chiediamo al Signore questa esperienza dello Spirito che va e viene e ci porta avanti, dello Spirito che ci dà l’unzione della fede, l’unzione delle concretezze della fede». Risuonano di nuovo le parole dette a Nicodemo: «Non meravigliarti se ti ho detto: “Dovete nascere dall’alto”. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va. Così è chiunque è nato dallo Spirito”». Chi è nato dallo Spirito «sente la voce, segue il vento, segue la voce dello Spirito senza conoscere dove finirà. Perché ha fatto un’opzione per la concretezza della fede e la rinascita nello Spirito».

Per questo Papa Francesco ha concluso con una preghiera: «Il Signore ci dia a tutti noi questo Spirito pasquale, di andare sulle strade dello Spirito senza compromessi, senza rigidità, con la libertà di annunciare Gesù Cristo come Lui è venuto: in carne».

LO STUPORE DELL’INCONTRO CON CRISTO RISORTO

Omelia nella II Domenica di Pasqua, San Girolamo 23 aprile 2017

«Il cristianesimo […] non è un’ideologia, non è un sistema filosofico, ma è un cammino di fede che parte da un avvenimento, testimoniato dai primi discepoli di Gesù». Così Papa Francesco nella Catechesi di mercoledì scorso ha richiamato «il nucleo centrale della fede» (Udienza generale, 19.04.17) a partire dal primo documento storico sulla Resurrezione di Cristo – 1Cor 15 – in cui San Paolo elenca tutti gli incontri avvenuti con il Risorto (Cefa, i Dodici, cinquecento fratelli in una volta sola… cfr. 1Cor 15, 5-7) fino al suo personale «incontro con Gesù Risorto, sulla via di Damasco. Lì non ci fu soltanto un uomo che cadde a terra: ci fu una persona afferrata da un avvenimento che gli avrebbe capovolto il senso della vita. E il persecutore diviene apostolo, perché? Perché io ho visto Gesù vivo! Io ho visto Gesù Cristo risorto! Questo è il fondamento della fede di Paolo, come della fede degli altri apostoli, come della fede della Chiesa, come della nostra fede. Che bello pensare che il cristianesimo, essenzialmente, è questo!» (Francesco, Udienza generale, 19.04.17).
«Io ho visto Gesù Risorto, ho visto Gesù vivo»! Non accontentiamoci di meno rispetto a quanto è accaduto agli apostoli. Oggi la liturgia ci presenta l’esperienza di Tommaso, il quale, dopo aver udito la testimonianza degli altri discepoli – «Abbiamo visto il Signore!» (Gv 20, 25), la stessa espressione utilizzata da Maria Maddalena: «Ho visto il Signore!» (Gv 20, 18) – reagì: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo» (Gv 20, 25). La domanda è giusta ma la risposta di Cristo sarà molto di più della fisicità che lui chiede. In verità Gesù stesso mostra la carnalità della sua presenza, ovvero le mani, i piedi e il fianco dove erano ben visibili le ferite della crocifissione (cfr. Gv 20,20), invitando a guardare e toccare, sottolineando che non è un fantasma ma è presente in carne ed ossa, risorto nel suo vero corpo, giungendo perfino a farsi dare del pesce arrostito mangiandolo davanti a loro (cfr. Lc 24, 39-43). Ma la Sua presenza non è limitata a quella fisicità. Egli parla e mangia con i discepoli (cfr. Gv 21, 9-14) ma sovente non viene immediatamente riconosciuto (cfr. Lc 24, 16), sparisce dalla loro vista (cfr. Lc 24, 31) o compare improvvisamente tra loro (cfr. Gv 20, 19.26). La Resurrezione di Cristo è un fatto che riguarda l’ordine storico e fisico (cfr. il Catechismo della Chiesa Cattolica, 643) ma al tempo stesso non rimane imprigionato in quel momento, attraversa il tempo e lo spazio mutando la realtà stessa, che, in ogni particolare ed in ogni circostanza, sarà sempre segnata dalla Sua Presenza (cfr. CCC, 646-647). Per questo non è scontato, neppure per i discepoli, il riconoscimento della Sua Presenza ed i racconti evangelici non omettono nulla della loro incredulità iniziale. Questo ci mostra che a loro non è stato risparmiato nulla del dramma che viviamo noi ed evidenzia, al tempo stesso, un’esperienza nuova del loro rapporto con Cristo, che passa attraverso la Morte e la Risurrezione di Gesù, della quale anche noi oggi, duemila anni dopo, possiamo partecipare integralmente. Anche per i discepoli è stato necessario questo passaggio, altrimenti sarebbero rimasti legati a una modalità del loro rapporto con Gesù in cui il fascino iniziale sarebbe, prima o poi, degradato in una nostalgia malinconica, ridotto a una loro misura. Invece il dono dello Spirito Santo, che l’evangelista Giovanni nel brano proposto dalla liturgia odierna lega alla prima apparizione di Cristo risorto agli Apostoli (cfr. Gv 20, 22), li conduce alla pienezza della conoscenza della divinità di Gesù, affinché l’esperienza vissuta diventi fino in fondo loro, come il Signore stesso aveva promesso: «È bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito […] lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità» (Gv 13, 7.16).
Quando Gesù appare per la seconda volta ai discepoli e si rivolge a Tommaso – «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!» (Gv 20, 27) – lo conduce al compimento del percorso della fede, all’esperienza della “pienezza della verità”, ad un riconoscimento che è molto di più del “vedere e toccare”: «Gli rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”» (Gv 20, 28). Questo percorso sarebbe stato possibile anche a partire dal volto della Maddalena o dai volti delle altre donne e degli altri apostoli che gli dicevano «Abbiamo visto il Signore» (Gv 20,25). Così la stessa esperienza è possibile per noi oggi, grazie al dono dello Spirito Santo, a partire dalla carnalità dei fatti e degli incontri in cui Cristo risorto ci afferra per farci suoi. Non basta “vedere e toccare”, occorre lasciarsi trascinare e condurre da questa carne – la fragile carne dei nostri volti e dei testimoni che lo Spirito di fa incontrare – fino al riconoscimento di Gesù vivo e presente: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20, 28). Per questo nel Triduo pasquale, dopo l’intensa esperienza vissuta nella giornata di Domenica 26 marzo, ho invitato ad andare all’origine di quello che ci sta accadendo, per riconoscere Lui, senza fermarci al fascino iniziale, poiché senza giungere a riconoscere Gesù vivo ci stancheremo della comunità, che non ci sosterrà realmente nelle sfide della vita, e di Cristo stesso, poiché anch’Egli si ridurrà a un puro nome, a un pretesto teorico. È un’esperienza possibile a tutti, nessun peccato, nessun limite e nessuna nostra debolezza la potranno impedire. Poiché «il cristianesimo è grazia, è sorpresa», occorre solo – come ha detto il Papa mercoledì scorso – «un cuore capace di stupore […] Perché […] la grazia soltanto si percepisce, e per di più si incontra nello stupore dell’incontro» (Udienza generale, 19.04.17).
Domandiamo insieme che il dono dello Spirito Santo cambi il nostro cuore, lo renda disponibile alla sorpresa e capace di stupore.

IL CRISTIANESIMO NON È UN’IDEOLOGIA O UN SISTEMA FILOSOFICO MA UN CAMMINO DI FEDE CHE PARTE DA UN AVVENIMENTO

Dalla Catechesi di Papa Francesco nell'Udienza generale di Mercoledì 19 aprile 2017.

Nel nostro itinerario di catechesi sulla speranza cristiana, oggi desidero parlarvi di Cristo Risorto, nostra speranza, così come lo presenta san Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi (cfr cap. 15). [...] Parlando ai suoi cristiani, Paolo parte da un dato inoppugnabile, che non è l’esito di una riflessione di qualche uomo sapiente, ma un fatto, un semplice fatto che è intervenuto nella vita di alcune persone. Il cristianesimo nasce da qui. Non è un’ideologia, non è un sistema filosofico, ma è un cammino di fede che parte da un avvenimento, testimoniato dai primi discepoli di Gesù. Paolo lo riassume in questo modo: Gesù è morto per i nostri peccati, fu sepolto, e il terzo giorno è risorto ed è apparso a Pietro e ai Dodici (cfr 1 Cor 15,3-5). Questo è il fatto: è morto, è sepolto, è risorto ed è apparso. Cioè, Gesù è vivo! Questo è il nocciolo del messaggio cristiano.
Annunciando questo avvenimento, che è il nucleo centrale della fede, Paolo insiste soprattutto sull’ultimo elemento del mistero pasquale, cioè sul fatto che Gesù è risuscitato. Se infatti tutto fosse finito con la morte, in Lui avremmo un esempio di dedizione suprema, ma questo non potrebbe generare la nostra fede. E’ stato un eroe. No! E’ morto, ma è risorto. Perché la fede nasce dalla risurrezione. Accettare che Cristo è morto, ed è morto crocifisso, non è un atto di fede, è un fatto storico. Invece credere che è risorto sì. La nostra fede nasce il mattino di Pasqua. Paolo fa un elenco delle persone a cui Gesù risorto apparve (cfr vv. 5-7). Abbiamo qui una piccola sintesi di tutti i racconti pasquali e di tutte le persone che sono entrate in contatto con il Risorto. In cima all’elenco ci sono Cefa, cioè Pietro, e il gruppo dei Dodici, poi “cinquecento fratelli” molti dei quali potevano rendere ancora la loro testimonianza, poi viene citato Giacomo. Ultimo della lista – come il meno degno di tutti – è lui stesso. Paolo dice di se stesso: “Come un aborto” (cfr v. 8).
Paolo usa questa espressione perché la sua storia personale è drammatica: lui non era un chierichetto, ma era un persecutore della Chiesa, orgoglioso delle proprie convinzioni; si sentiva un uomo arrivato, con un’idea molto limpida di cosa fosse la vita con i suoi doveri. Ma, in questo quadro perfetto – tutto era perfetto in Paolo, sapeva tutto – in questo quadro perfetto di vita, un giorno avviene ciò che era assolutamente imprevedibile: l’incontro con Gesù Risorto, sulla via di Damasco. Lì non ci fu soltanto un uomo che cadde a terra: ci fu una persona afferrata da un avvenimento che gli avrebbe capovolto il senso della vita. E il persecutore diviene apostolo, perché? Perché io ho visto Gesù vivo! Io ho visto Gesù Cristo risorto! Questo è il fondamento della fede di Paolo, come della fede degli altri apostoli, come della fede della Chiesa, come della nostra fede.
Che bello pensare che il cristianesimo, essenzialmente, è questo! Non è tanto la nostra ricerca nei confronti di Dio – una ricerca, in verità, così tentennante –, ma piuttosto la ricerca di Dio nei nostri confronti. Gesù ci ha presi, ci ha afferrati, ci ha conquistati per non lasciarci più. Il cristianesimo è grazia, è sorpresa, e per questo motivo presuppone un cuore capace di stupore. Un cuore chiuso, un cuore razionalistico è incapace dello stupore, e non può capire cosa sia il cristianesimo. Perché il cristianesimo è grazia, e la grazia soltanto si percepisce, e per di più si incontra nello stupore dell’incontro. [...]
In questi giorni di Pasqua, portiamo questo grido nel cuore. E se ci diranno il perché del nostro sorriso donato e della nostra paziente condivisione, allora potremo rispondere che Gesù è ancora qui, che continua ad essere vivo fra noi, che Gesù è qui, in piazza, con noi: vivo e risorto.

L'INCONTRO CHE FA ARDERE IL CUORE

Omelia nella Veglia Pasquale
San Girolamo, 15 aprile 2017

«Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l’altra Maria andarono a visitare la tomba» (Mt 28,1).
All’alba, quando era ancora buio, la Maddalena e le altre donne si recarono al sepolcro, dopo l’attesa del sabato, già cominciata al tramonto del giorno precedente quando, dopo aver visto dove era stato posto il corpo di Gesù (cfr. Mt 27, 61) erano tornate a casa con il cuore pieno di nostalgia e di desiderio. Durante la passione non avevano mai distolto lo sguardo da Lui (cfr. Lc 23,49.55-56), fino al momento della sepoltura. Probabilmente Maria Maddalena non ha dormito pensando a lui, non poteva più guardare a se stessa se non a partire da quello sguardo che aveva cambiato la sua esistenza per sempre, generando in lei una personalità nuova. Non poteva neppure pronunciare il proprio nome se non avendo negli occhi e nel cuore quella Presenza! Eppure in quel Sabato pareva dominare un’assenza.
Che mistero il Sabato santo, che dramma questa assenza, la morte di Dio in Gesù Cristo! Ma questa assenza nasconde l’estrema compagnia di Gesù alla nostra vita mentre Egli condivide la realtà della morte, come affermiamo nel Simbolo apostolico: «Discese agli inferi». Dio, fatto uomo, ha condiviso la nostra morte, è penetrato nel luogo della nostra estrema solitudine. Ora quel buio impenetrabile non è più buio, neppure lì siamo soli, come recita il salmista: «Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti. Se prendo le ali dell’aurora per abitare all’estremità del mare, anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra. Se dico: “Almeno l’oscurità mi copra…”, nemmeno le tenebre per te sono oscure … per te le tenebre sono come luce» (Sal 138 [139],8-12). Domani il papa emerito Benedetto XVI compie 90 anni e quando era giovane sacerdote, in una meditazione sul Sabato santo affermò: «Se un bambino si dovesse avventurare da solo nella notte buia attraverso un bosco, avrebbe paura anche se gli si dimostrasse centinaia di volte che non ci sarebbe alcun pericolo. […] Solo una voce umana potrebbe consolarlo; solo la mano di una persona cara potrebbe cacciare via come un brutto sogno l’angoscia. […] “Disceso all’inferno”: questa confessione del Sabato santo sta a significare che Cristo ha oltrepassato la porta della solitudine, che è disceso nel fondo irraggiungibile ed insuperabile della nostra condizione di solitudine. Questo sta a significare però che anche nella notte estrema nella quale non penetra alcuna parola, nella quale noi tutti siamo come bambini cacciati via, piangenti, si dà una voce che ci chiama, una mano che ci prende e ci conduce» (J. Ratzinger, Pasqua 1969).
Quella mano ci viene a prendere anche là dove sembrerebbe tutto perduto, nel nostro peccato, come ci ricorda il nostro Papa Francesco: «Il luogo privilegiato dell’incontro è la carezza della misericordia di Gesù Cristo verso il mio peccato. […] Il posto, il luogo privilegiato dell’incontro con Gesù Cristo è il mio peccato. La morale cristiana non è non cadere mai, ma alzarsi sempre, grazie alla sua mano che ci prende» (7 marzo 2015).
Egli ci viene a prendere, anzi ci precede: «L’angelo disse alle donne: “andate a dire ai suoi discepoli: È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”» (Mt 28, 5.7). Gesù risorto ci precede sempre in un incontro: «Gesù venne loro incontro […] disse loro: “Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno”» (Mt 28, 9-10).
In Galilea, nel luogo del primo incontro. Oggi, qui tra noi, perché solo l’incontro con Cristo che accade ora ribalta la pietra del sepolcro come un terremoto (cfr. Mt 28,2).
Come si può tornare al primo incontro? Non può bastare la nostalgia di un fatto del passato, ieri, trent’anni fa o duemila anni fa, prevarrebbe sempre la delusione di qualcosa che è stato ma non è più. È l’esperienza dei discepoli di Emmaus solo tre giorni dopo: «Noi speravamo … che avrebbe liberato Israele …» (Lc 24,21). Si può tornare al primo incontro solo se accade ora, solo quando Gesù vivo e risorto torna a sorprenderci, come 2000 anni fa, come la prima volta che lo abbiamo incontrato, ridestando e tornando a fare ardere il nostro cuore (cfr. Lc 24, 32), ad attrarre tutta la nostra affezione suscitando nuovamente il “primo amore” (cfr. Ap 2,4).
In questi primi mesi – ormai quasi un anno – vissuto qui a San Girolamo, sono lieto e stupito perché l’incontro con Cristo ci ha preceduto. Mendichiamo insieme di essere fedeli alla carne nella quale Gesù ci viene incontro, affinché sempre Egli torni a stupirci e sorprenderci ribaltando la pietra sepolcrale del “già saputo”, e questo “terremoto” (cfr. Mt 28, 2) non cessi di sconvolgere la nostra vita.

LA BELLEZZA DEL VOLTO SFIGURATO DI CRISTO

Omelia nella Liturgia della Passione
San Girolamo, 14 aprile 2017

«Quid est veritas?» (Gv 18,38) domanda Pilato. La risposta non è una definizione, non è una “dottrina”, ma il rapporto con un uomo che sta lì di fronte a lui. I medioevali rispondevano con l’anagramma della domanda di Pilato (secondo la traduzione latina): «Vir qui adest», un uomo qui presente.
Noi ora siamo di fronte a quell’uomo, desideriamo guardare il suo volto, sfigurato per le percosse e per le sofferenze della Passione iniziate sudando sangue nella preghiera del Getsemani, eppure attraente per una bellezza che corrisponde al cuore, poiché nella carne martoriata di Cristo riconosciamo un abbraccio per la nostra umanità ferita.
Dio è ricco di Misericordia (Cfr. Ef 2,4): mentre noi siamo scandalizzati per la nostra umanità ferita, povera, peccatrice, «Dio si è commosso per il nostro niente. Non solo: Dio si è commosso per il nostro tradimento, per la nostra povertà rozza, dimentica e traditrice, per la nostra meschinità, che è più ancora che essersi commosso per il nostro niente. “Ho avuto pietà del tuo niente, ho avuto pietà del tuo odio a me. Mi sono commosso perché tu mi odi”» (don Luigi Giussani).
Qui si parla di noi, capite? Questo “niente” sono io, questa “meschinità” è la mia, questa “povertà rozza, dimentica e traditrice” è la mia, ma tutto questo non mi definirà mai, nessuno di noi, come diceva don Oreste Benzi «è il suo peccato», tutti siamo definiti dallo sguardo di Misericordia con cui Dio ci stima e muore per noi, una Misericordia infinitamente più grande di ogni male.
Questo sguardo ci sorprende sempre attraverso uno sguardo umano.
Anche per noi, per me e per te, per l’uomo del nostro tempo, in questo “cambiamento d’epoca” in cui pare crollare tutto, si può fare esperienza della divinità di Cristo solo nell’incontro con la Sua umanità, nella quale ci scopriamo abbracciati e perdonati senza dover scartare nulla delle nostre ferite, del nostro limite e del nostro peccato.
Il cristianesimo non ha altra forza, oggi e sempre, non ha altre armi se non questa umanità di Cristo, inerme, spogliata di tutto sulla croce, ma per questo, totalmente definita dall’appartenenza al Padre, capace di attrarre anche oggi, anche adesso, il mio cuore, il tuo cuore, il cuore dell’uomo del nostro tempo.
A quest’uomo, il cui sguardo mendichiamo di incrociare nuovamente, ci consegniamo, domandando – nella grande Preghiera universale, che conclude la prima parte di questa ricca liturgia – che questo abbraccio raggiunga ciascuno dei nostri fratelli uomini.

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LASCIAMOCI ABBRACCIARE E PERDONARE

Omelia nella Santa Messa della Cena del Signore
San Girolamo, Giovedì Santo 13 aprile 2017

«[Gesù] venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: “Signore, tu lavi i piedi a me?”. Rispose Gesù: “Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo”. Gli disse Pietro: “Tu non mi laverai i piedi in eterno!”. Gli rispose Gesù: “Se non ti laverò, non avrai parte con me”. Gli disse Simon Pietro: “Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!”» (Gv 13,6-9).
Lasciarsi lavare i piedi da Gesù sembrerebbe la cosa più facile, eppure è semplice ma non facile, proprio perché richiede un’autentica semplicità, quella che ci richiama Papa Francesco nell’intervista pubblicata oggi, quando riferendosi ai detenuti che ama incontrare, afferma: «Alcuni dicono sono colpevoli. Io rispondo con la parola di Gesù: chi non è colpevole scagli la prima pietra. Guardiamoci dentro e cerchiamo di vedere le nostre colpe. Allora, il cuore diventerà più umano» (Intervista a cura di P. Rodari, la Repubblica del 13.04.17, p 1).
In fondo il dramma più grande – e sta qui una fondamentale differenza tra il tradimento di Giuda e il rinnegamento di Pietro, entrambi preannunciati da Gesù nel contesto dell’Ultima cena (cfr. Gv 13, 21.37-38) – consiste essenzialmente nell’accettare il perdono di Cristo, nel riconoscere che solo il suo abbraccio di Misericordia può donarci quella purezza che noi pretendiamo di ottenere con la misura del nostro sforzo. Mentre Giuda – scandalizzato dalla debolezza di Gesù, che gli pareva troppo poco rispetto al suo progetto di liberazione – si ritrova schiacciato dal male compiuto, in Pietro prevale l’affezione a Cristo, dal cui sguardo di Misericordia può ripartire: «in quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro, e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto: “Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte”. E, uscito fuori, pianse amaramente» (Lc 22,60-62).
Per accettare un perdono che non meritiamo, occorre lasciar entrare nella nostra vita un’altra misura (cfr. Lc 6,38) e lasciarsi abbracciare da uno sguardo che non possiamo darci da soli: «il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro» (Lc 22,60). La stessa affezione non si compie nella nostra presunta capacità di amare, nella quale sottilmente si nasconde l’affermazione di noi stessi, ma nella disponibilità a lasciarsi amare.
«Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13,1). Gesù è appassionato al compimento del nostro destino, il suo cuore è carico di uno struggimento affinché ognuno di noi si lasci abbracciare e perdonare. Il gesto che oggi la liturgia ci fa compiere, ci mette di fronte a Gesù che realizza la Sua Signoria sul mondo inginocchiandosi davanti a ciascuno di noi e mendicando il nostro pentimento, assetato della nostra sete (cfr. il dialogo di Gesù con la Samaritana in Gv 4,5-18).
Lavando e facendoci lavare i piedi, riconosciamo il nostro bisogno di essere perdonati, il bisogno di comunicarci l’esperienza che viviamo lasciandoci abbracciare dalla Sua Misericordia.
«Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: “Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”» (Gv 13, 12-15).
Chinandomi a lavarti i piedi posso imparare l’unico modo di volerti veramente bene, che è innanzitutto rinnovarti l’invito che il Papa ci ha riproposto nella stessa intervista di oggi: «Oggi a tutti noi il Signore dice: “Coraggio vieni! Non sei più scartato, non sei più scartata: io ti perdono, io ti abbraccio”».
Si può amare veramente mendicando di amare come ama Gesù, domandando di guardare la moglie, il marito, i figli, gli amici ed anche i nemici, come li guarda Lui. Si chiama verginità: è lo sguardo vero sulle persone che amiamo e su tutta la realtà. Si tratta di una purezza che non possiamo darci da soli e che può cominciare a diventare nostra non perché ne diventiamo capaci, ma perché accettiamo di lasciarci guardare e amare così da Gesù, attraverso la comunione di coloro che Lui stesso afferra insieme a partire dal Battesimo.
Domenica 26 marzo abbiamo vissuto una giornata di ritiro con tutta la Comunità parrocchiale di San Girolamo, sorprendendoci insieme in una comunione profonda, della quale siamo commossi e grati.
Oggi, Giovedì Santo, facendo memoria dell’istituzione dell’Eucarestia e dell’Ordine sacro, riconosciamo l’origine di questa comunione, espressa dalle parole di San Paolo: «Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”» (1 Cor 11, 23-24).
Ci laviamo i piedi gli uni gli altri perché abbiamo bisogno di intercettare lo sguardo di Cristo che ci raggiunge in questo istante, attraverso la nostra fragile carne, attraverso i nostri volti di uomini e donne peccatori. Abbiamo bisogno di Lui che accade tra noi ora: solo l’Avvenimento della Sua presenza qui ed ora genera una comunione che ci sostiene realmente nel dramma del vivere.
Domandiamo di essere semplici e di non scandalizzarci della modalità con cui lo sguardo di Gesù ci afferra ora: lasciamoci abbracciare e perdonare.

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SONO UN PECCATORE TRA I PECCATORI: INTERVISTA A PAPA FRANCESCO OGGI SU LA REPUBBLICA

Invito tutti a leggere la bellissima intervista a Papa Francesco (a cura di P. Rodari) pubblicata oggi su la Repubblica).

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GIOVEDI' SANTO: OGGI SANTA MESSA DELLA CENA DEL SIGNORE CON IL RITO DELLA LAVANDA DEI PIEDI

Ricordo che oggi alle 18.30 sarà celebrata la Santa Messa della Cena del Signore con il rito della Lavanda dei piedi.
Per approfondire il significato dei gesti liturgici del Giovedì Santo è possibile (sia sul pc sia su smartphone e tablet) scaricare un doc in pdf con brani tratti dalle omelie di Papa Francesco (2015) e Papa Benedetto XVI (2012).

Download Papa_Francesco_e_Papa_Benedetto_XVI_sul_Gioved__santodocx.pdf

SETTIMANA SANTA

E' possibile visualizzare e scaricare tutti gli avvisi della Settimana Santa che da stasera saranno anche sul sito della Parrocchia. www.sangirolamorimini.it:

Download settimana_santa_2017.pdf