RITIRO - ASSEMBLEA DI DOMENICA 26 MARZO 2017
Ritiro della Comunità parrocchiale di San Girolamo, 26 marzo 2017.
Proiezione del video con le immagini della storia vissuta dalla nostra comunità parrocchiale negli ultimi mesi e con il saluto del Vescovo.
Intervento di don Roberto
Il Vescovo ci ha detto: “Gesù è in mezzo a noi”. Noi domandiamo innanzitutto di riconoscere la presenza di Cristo, perché solo da questo riconoscimento può accadere un reale cambiamento della nostra vita, come è accaduto ai primi discepoli, a Giovanni e Andrea, a Zaccheo, alla Samaritana, alla Maddalena… La Quaresima ci è data perché questo riconoscimento invada sempre di più la nostra esistenza. Per questo mendichiamo insieme il dono dello Spirito Santo.
Canto: Discendi Santo Spirito
Noi spesso identifichiamo la conversione con il nostro sforzo per essere migliori secondo un’astratta immagine di perfezione, ma, come leggiamo nei racconti evangelici, il cambiamento della vita e la tensione alla santità, fioriscono imprevedibilmente dal riconoscere e seguire Gesù. Tutto si decide nel riconoscere, nell’accogliere, nel seguire una Presenza che accade imprevedibilmente, con la quale ci si imbatte in un incontro “casuale”, in cui il cuore riconosce ciò per cui è fatto, come è accaduto alla Samaritana, quando si è sentita guardare come nessuno l’aveva mai guardata, abbracciata e colta nel suo desiderio profondo (cfr. Gv 4, 16-19), che nemmeno i suoi cinque mariti precedenti e il sesto che aveva in quel momento potevano soddisfare, come ha ricordato il Papa domenica scorsa (Angelus, 19 marzo). Quello sguardo l’ha colta così nel profondo da farle sperimentare una corrispondenza mai neppure immaginata, eppure era come se avesse aspettato da sempre quell’incontro. Per questo accoglie le parole con cui Gesù le dice di essere il Messia (cfr. Gv 4,25-26), che altrimenti sarebbero state incomprensibili, e corre da tutti a dire – di un uomo con cui non avrebbe neanche voluto parlare – “Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?” (Gv 4,30). Allo stesso modo il cieco nato giunge alla fede a partire dall’esperienza vissuta: “Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: ‘Tu, credi nel Figlio dell'uomo?’. Egli rispose: ‘E chi è, Signore, perché io creda in lui?’. Gli disse Gesù: ‘Lo hai visto: è colui che parla con te’. Ed egli disse: ‘Credo, Signore!’.” (Gv 9, 35-38).
Quell’uomo ora vede non solamente perché è guarito dalla cecità fisica. Essa non basta, come testimoniano i farisei, i quali non hanno problemi di vista ma non vedono quello che accade di fronte a loro nonostante le loro stesse indagini dimostrino che il cieco dalla nascita ora ci vede.
Lui vede perché non mette nessun “se”, nessun “ma”, nessun “però” tra sé e quello che gli è accaduto.
Un’amica, inviando un contributo per questo momento di ritiro, ha scritto: “Mi limito a raccontare cosa mi succede.. È come se ad un certo momento cambiasse la prospettiva delle cose e le vedessi con occhi diversi e con una meraviglia ed uno stupore incredibili… e allora sento che non son più sola, non lo ero neanche prima ma non lo capivo… Ed è bellissimo!!”.
“Cambia la prospettiva delle cose e si vede con occhi diversi”, dice la nostra amica. “Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo” (Gv 9, 25), dice il cieco nato. E’ la stessa esperienza. Per questo vi invito a guardare a quello che ci accade, per partire dal fatto della Presenza di Gesù e non dalle nostre immagini, dalla presunzione del nostro “già saputo”: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: ‘Noi vediamo’, il vostro peccato rimane”.
In tutti i contributi che ho ricevuto in questi giorni, riecheggia questa nota dominante: “scoprirsi in comunità, in un’amicizia nuova, in una familiarità inattesa”. L’amica citata prima lo descrive così: “Vedi che accanto a te c’è una comunità e che quell’amico/a aspettava solo che tu gli andassi incontro per aprirsi a te. È come quando nella predica fai l’esempio di un bambino al luna park che si perde e piange per la paura… Poi arrivano i genitori e la paura passa, ecco Gesù: è quella luce, quella serenità”. E parlando della preparazione del campo lavoro lo descrive così: “il ritrovarsi a casa nostra per piegare i sacchi.. bellissimo modo di lavorare e stare insieme perché c’è un fine comune. Penso che anche questo sia incontrarsi con Gesù”.
Mi colpisce molto questo modo di parlare della casa parrocchiale e della stessa parrocchia come la propria casa. Gegè, che oggi non può essere qui e per questo ha inviato anche lui un contributo scritto, sottolinea come si sia sentito accolto da una comunità che “ha aperto le sue braccia (ed il suo cuore)” e che “sta assumendo sempre più coscienza di essere Comunità”.
Diverse volte mi è capitato di sentire raccontare da alcuni di voi l’esperienza di una familiarità in cui è come “se ci si fosse conosciuti da sempre”. Un’altra amica mi scrive colpita dal fatto che si possano condividere confidenze e problemi personali “apertamente e senza paure come in una grande famiglia”, un’affermazione fatta dopo un dialogo in cui avevamo affrontato, assieme a lei ed al marito, le problematiche della vita matrimoniale. Rileggendo i contributi che mi sono giunti e le cose scritte dopo alcuni gesti vissuti insieme, spessissimo emerge, in modi diversi, la gioia profonda di ritrovarsi insieme, uniti.
Ma da cosa nasce questa comunione? La possiamo generare noi col nostro sforzo, con la nostra organizzazione e con i nostri progetti? Cosa troviamo qui che ci colpisce e ci attrae?
Qual è la sorgente di questa comunione?
Un incontro, descriveva Francesco nell’articolo sul Ponte per la pagina dedicata alla Festa parrocchiale e che ha voluto intitolare “Come la forza di un incontro può cambiare la tua prospettiva”: “quell’incontro – scrive Franz – ha prodotto la gioia di stare insieme, di condividere questa meravigliosa strada che è la vita”.
Nella nostra umanità, attraverso la nostra fragile umanità, accade un incontro che non possiamo generare in alcun modo noi. Mi ha scritto un’altra amica dopo un gesto vissuto insieme nella nostra comunità: “nei tuoi gesti e nelle tue parole ho sentito il Signore che mi diceva ‘vedi, sei davvero unica’”. Il Signore! Niente altro che Lui. E’ solo il riconoscimento di Cristo che scalda il cuore e genera una comunione autentica. Come è accaduto ai discepoli che erano soci (koinonoi) poiché avevano in comune le barche e l’attività di pesca, e si sorprendono soci (koinonoi) perché afferrati insieme da Gesù e “invasi dallo stupore” (cfr. Lc 5,1-11).
A questo punto potrebbe insorgere in noi la tentazione di dire che stiamo esagerando, che non può essere vero che tutto questo succeda a dei poveri peccatori come noi, pieni di limite e di tradimento, addirittura che questo accada attraverso la nostra umanità peccatrice.
Sono gli argomenti con cui i farisei cercano di convincere il cieco nato che non può essere stato Gesù a ridonargli la vista. Cosa lo rende capace di dare ragione di quanto accaduto, svelando la menzogna dei farisei? La sua esperienza. Guardare a quello che gli è accaduto, senza frapporre dei “se”, dei “ma”, dei “però”: “prima non ci vedevo e adesso ci vedo”. Per questo nel video, quando in sottofondo si sentono le parole del canto “Anche se un giorno amico mio, dimenticassi le parole, dimenticassi il giorno e l’ora, non potrai mai dimenticare cosa dicevano i tuoi occhi”, ho riportato le foto di alcuni sguardi, affinché non dimentichiamo cosa diceva il nostro sguardo in certi momenti. Non c’è peccato, dimenticanza o tradimento che possa cancellare un’esperienza vissuta. Un’altra amica mi scriveva, dopo un gesto vissuto insieme la sera precedente: “mi sono gustata gli sguardi delle [persone presenti] questo è stato importante per me! Vedere che qualcosa può sempre succedere... questa notte ho faticato (in senso positivo ) a dormire!”.
Qualcosa può sempre accadere! Se è accaduto parti da lì, da come è accaduto. Questa è la conversione: lasciarsi afferrare da Cristo così come Lui decide di venirti incontro.
Gegè sottolinea come “i cambiamenti siano una opportunità” e che “noi la stiamo cogliendo”. Quando i discepoli vedono il cieco nato e chiedono se abbiano peccato lui o i suoi genitori perché nascesse così, Gesù risponde che questo è accaduto non a causa del peccato ma “perché in lui siano manifestate le opere di Dio”.
Questo è vero anche per la circostanza che stiamo vivendo nella nostra comunità, per qualsiasi circostanza in cui, sempre, il Mistero di Dio ci viene incontro. Tutto è per noi.
Una catechista mi scrive: “L'esperienza di catechista in questi anni mi ha messo molto in discussione e ha anche smussato certi “spigoli” del mio carattere. Far conoscere Gesù ai ragazzi lo ha fatto riscoprire un po' anche a me”.
Titta ha scritto, raccontando del suo coinvolgimento nella comunità parrocchiale: “Ogni volta che accompagnavo la mia povera mamma al laboratorio di cucito del lunedì pomeriggio, la andavo a prendere sempre in anticipo, in largo anticipo perché non voleva tardare all’appuntamento con il suo lavoro… Chi era che voleva incontrare con tanta fedeltà? Quando morì incominciai a frequentare la parrocchia assiduamente, come non avevo mai fatto prima, fino a impegnarmi in segreteria, cantare nel coro, fare il presepio. Tutte attività parrocchiali che possono diventare una routine, a volte una fatica e che rimangono vive se riconosco che un Altro è presente al mio fianco. Questa attenzione non c'è sempre, il più delle volte prevale la mia distrazione ed allora mi rendo conto che il Cristo vivente si manifesta nelle battute, a volte feroci, di Antonio a noi coristi, nel cantare in chiesa, nella fatica di montare e smontare il presepio, nella soddisfazione della fatica fatta, nella soddisfazione di avere risposto ‘Sì’ alla chiamata”.
Per questo il lavoro che vogliamo fare oggi è riconoscere Lui, nell’esperienza che ci sorprendiamo a vivere.
In uno dei nostri incontri è emersa la domanda: “Come si fa a guardare l’altro con lo sguardo di Cristo?”.
Questo sguardo non lo generiamo noi, come quello che alcuni di voi hanno raccontato, accade, te lo sorprendi addosso come è accaduto alla Samaritana, e provoca nel cuore la nostalgia di poterlo tornare ad incrociare, ferisce il cuore facendoci scoprire quanta è ampia la ferita del nostro desiderio, del nostro bisogno.
Dopo la Festa di settembre, in cui avevo voluto invitare gli amici della Capanna di Betlemme, è continuato il rapporto con loro, soprattutto attraverso una persona ospite della casa, che per qualche settimana è venuta a confessarsi ed ha voluto ricevere i sacramenti in un momento particolarmente drammatico – dopo una vita piena di ferite – per la malattia. Mi sono accorto di come in quel bisogno, in quella carne ferita, posso scoprire il mio bisogno, un bisogno infinito a cui solo Gesù può rispondere, non chiudendo la ferita ma allargandola, Egli ci disseta non esaurendo la sete ma facendoci scoprire la nostra vera sete. Per questo ho voluto invitare gli amici della Capanna in un pranzo qui nella nostra casa parrocchiale, reso possibile per l’impegno con cui alcuni di voi hanno cucinato e servito in tavola. Ho desiderato curare l’apparecchiatura nei particolari, come in altre circostanze ho voluto fare nella nostra casa, poiché, per la stessa ragione con cui mettiamo i fiori per adornare il tabernacolo, dobbiamo aiutarci a riconoscere la carne di Cristo nel volto del bisognoso, nei nostri volti. La Cristina, che non può essere qui oggi, ha inviato un messaggio, scrivendo che “l’esperienza di questo pranzo mi ha arricchito molto”. Come sapete anche il Vescovo, avendo saputo per caso da Franz della nostra iniziativa, ha desiderato partecipare e per lui, come per me e gli altri amici coinvolti, è stata un’esperienza molto significativa, che ci ha indicato un metodo: guardarsi in faccia, riconoscere lo stesso bisogno di cui siamo fatti, per scoprire che l’altro è un dono.
Il Vescovo, dopo aver visto la parte precedente del video che abbiamo proiettato all’inizio del nostro gesto, ha voluto concludere il suo saluto – anch’esso poi inserito nel video – parlando proprio di “quella ferita che ci dice che la nostra pienezza è solo in Gesù”.
Papa Francesco, qualche giorno fa, ha detto che dobbiamo “implorare il dono di un cuore ferito, capace di comprendere le ferite altrui” (Alla penitenzieria apostolica, 17 marzo).
Nel dialogo testimoniamoci reciprocamente come l’incontro con Cristo ci ha feriti, rivelando l’ampiezza della nostra ferita, del nostro desiderio di cui Lui si fa mendicante.
Seguono interventi in assemblea non trascritti. Chi lo desidera può inviare il testo del proprio intervento in parrocchia: s.girolamorimini@gmail.com .
Di seguito puoi scaricare il pdf del testo.