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PARROCCHIA S. GIROLAMO

SECONDA PUNTATA DELLA TRASMISSIONE SU TV2000 DELLA NOSTRA PARROCCHIA

Ecco il link alla seconda puntata delle trasmissioni di TV2000 dedicate alla nostra parrocchia:

https://www.youtube.com/watch?v=pJj4VI63JmY

TERZA PUNTATA TRASMISSIONI SU TV2000

Ecco il link alla terza puntata delle trasmissioni di TV2000 dedicati alla nostra parrocchia di San Girolamo:

http://www.tv2000.it/beltemposispera/video/parrocchia-san-girolamo-a-rimini-3/

LINK CORRETTO ALLA PRIMA PUNTATA DI TV2000 SULLA NOSTRA PARROCCHIA

Ciao,

stamattina su TV 2000 (canale 28) hanno trasmesso la prima puntata di una serie di quattro brevi trasmissioni di quattro minuti ciascuna (in onda da lunedì a giovedì dalle 8.20 alle 8.30) dedicate alla Parrocchia San Girolamo.

Nella prima c'è stata una intervista a me (lunedì), nella seconda ci saranno immagini e racconti dei principali ambiti della vita parrocchiale (martedì), nella terza alcuni incontri con persone che solo di recente hanno avuto occasione di avvicinarsi alla comunità parrocchiale (mercoledì) e nella quarta l'opera caritativa della nostra Caritas parrocchiale ed il rapporto della nostra comunità con la Capanna di Betlemme.

Nelle immagini già in questa prima puntata potete riconoscere vari momenti della vita parrocchiale in cui siete protagonisti.

Ecco il link alla prima puntata:
http://www.tv2000.it/beltemposispera/video/parrocchia-san-girolamo-a-rimini

LA PARROCCHIA DI SAN GIROLAMO SU TV2000: PRIMA PUNTATA

Ciao,

stamattina su TV 2000 (canale 28) hanno trasmesso la prima puntata di una serie di quattro brevi trasmissioni di quattro minuti ciascuna (in onda da lunedì a giovedì dalle 8.20 alle 8.30) dedicate alla Parrocchia San Girolamo.

Nella prima c'è stata una intervista a me (lunedì), nella seconda ci saranno immagini e racconti dei principali ambiti della vita parrocchiale (martedì), nella terza alcuni incontri con persone che solo di recente hanno avuto occasione di avvicinarsi alla comunità parrocchiale (mercoledì) e nella quarta l'opera caritativa della nostra Caritas parrocchiale ed il rapporto della nostra comunità con la Capanna di Betlemme.

Nelle immagini già in questa prima puntata potete riconoscere vari momenti della vita parrocchiale in cui siete protagonisti.

Ecco il link alla prima puntata:
http://www.tv2000.it/beltemposispera/video/parrocchia-san-girolamo-a-rimini/

Ciao,
don
Roberto

AVVISI

1) Lunedì - Martedì - Mercoledì - Giovedì su SAT2000 dalle 8.20 alle 8.30 saranno trasmesse quattro puntate di circa 4 minuti ciascuna, con immagini e racconti della vita della nostra Comunità parrocchiale di San Girolamo.

2) Mercoledì 8 novembre alle ore 21 nella Casa parrocchiale di San Girolamo si svolgerà l'incontro degli adulti di Azione Cattolica (S. Agostino - S. Girolamo), sempre aperto a tutti.

3) Domenica prossima, 12 novembre, in preparazione alla GIORNATA MONDIALE DEI POVERI che si svolgerà nella domenica successiva, faremo in tutte le SS. Messe una raccolta di alimenti che saranno poi distribuiti dai volontari della nostra Caritas a circa 40 famiglie povere della nostra parrocchia. E' preferibile portare alimenti a lunga conservazione, pasta, olio, cibo in scatola.

4) Continua la raccolta di indumenti e scarpe per i detenuti del Carcere di Rimini e di coperte per la Capanna di Betlemme. Ci si può rivolgere in segreteria, tutti i giorni dalle 9 alle 11.

SE LA PASTORALE NON HA CORAGGIO

Dall'Omelia di Papa Francesco a Santa Marta, 31 ottobre.
(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVII, n.251, 01/11/2017)

[Riguardo alla parabola del lievito (Luca, 13, 18-21)] il Papa ha ricordato che «sempre la Chiesa ha avuto sia il coraggio di prendere e gettare, di prendere e mescolare», sia, anche, «la paura di farlo». E ha notato: «Tante volte noi vediamo che si preferisce una pastorale di conservazione» piuttosto che «lasciare che il Regno cresca». Quando accade così «rimaniamo quelli che siamo, piccolini, lì», forse «stiamo sicuri», ma «il Regno non cresce». Mentre «perché il Regno cresca ci vuole il coraggio: di gettare il granello, di mescolare il lievito».

Qualcuno potrebbe obbiettare: «Se io getto il granello, lo perdo». Ma questa, ha spiegato il Papa, è la realtà di sempre: «Sempre c’è qualche perdita, nel seminare il Regno di Dio. Se io mescolo il lievito mi sporco le mani: grazie a Dio! Guai a quelli che predicano il Regno di Dio con l’illusione di non sporcarsi le mani. Questi sono custodi di musei: preferiscono le cose belle» al «gesto di gettare perché la forza si scateni, di mescolare perché la forza faccia crescere».

SOLENNITA' DI TUTTI I SANTI E PREGHIERA PER I DEFUNTI

Orari SS. Messe Mercoledì 1 novembre - Solennità di tutti i Santi
9 - 11 - 17.30 (pre festiva martedì 31 ore 17.30).

Orari SS. Messe Giovedì 2 novembre - Commemorazione dei fedeli defunti:
8 - 17.30

Per un aiuto a vivere in questi giorni la preghiera per i defunti ripropongo di seguito il testo di una recente Catechesi di Papa Francesco già riproposta nelle scorse settimane:
GESÙ CI PRENDERÀ PER MANO

PAPA FRANCESCO
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro Mercoledì, 18 ottobre 2017

La Speranza cristiana - 37. Beati i morti che muoiono nel Signore

Carissimi fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi vorrei mettere a confronto la speranza cristiana con la realtà della morte, una realtà che la nostra civiltà moderna tende sempre più a cancellare. Così, quando la morte arriva, per chi ci sta vicino o per noi stessi, ci troviamo impreparati, privi anche di un “alfabeto” adatto per abbozzare parole di senso intorno al suo mistero, che comunque rimane. Eppure i primi segni di civilizzazione umana sono transitati proprio attraverso questo enigma. Potremmo dire che l’uomo è nato con il culto dei morti.

Altre civiltà, prima della nostra, hanno avuto il coraggio di guardarla in faccia. Era un avvenimento raccontato dai vecchi alle nuove generazioni, come una realtà ineludibile che obbligava l’uomo a vivere per qualcosa di assoluto. Recita il salmo 90: «Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio» (v. 12). Contare i propri giorni fa si che il cuore diventi saggio! Parole che ci riportano a un sano realismo, scacciando il delirio di onnipotenza. Cosa siamo noi? Siamo «quasi un nulla», dice un altro salmo (cfr 88,48); i nostri giorni scorrono via veloci: vivessimo anche cent’anni, alla fine ci sembrerà che tutto sia stato un soffio. Tante volte io ho ascoltato anziani dire: “La vita mi è passata come un soffio…”.

Così la morte mette a nudo la nostra vita. Ci fa scoprire che i nostri atti di orgoglio, di ira e di odio erano vanità: pura vanità. Ci accorgiamo con rammarico di non aver amato abbastanza e di non aver cercato ciò che era essenziale. E, al contrario, vediamo quello che di veramente buono abbiamo seminato: gli affetti per i quali ci siamo sacrificati, e che ora ci tengono la mano.

Gesù ha illuminato il mistero della nostra morte. Con il suo comportamento, ci autorizza a sentirci addolorati quando una persona cara se ne va. Lui si turbò «profondamente» davanti alla tomba dell’amico Lazzaro, e «scoppiò in pianto» (Gv 11,35). In questo suo atteggiamento, sentiamo Gesù molto vicino, nostro fratello. Lui pianse per il suo amico Lazzaro.

E allora Gesù prega il Padre, sorgente della vita, e ordina a Lazzaro di uscire dal sepolcro. E così avviene. La speranza cristiana attinge da questo atteggiamento che Gesù assume contro la morte umana: se essa è presente nella creazione, essa è però uno sfregio che deturpa il disegno di amore di Dio, e il Salvatore vuole guarircene.

Altrove i vangeli raccontano di un padre che ha la figlia molto malata, e si rivolge con fede a Gesù perché la salvi (cfr Mc 5,21-24.35-43). E non c’è figura più commovente di quella di un padre o di una madre con un figlio malato. E subito Gesù si incammina con quell’uomo, che si chiamava Giairo. A un certo punto arriva qualcuno dalla casa di Giairo e gli dice che la bambina è morta, e non c’è più bisogno di disturbare il Maestro. Ma Gesù dice a Giairo: «Non temere, soltanto abbi fede!» (Mc 5,36). Gesù sa che quell’uomo è tentato di reagire con rabbia e disperazione, perché è morta la bambina, e gli raccomanda di custodire la piccola fiamma che è accesa nel suo cuore: la fede. “Non temere, soltanto abbi fede”. “Non avere paura, continua solo a tenere accesa quella fiamma!”. E poi, arrivati a casa, risveglierà la bambina dalla morte e la restituirà viva ai suoi cari.

Gesù ci mette su questo “crinale” della fede. A Marta che piange per la scomparsa del fratello Lazzaro oppone la luce di un dogma: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi tu questo?» (Gv 11,25-26). È quello che Gesù ripete ad ognuno di noi, ogni volta che la morte viene a strappare il tessuto della vita e degli affetti. Tutta la nostra esistenza si gioca qui, tra il versante della fede e il precipizio della paura. Dice Gesù: “Io non sono la morte, io sono la risurrezione e la vita, credi tu questo?, credi tu questo?”. Noi, che oggi siamo qui in Piazza, crediamo questo?

Siamo tutti piccoli e indifesi davanti al mistero della morte. Però, che grazia se in quel momento custodiamo nel cuore la fiammella della fede! Gesù ci prenderà per mano, come prese per mano la figlia di Giairo, e ripeterà ancora una volta: “Talità kum”, “Fanciulla, alzati!” (Mc 5,41). Lo dirà a noi, a ciascuno di noi: “Rialzati, risorgi!”. Io vi invito, adesso, a chiudere gli occhi e a pensare a quel momento: della nostra morte. Ognuno di noi pensi alla propria morte, e si immagini quel momento che avverrà, quando Gesù ci prenderà per mano e ci dirà: “Vieni, vieni con me, alzati”. Lì finirà la speranza e sarà la realtà, la realtà della vita. Pensate bene: Gesù stesso verrà da ognuno di noi e ci prenderà per mano, con la sua tenerezza, la sua mitezza, il suo amore. E ognuno ripeta nel suo cuore la parola di Gesù: “Alzati, vieni. Alzati, vieni. Alzati, risorgi!”.

Questa è la nostra speranza davanti alla morte. Per chi crede, è una porta che si spalanca completamente; per chi dubita è uno spiraglio di luce che filtra da un uscio che non si è chiuso proprio del tutto. Ma per tutti noi sarà una grazia, quando questa luce, dell’incontro con Gesù, ci illuminerà.Il

ENTRARE NEL MISTERO DI GESÙ CRISTO È DI PIÙ: È LASCIARSI ANDARE IN QUELL’ABISSO DI MISERICORDIA

PAPA FRANCESCO
Omelia a Santa Marta, Martedì, 24 ottobre 2017
(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVII, n.245, 25/10/2017)

QUANDO VENIAMO A MESSA, SÌ, ANDIAMO A PREGARE, È VERO; SAPPIAMO CHE GESÙ VIENE; ANCHE, SAPPIAMO CHE LUI È NELLA PAROLA DI DIO, CHE LUI VIENE NELLA COMUNITÀ». MA «QUESTO NON BASTA». INFATTI «ENTRARE NEL MISTERO DI GESÙ CRISTO È DI PIÙ: È LASCIARSI ANDARE IN QUELL’ABISSO DI MISERICORDIA DOVE NON CI SONO PAROLE: SOLTANTO L’ABBRACCIO DELL’AMORE. L’AMORE CHE LO PORTÒ ALLA MORTE PER NOI».

«Entrare nel mistero di Gesù» guardando al Crocifisso e così «lasciarsi andare» nell’«abisso» della sua misericordia. Nell’invito fatto da Papa Francesco durante la messa celebrata a Santa Marta martedì 24 ottobre c’è l’indicazione di un «cammino» per ogni cristiano: un itinerario verso il vero «centro» della propria vita, nel quale scompare ogni parola e resta solo la contemplazione dell’amore di chi «ha dato la vita» per la salvezza dell’uomo.

La meditazione del Pontefice ha preso le mosse dalla prima lettura del giorno, un passo della Lettera ai Romani (5, 12.15.17-19.20-21) nel quale sembra quasi che Paolo non riesca «a esprimere quello che vuole dire». È un brano in cui l’apostolo utilizza una serie di «contrapposizioni»: per cinque volte parla di «un uomo» e di «un altro uomo», inserisce i concetti di «peccato, caduta, disobbedienza, grazia, giustizia, perdono», e ancora contrappone «abbondanza e soprabbondanza», affianca la «giustizia» al «perdono». Nel cercare di portare il lettore «a capire qualcosa», ha spiegato il Papa, l’apostolo usa un metodo che non è «studiato» ma «è proprio quello che gli esce dal cuore». Soprattutto Paolo «sente che è impotente» nello «spiegare quello che vuol spiegare».

In realtà, ha detto Francesco, dietro tutto questo discorso «c’è la storia della salvezza, c’è la creazione, c’è la storia del peccato, della caduta dell’uomo. C’è la “ri-creazione”, cioè la redenzione che la Chiesa dice che sia più meravigliosa della creazione, è più potente». E il linguaggio usato da Paolo si giustifica con il fatto che, effettivamente, «non ci sono parole sufficienti per spiegare Cristo». Perciò egli, avvertendo questa impossibilità, «ci spinge, ci porta quasi fino all’abisso e ci spinge; di più: ci scaraventa, perché cadiamo nel mistero». Nel «mistero di Cristo».

Quindi, ha detto il Pontefice, tutte «queste parole, queste contrapposizioni, queste descrizioni sono soltanto passi nel cammino per inabissarsi nel mistero di Cristo». Un mistero che «è così sovrabbondante, così forte, così generoso, così inspiegabile che non si può capire con argomentazioni». Le argomentazioni, ha aggiunto, «ti portano fino a lì, ma tu devi inabissarti nel mistero per capire chi è Gesù Cristo per te, chi è Gesù Cristo per me, chi è Gesù Cristo per noi».

La sintesi, ha spiegato il Papa, è quella proposta da Paolo In un altro brano in cui, guardando a Gesù, afferma: «”Mi amò e diede se stesso per me”, e non trova un’altra spiegazione». Scrive l’apostolo: «Difficilmente si trova tra noi uno che vuol dare la vita per una persona buona, una persona giusta: è difficile. Ma ce ne sono. Ma uno che voglia dare la vita per un criminale, per un peccatore come me? Solo Gesù Cristo». Così, ha detto Francesco, si entra nel mistero di Cristo. Anche se, comunque, «non è facile: è una grazia».

Tutto ciò, ha spiegato il Papa, lo hanno ben capito i santi. E «non solo i santi canonizzati» ma i «tanti santi nascosti nella vita quotidiana. Tanta gente umile, semplice che soltanto mette la sua speranza nel Signore. Sono entrati nel mistero di Gesù Cristo». Quel mistero che san Paolo descrive come una «pazzia» e del quale afferma anche: «Se io dovessi vantarmi di qualcosa non mi vanterei di quello che ho studiato nella sinagoga con Gamaliele, neppure di quell’altro che ho fatto, della mia famiglia, del mio sangue nobile: no, non mi vanterei di questo. Soltanto, posso vantarmi di due cose: dei miei peccati e di Gesù Cristo crocifisso». Ancora una volta una contrapposizione «ci porta al mistero di Gesù», ovvero: «lui, crocifisso, in dialogo con i miei peccati».

Si tratta in ogni caso, ha continuato il Pontefice, di un cammino difficile, perché «noi non siamo abituati a entrare nel mistero. Quando veniamo a messa, sì, andiamo a pregare, è vero; sappiamo che Gesù viene; anche, sappiamo che lui è nella parola di Dio, che lui viene nella comunità». Ma «questo non basta». Infatti «entrare nel mistero di Gesù Cristo è di più: è lasciarsi andare in quell’abisso di misericordia dove non ci sono parole: soltanto l’abbraccio dell’amore. L’amore che lo portò alla morte per noi».

Per far comprendere meglio tale concetto, il Papa ha utilizzato l’esempio del sacramento della riconciliazione: «Quando noi andiamo a confessarci perché abbiamo peccati», cosa facciamo? «Andiamo, diciamo i peccati al confessore e siamo tranquilli e contenti». Ma «se facciamo così, non siamo entrati nel mistero di Gesù Cristo». Invece «se io ci vado, vado a incontrare Gesù Cristo, a entrare nel mistero di Gesù Cristo, a entrare in quell’abbraccio di perdono del quale parla Paolo; di quella gratuità del perdono».

Ecco allora una domanda per ogni cristiano: «“Chi è Gesù per te?” — “È il Figlio di Dio, la seconda persona della Trinità”. Possiamo dire tutto il Credo, tutto il catechismo, e quello è vero». Ma, ha affermato il Papa, ancora questo è un punto in cui non si riesce a esprimere «il centro del mistero di Gesù Cristo», che è: «Mi amò e diede se stesso per me». Ed è proprio questo il «lavoro che noi cristiani dobbiamo fare». Quindi: «capire il mistero di Gesù Cristo non è una cosa di studio; è una cosa di grazia. Gesù Cristo lo si capisce gratuitamente. Gesù Cristo è capito soltanto per pura grazia».

Un aiuto, ha detto Francesco, può giungere dalla «pietà cristiana», in particolare dall’esercizio della Via crucis: «È camminare con Gesù nel momento in cui lui ci dà l’abbraccio di perdono e di pace». Ed è «bello fare la Via crucis», magari «farla a casa, pensando ai momenti della passione del Signore». Del resto, «anche i grandi santi consigliavano sempre di incominciare la vita spirituale con questo incontro con il mistero di Gesù Crocifisso». E «santa Teresa consigliava le sue monache: per arrivare alla preghiera di contemplazione, l’alta preghiera che lei aveva, incominciare con la meditazione della passione del Signore».

Di fronte al Cristo in croce, ha suggerito il Pontefice, bisogna «incominciare a pensare. E così, cercare di capire con il cuore che “amò me e diede se stesso per me”». Che è poi quello «che Paolo vuol spiegare in questo testo tanto difficile, pieno di contraddizioni: ci vuole portare lì, all’abisso proprio del mistero di Gesù Cristo». Perché ognuno potrebbe dire: «Io sono un buon cristiano, vado a messa la domenica, faccio opere di misericordia, recito le preghiere, educo bene i miei figli», e «questo sta molto bene». Ma occorre andare oltre: «Tu fai tutto questo: ma sei entrato nel mistero di Gesù Cristo?», quello cioè «che tu non puoi controllare»?

Da qui il consiglio del Papa di pregare san Paolo — «un vero testimone, uno che ha incontrato Gesù Cristo e si è lasciato incontrare da lui ed è entrato nel mistero di Gesù Cristo» — affinché «ci dia la grazia di entrare nel mistero di Gesù Cristo che ci amò, diede se stesso alla morte per noi, che ci ha fatti giusti davanti a Dio, che ha perdonato tutti i peccati, anche le radici del peccato: di entrare nel mistero del Signore». E, ha concluso, «ogni volta che guardiamo il Cristo crocifisso, pensiamo che questa è un’icona del più grande mistero della creazione, di tutto: Cristo crocifisso, centro della storia, centro della mia vita».

MERCOLEDÌ 25 OTTOBRE ALLE 18 LA PRESENTAZIONE DELLA BIOGRAFIA DI SANDRA

Mercoledì 25 ottobre, alle ore 18 nel nostro Teatro parrocchiale di San Girolamo, sarà presentato il libro della prof. Laila Lucci sulla Serva di Dio Sandra Sabattini. Interverranno mons. Francesco Lambiasi, Vescovo di Rimini e Giovanni Paolo Ramonda, Responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII (vedi il volantino allegato).

AVVISI DIOCESANI E PARROCCHIALI

1) Sabato prossimo, 14 ottobre, è la Solennità di San Gaudenzo, Vescovo e Martire, Patrono della Città e della Diocesi di Rimini. NON SARÀ CELEBRATA la Santa Messa festiva del sabato qui a San Girolamo poiché il Vescovo ci invita tutti a partecipare alla Solenne Concelebrazione Eucaristica presieduta da lui stesso nella nostra Basilica Cattedrale alle ore 18. Ci stringiamo attorno al nostro Vescovo Francesco in modo particolare quest’anno in cui compie 70 anni e celebra il 10° anniversario del suo ingresso in Diocesi.

2) Venerdì 13 ottobre, alle ore 19 nella Casa parrocchiale: ritrovo del gruppo dei giovani di San Girolamo. Mangeremo la pizza assieme continuando il dialogo iniziato nell’incontro precedente e guarderemo il film “Se Dio vuole”.

3) Domenica prossima, 15 ottobre, alle ore 16.15: Adorazione eucaristica con preghiera per le vocazioni (dal mese di novembre il gesto tornerà alla prima domenica del mese).

4) Domenica prossima, 15 ottobre, nel contesto della celebrazione del Santo Patrono: Concerto per la Solennità di San Gaudenzo con l’esecuzione della Messa per l’Incoronazione di Mozart, eseguito dall’orchestra sinfonica dell’Istituto Lettimi e dal coro della Cappella Malatestiana alle ore 21 nella Basilica Cattedrale.

5) La Diocesi di Rimini, in collaborazione con l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A. Marvelli”, propone il Corso di teologia pastorale annuale, rivolto in particolare ad accoliti e lettori, ministri per il servizio della Parola di Dio, catechisti, educatori dei ragazzi e dei giovani ecc. Il corso si inserisce nel secondo anno di formazione specifica per i ministeri e intende offrire anche ad altri operatori pastorali un cammino di approfondimento di base teologico-pastorale, in forme più accessibili anche a chi non può frequentare l'intero corso di laurea presso l'ISSR. Si tratta di una serata alla settimana, il giovedì, da ottobre a fine maggio (cfr. allegato con depliant della Scuola di Teologia pastorale). Le iscrizioni scadono il 15 ottobre (rivolgersi al parroco per informazioni).

6) Il 15 ottobre scadono le iscrizioni ai Corsi dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A. Marvelli” (Laurea Magistrale e specialistica in Teologia). La preziosa offerta formativa dell’ISSR è una risorsa per tutta la nostra chiesa riminese e permette a tutti i laici l’accesso a studi teologici utili e necessari non solo per conseguire i titoli accademici necessari all’insegnamento della religione cattolica nelle scuole di ogni ordine e grado, ma anche per l’approfondimento personale delle ragioni della fede e per una preparazione adeguata per chi svolge alcuni ministeri e servizi specifici nella comunità ecclesiale (catechisti, ministri istituiti, operatori pastorali).

POSSIAMO SCEGLIERE SE ESSERE PECCATORI IN CAMMINO O PECCATORI SEDUTI

Omelia di Papa Francesco nella Santa Messa celebrata allo Stadio di Bologna.

Celebro con voi la prima Domenica della Parola: la Parola di Dio fa ardere il cuore (cfr Lc 24,32), perché ci fa sentire amati e consolati dal Signore. Anche la Madonna di San Luca, evangelista, può aiutarci a comprendere la tenerezza materna della Parola «viva», che tuttavia è al tempo stesso «tagliente», come nel Vangelo di oggi: infatti penetra nell’anima (cfr Eb 4,12) e porta alla luce i segreti e le contraddizioni del cuore.

Oggi ci provoca mediante la parabola dei due figli, che alla richiesta del padre di andare nella sua vigna rispondono: il primo no, ma poi va; il secondo sì, ma poi non va. C’è però una grande differenza tra il primo figlio, che è pigro, e il secondo, che è ipocrita. Proviamo a immaginare cosa sia successo dentro di loro. Nel cuore del primo, dopo il no, risuonava ancora l’invito del padre; nel secondo, invece, nonostante il sì, la voce del padre era sepolta. Il ricordo del padre ha ridestato il primo figlio dalla pigrizia, mentre il secondo, che pur conosceva il bene, ha smentito il dire col fare. Era infatti diventato impermeabile alla voce di Dio e della coscienza e così aveva abbracciato senza problemi la doppiezza di vita. Gesù con questa parabola pone due strade davanti a noi, che – lo sperimentiamo – non siamo sempre pronti a di dire sì con le parole e le opere, perché siamo peccatori. Ma possiamo scegliere se essere peccatori in cammino, che restano in ascolto del Signore e quando cadono si pentono e si rialzano, come il primo figlio; oppure peccatori seduti, pronti a giustificarsi sempre e solo a parole secondo quello che conviene.

Questa parabola Gesù la rivolse ad alcuni capi religiosi del tempo, che assomigliavano al figlio dalla vita doppia, mentre la gente comune si comportava spesso come l’altro figlio. Questi capi sapevano e spiegavano tutto, in modo formalmente ineccepibile, da veri intellettuali della religione. Ma non avevano l’umiltà di ascoltare, il coraggio di interrogarsi, la forza di pentirsi. E Gesù è severissimo: dice che persino i pubblicani li precedono nel Regno di Dio. È un rimprovero forte, perché i pubblicani erano dei corrotti traditori della patria. Qual era allora il problema di questi capi? Non sbagliavano in qualcosa, ma nel modo di vivere e pensare davanti a Dio: erano, a parole e con gli altri, inflessibili custodi delle tradizioni umane, incapaci di comprendere che la vita secondo Dio è in cammino e chiede l’umiltà di aprirsi, pentirsi e ricominciare.

Cosa dice questo a noi? Che non esiste una vita cristiana fatta a tavolino, scientificamente costruita, dove basta adempiere qualche dettame per acquietarsi la coscienza: la vita cristiana è un cammino umile di una coscienza mai rigida e sempre in rapporto con Dio, che sa pentirsi e affidarsi a Lui nelle sue povertà, senza mai presumere di bastare a sé stessa. Così si superano le edizioni rivedute e aggiornate di quel male antico, denunciato da Gesù nella parabola: l’ipocrisia, la doppiezza di vita, il clericalismo che si accompagna al legalismo, il distacco dalla gente. La parola chiave è pentirsi: è il pentimento che permette di non irrigidirsi, di trasformare i no a Dio in sì, e i sì al peccato in no per amore del Signore. La volontà del Padre, che ogni giorno delicatamente parla alla nostra coscienza, si compie solo nella forma del pentimento e della conversione continua. In definitiva, nel cammino di ciascuno ci sono due strade: essere peccatori pentiti o peccatori ipocriti. Ma quel che conta non sono i ragionamenti che giustificano e tentano di salvare le apparenze, ma un cuore che avanza col Signore, lotta ogni giorno, si pente e ritorna a Lui. Perché il Signore cerca puri di cuore, non puri “di fuori”.

Vediamo allora, cari fratelli e sorelle, che la Parola di Dio scava in profondità, «discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12). Ma è pure attuale: la parabola ci richiama anche ai rapporti, non sempre facili, tra padri e figli. Oggi, alla velocità con cui si cambia tra una generazione e l’altra, si avverte più forte il bisogno di autonomia dal passato, talvolta fino alla ribellione. Ma, dopo le chiusure e i lunghi silenzi da una parte o dall’altra, è bene recuperare l’incontro, anche se abitato ancora da conflitti, che possono diventare stimolo di un nuovo equilibrio. Come in famiglia, così nella Chiesa e nella società: non rinunciare mai all’incontro, al dialogo, a cercare vie nuove per camminare insieme.

Nel cammino della Chiesa giunge spesso la domanda: dove andare, come andare avanti? Vorrei lasciarvi, a conclusione di questa giornata, tre punti di riferimento, tre “P”. La prima è la Parola, che è la bussola per camminare umili, per non perdere la strada di Dio e cadere nella mondanità. La seconda è il Pane, il Pane eucaristico, perché dall’Eucaristia tutto comincia. È nell’Eucaristia che si incontra la Chiesa: non nelle chiacchiere e nelle cronache, ma qui, nel Corpo di Cristo condiviso da gente peccatrice e bisognosa, che però si sente amata e allora desidera amare. Da qui si parte e ci si ritrova ogni volta, questo è l’inizio irrinunciabile del nostro essere Chiesa. Lo proclama “ad alta voce” il Congresso Eucaristico: la Chiesa si raduna così, nasce e vive attorno all’Eucaristia, con Gesù presente e vivo da adorare, ricevere e donare ogni giorno. Infine, la terza P: i poveri. Ancora oggi purtroppo tante persone mancano del necessario. Ma ci sono anche tanti poveri di affetto, persone sole, e poveri di Dio. In tutti loro troviamo Gesù, perché Gesù nel mondo ha seguito la via della povertà, dell’annientamento, come dice san Paolo nella seconda Lettura: «Gesù svuotò se stesso assumendo una condizione di servo» (Fil 2,7) Dall’Eucaristia ai poveri, andiamo a incontrare Gesù. Avete riprodotto la scritta che il Card. Lercaro amava vedere incisa sull’altare: «Se condividiamo il pane del cielo, come non condivideremo quello terrestre?». Ci farà bene ricordarlo sempre. La Parola, il Pane, i poveri: chiediamo la grazia di non dimenticare mai questi alimenti-base, che sostengono il nostro cammino.

LA SPERANZA NON E' VIRTU' PER GENTE CON LO STOMACO PIENO

Il Papa cita il mito di Pandora e Charles Péguy per spiegare che cosa sia la speranza e quali sono i suoi nemici. «Avere un’anima vuota è il peggior ostacolo. Anche quando si percorre il cammino della vita cristiana»
Ecco di seguito il testo completo:

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
In questo tempo noi stiamo parlando della speranza; ma oggi vorrei riflettere con voi sui nemici della speranza. Perché la speranza ha i suoi nemici: come ogni bene in questo mondo, ha i suoi nemici.

E mi è venuto in mente l’antico mito del vaso di Pandora: l’apertura del vaso scatena tante sciagure per la storia del mondo. Pochi, però, ricordano l’ultima parte della storia, che apre uno spiraglio di luce: dopo che tutti i mali sono usciti dalla bocca del vaso, un minuscolo dono sembra prendersi la rivincita davanti a tutto quel male che dilaga. Pandora, la donna che aveva in custodia il vaso, lo scorge per ultimo: i greci la chiamano elpìs, che vuol dire speranza.

Questo mito ci racconta perché sia così importante per l’umanità la speranza. Non è vero che “finché c’è vita c’è speranza”, come si usa dire. Semmai è il contrario: è la speranza che tiene in piedi la vita, che la protegge, la custodisce e la fa crescere. Se gli uomini non avessero coltivato la speranza, se non si fossero sorretti a questa virtù, non sarebbero mai usciti dalle caverne, e non avrebbero lasciato traccia nella storia del mondo. È quanto di più divino possa esistere nel cuore dell’uomo.

Un poeta francese – Charles Péguy – ci ha lasciato pagine stupende sulla speranza (cfr. Il portico del mistero della seconda virtù). Egli dice poeticamente che Dio non si stupisce tanto per la fede degli esseri umani, e nemmeno per la loro carità; ma ciò che veramente lo riempie di meraviglia e commozione è la speranza della gente: «Che quei poveri figli – scrive – vedano come vanno le cose e che credano che andrà meglio domattina». L’immagine del poeta richiama i volti di tanta gente che è transitata per questo mondo – contadini, poveri operai, migranti in cerca di un futuro migliore – che ha lottato tenacemente nonostante l’amarezza di un oggi difficile, colmo di tante prove, animata però dalla fiducia che i figli avrebbero avuto una vita più giusta e più serena. Lottavano per i figli, lottavano nella speranza.

La speranza è la spinta nel cuore di chi parte lasciando la casa, la terra, a volte familiari e parenti – penso ai migranti –, per cercare una vita migliore, più degna per sé e per i propri cari. Ed è anche la spinta nel cuore di chi accoglie: il desiderio di incontrarsi, di conoscersi, di dialogare… La speranza è la spinta a “condividere il viaggio”, perché il viaggio si fa in due: quelli che vengono nella nostra terra, e noi che andiamo verso il loro cuore, per capirli, per capire la loro cultura, la loro lingua. È un viaggio a due, ma senza speranza quel viaggio non si può fare. La speranza è la spinta a condividere il viaggio della vita, come ci ricorda la Campagna della Caritas che oggi inauguriamo. Fratelli, non abbiamo paura di condividere il viaggio! Non abbiamo paura! Non abbiamo paura di condividere la speranza!

La speranza non è virtù per gente con lo stomaco pieno. Ecco perché, da sempre, i poveri sono i primi portatori della speranza. E in questo senso possiamo dire che i poveri, anche i mendicanti, sono i protagonisti della Storia. Per entrare nel mondo, Dio ha avuto bisogno di loro: di Giuseppe e di Maria, dei pastori di Betlemme. Nella notte del primo Natale c’era un mondo che dormiva, adagiato in tante certezze acquisite. Ma gli umili preparavano nel nascondimento la rivoluzione della bontà. Erano poveri di tutto, qualcuno galleggiava poco sopra la soglia della sopravvivenza, ma erano ricchi del bene più prezioso che esiste al mondo, cioè la voglia di cambiamento.

A volte, aver avuto tutto dalla vita è una sfortuna. Pensate a un giovane a cui non è stata insegnata la virtù dell’attesa e della pazienza, che non ha dovuto sudare per nulla, che ha bruciato le tappe e a vent’anni “sa già come va il mondo”; è stato destinato alla peggior condanna: quella di non desiderare più nulla. È questa, la peggiore condanna. Chiudere la porta ai desideri, ai sogni. Sembra un giovane, invece è già calato l’autunno sul suo cuore. Sono i giovani d’autunno.

Avere un’anima vuota è il peggior ostacolo alla speranza. È un rischio da cui nessuno può dirsi escluso; perché di essere tentati contro la speranza può capitare anche quando si percorre il cammino della vita cristiana. I monaci dell’antichità avevano denunciato uno dei peggiori nemici del fervore. Dicevano così: quel “demone del mezzogiorno” che va a sfiancare una vita di impegno, proprio mentre arde in alto il sole. Questa tentazione ci sorprende quando meno ce lo aspettiamo: le giornate diventano monotone e noiose, più nessun valore sembra meritevole di fatica. Questo atteggiamento si chiama accidia che erode la vita dall’interno fino a lasciarla come un involucro vuoto.

Quando questo capita, il cristiano sa che quella condizione deve essere combattuta, mai accettata supinamente. Dio ci ha creati per la gioia e per la felicità, e non per crogiolarci in pensieri malinconici. Ecco perché è importante custodire il proprio cuore, opponendoci alle tentazioni di infelicità, che sicuramente non provengono da Dio. E laddove le nostre forze apparissero fiacche e la battaglia contro l’angoscia particolarmente dura, possiamo sempre ricorrere al nome di Gesù. Possiamo ripetere quella preghiera semplice, di cui troviamo traccia anche nei Vangeli e che è diventata il cardine di tante tradizioni spirituali cristiane: “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio vivo, abbi pietà di me peccatore!”. Bella preghiera. “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio vivo, abbi pietà di me peccatore!”. Questa è una preghiera di speranza, perché mi rivolgo a Colui che può spalancare le porte e risolvere il problema e farmi guardare l’orizzonte, l’orizzonte della speranza.

Fratelli e sorelle, non siamo soli a combattere contro la disperazione. Se Gesù ha vinto il mondo, è capace di vincere in noi tutto ciò che si oppone al bene. Se Dio è con noi, nessuno ci ruberà quella virtù di cui abbiamo assolutamente bisogno per vivere. Nessuno ci ruberà la speranza. Andiamo avanti!

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LA FORZA DELLO SGUARDO DI GESU'

Papa Francesco, Omelia a Santa Marta nel giorno della Festa di San Matteo, 21 settembre 2017

Il Vangelo dice che Gesù vide un uomo chiamato Matteo — e dove era quell’uomo? — seduto al banco delle imposte. In fin dei conti Matteo era uno di quelli che facevano pagare le imposte al popolo di Israele, per darle ai romani: un traditore della patria. Tanto che questi uomini erano disprezzati.
Ecco che Matteo, si sente guardato da Gesù che, dice il Vangelo, gli disse: “seguimi”. Ed egli si alzò e lo seguì. Ma cosa è successo?. Cosa ha convinto Matteo a seguire il Signore? Quella è la forza dello sguardo di Gesù, che sicuramente lo ha guardato con tanto amore, con tanta misericordia: quello sguardo di Gesù misericordioso per dire: "Seguimi, vieni". E Matteo, da parte sua, aveva uno sguardo sfiduciato, guardando di lato, con un occhio Dio e con l’altro il denaro, aggrappato ai soldi come lo dipinse il Caravaggio: proprio così, aggrappato e guardando di lato e anche con uno sguardo scontroso, burbero.
Invece lo sguardo di Gesù, è amorevole, misericordioso. Di fronte a questo sguardo ecco che la resistenza di quell’uomo che voleva i soldi — era tanto schiavo dei soldi — cade. Il Vangelo ci dice, infatti, che Matteo si alzò e lo seguì. [...] Come è entrato l’amore di Gesù nel cuore di quell’uomo? Qual è stata la porta per poter entrare?. Il fatto è che quell’uomo sapeva di essere peccatore: sapeva di non essere ben voluto da nessuno, anche disprezzato. Proprio quella coscienza di peccatore aprì la porta alla misericordia di Gesù: lasciò tutto e se ne andò. Ecco l’incontro fra il peccatore e Gesù: tutti i peccatori che trovarono Gesù hanno avuto il coraggio di seguirlo, ma se non si sentivano peccatori non potevano seguirlo. Per questa ragione, la prima condizione per essere salvato è sentirsi in pericolo; la prima condizione per essere guarito è sentirsi ammalato. Sentirsi peccatore è la prima condizione per ricevere questo sguardo di misericordia. Di più, ha aggiunto Francesco, pensiamo allo sguardo di Gesù: tanto bello, tanto buono, tanto misericordioso, e anche noi quando preghiamo sentiamo questo sguardo su di noi: è lo sguardo dell’amore, lo sguardo della misericordia, lo sguardo che ci salva e ci suggerisce di non aver paura.
Matteo si sentì tanto felice e sicuramente, anche se non è nel testo, ha invitato Gesù a pranzo a casa sua, come ha fatto anche Zaccheo. [...] Dopo quell’incontro viene la festa con tutti quelli dello stesso sindacato: erano tutti uguali. E lui ha chiamato gli amici che erano tutti così: peccatori, pubblicani e sicuramente domandavano al Signore cose e il Signore rispondeva mentre sedeva a tavola nella casa. Dunque erano a tavola, mangiavano insieme con i peccatori: lo stesso è successo nel pranzo che aveva fatto Zaccheo per festeggiare la conversione, l’incontro con il Signore. E questo ci fa pensare a quello che Gesù dice nel capitolo 15 di Luca: ci sarà più festa nel cielo per un peccatore che si converte che per cento giusti che rimangono giusti» Questa è, appunto, la festa dell’incontro del Padre, la festa della misericordia; e Gesù spreca misericordia, per tutti.
Però mentre il Signore "sedeva a tavola" — è il terzo momento dopo l’incontro e la festa — ecco che arriva "lo scandalo". Il Vangelo racconta che sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con Gesù e i suoi discepoli. E vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: “come mai questo?”. Perché uno scandalo incomincia sempre con questa frase: “Ma come mai?”. [...]Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori? Il vostro maestro è un impuro, perché salutare questa gente ti contagia. Per loro è la malattia, l’impurezza di non seguire la legge, e la legge dice che non si può andare da loro. Anzi, sono persone che ripetono che la legge dice, la dottrina dice...: questi sapevano bene la dottrina, la sapevano benissimo, sapevano come si doveva andare sulla strada del regno di Dio, conoscevano meglio di tutti come si doveva fare. Ma avevano dimenticato il primo comandamento dell’amore e sono stati chiusi in questa gabbia dei sacrifici: “Facciamo un sacrificio a Dio, facciamo il sabato, tutto quello che si deve fare e così ci salviamo”. Invece no, perché ci salva Dio, ci salva Gesù Cristo e questi non avevano capito, si sentivano sicuri, credevano che la salvezza veniva da loro. Per questa ragione domandano ai discepoli: "Come mai?": proprio quel “come mai?” che tante volte abbiamo sentito fra i fedeli cattolici quando vedevano opere di misericordia: come mai?. Da parta sua, invece, Gesù è chiaro, è molto chiaro: “Andate a imparare”. Perciò «li ha mandati a imparare: “Andate a imparare che cosa vuol dire misericordia, quello che io voglio, e non sacrifici, perché io non sono venuto, infatti, a chiamare i giusti ma i peccatori. Se tu vuoi essere chiamato da Gesù, riconosciti peccatore.
Certo, uno può dire: “Padre, ma è una grazia sentirsi peccatore, davvero?. Sì, perché vuol dire sentire la verità. Ma non peccatore in astratto: peccatore per questo, per questo, per questo, per questo. Peccato concreto, peccati concreti! E tutti noi ne abbiamo tanti!. Allora andiamo lì e lasciamoci guardare da Gesù con quello sguardo misericordioso pieno di amore.

Puoi scaricare il resoconto integrale tratto da L'Osservatore Romano

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LA CONVERSIONE È ACCETTARE DI CONSISTERE IN UN RAPPORTO NEL QUALE SIAMO RICREATI

Omelia nella XXIV domenica del T.O.
San Girolamo, 17 settembre 2017

La domanda di Pietro – “Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?” (Mt 18,21) – è immediatamente successiva all’affermazione di Gesù con la quale si concludeva il brano dello stesso evangelista Matteo proclamato nella Liturgia di domenica scorsa, e che seguiva l’invito a correggersi vicendevolmente: “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20).
La tentazione immediata, come sovente accade, è esplicitata da Pietro. Essa consiste nell’applicare la nostra misura alla comunione nella quale siamo afferrati insieme da Cristo: “dovrò perdonare fino a sette volte?”. Spesso noi guardiamo alla Chiesa, alla nostra comunità, a noi stessi, a partire da questa misura e l’esito è sempre uno scetticismo: il male che vediamo nei fratelli e in noi stessi pare essere l’ultima parola anche sulla nostra unità che, al primo litigio o alla prima contraddizione, ci delude come una promessa impossibile da compiersi.
Invece la nostra comunione è definita da una misura infinitamente oltre ogni nostro calcolo, la misura della stessa natura di Dio che si rivela come una Misericordia che non ha limiti: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette” (Mt 18,22). Una Misericordia infinita che ci perdona in qualunque situazione ciascuno di noi si possa trovare in questo momento, una possibilità che ci sarà offerta fino all’ultimo istante della nostra vita.
Noi imponiamo la misura della nostra fragilità a Dio, invece è la misura della Sua Misericordia illimitata a definire la nostra umanità, drammaticamente: si tratta di accettare di consistere in un rapporto nel quale siamo ricreati, abbandonando l’affanno del nostro sforzo, in cui cerchiamo di migliorarci secondo la misura delle nostre capacità, consegnandoci invece ad un abbraccio.
La vera conversione la scopriamo così come il sollevare la testa dal nostro ripiegamento su noi stessi per incrociare uno sguardo che ci libera, dall’affermazione di noi stessi – guardando il peccato come ce lo fa guardare il diavolo, ovvero come ciò che ci definisce – all’affermazione di Dio, al riconoscimento della Sua Misericordia che incessantemente ci perdona.
Cosa significa affermare che è uno sguardo che ci libera?
Il Papa in Colombia ha incontrato Consuelo Cordoba, che da diciassette anni vive con il passamontagna e i tubicini al naso, perché il suo volto e il suo corpo sono stati sfigurati con l’acido dall’ex marito. Dopo 87 operazioni, ha chiesto l’eutanasia, fissata il 29 settembre. A Bogotá, in Nunziatura, ha chiesto a Papa Francesco la benedizione prima di morire. Lui gliel’ha negata. «No, non lo farai», le dice: «Tu sei coraggiosa e sei bella». Consuelo dopo quell’incontro ha deciso di annullare l’iniezione. «Il Papa mi ha abbracciata e mi ha fatto questo regalo. Io ora voglio vivere».
Uno sguardo, quello sguardo, cambia tutto: per lei, inguardabile a causa del suo corpo sfigurato; per noi, cui la nostra umanità spesso appara inguardabile per i nostri limiti ed i nostri peccati. Questa è la misericordia, che condona anche il debito di “diecimila talenti” (Mt 18, 24.27), assolutamente inimmaginabile per noi, incapaci di condonare anche un debito per una cifra irrisoria, come “cento denari” (Mt 18, 28-30).
Per la nostra misura la Misericordia è impossibile. Sarebbe inimmaginabile se un’altra misura non fosse entrata nella storia attraverso l’abbraccio di Cristo, che l’esperienza della Chiesa comunica attraverso la nostra fragile umanità, di peccatori perdonati. Non attraverso uomini impeccabili, poiché la misura della nostra impeccabilità è quella dei “cento denari”, ma uomini peccatori e perdonati, che possono testimoniare la Misericordia che condona i “diecimila talenti”.
Durante lo stesso viaggio del Papa in Colombia il leader delle Farc ha scritto a Francesco: «Ho visto piangere di emozione uomini, donne e bambini, che ammirano la sua bontà e la luce dei suoi occhi. Dio è con lei, non c’è dubbio. Dal suo primo passo nel mio Paese ho sentito che qualcosa può cambiare». Poi ha supplicato il perdono: «Per qualsiasi lacrima o dolore abbiamo provocato».
Quello del Papa, in una situazione ferita come quella della Colombia, è un “primo passo” impensabile senza questa misura nuova della Misericordia.
La Chiesa è un luogo di peccatori perdonati, una dimora in cui la nostra umanità può continuamente essere ricreata dalla Misericordia di Dio.
Per questo, come ha ricordato il Papa (al termine della Santa Messa, uscendo potrete ritirare un volantino con alcuni brani dai discorsi pronunciati da Francesco in Colombia: prendiamo sul serio le parole del Papa immedesimandoci con il suo Magistero in una sequela reale!), la Chiesa “richiede porte aperte […] non possiamo essere cristiani che alzano continuamente il cartello “proibito il passaggio” […] la Chiesa non è nostra, fratelli, è di Dio […] e Lui […] comanda di chiamare tutti: sani e malati, buoni e cattivi, tutti” (Omelia a Medellin, 9 settembre).
Lasciamoci mettere in discussione da queste parole, per vivere quella “conversione pastorale” che il Papa costantemente richiama. “La Chiesa non è nostra” e sono molti, più di quanto immaginiamo, che “hanno fame di Dio”, che sono alla ricerca di questo sguardo che possiamo riscoprire proprio per come ci sorprende attraverso una persona che si fa cambiare dall’incontro con Cristo, il quale sempre ci precede.
Questo sguardo non possiamo darcelo da soli, lo mendichiamo in questa celebrazione eucaristica, poiché è in questa mendicanza che l’uomo è grande, come Francesco ha ricordato incontrando un gruppo di sposi e di persone consacrate a Bogotà: “mendicate, perché il protagonista della storia è il mendicante”.

Download Omelia_nella_XXIV_domenica_del_T.O._17.09.17.pdf

IL PROTAGONISTA DELLA STORIA E' IL MENDICANTE

Per scaricare un pdf con una raccolta di alcuni brani dagli interventi di Papa Francesco durante il Viaggio Apostolico in Colombia clicca sulla riga seguente:

Download Brani_dai_Discorsi_di_Papa_Francesco_durante_il_Viaggio_Apostolico_in_Colomba_7-9.09.17.pdf

PAPA FRANCESCO: LA MISSIONE SI REALIZZA SEMPRE IN UN CORPO A CORPO

Riporto di seguito alcuni brani tratti dal Discorso di Papa Francesco al Comitato direttivo del CELAM (Conferenza Episcopale Latino Americana), pronunciato a Bogotá il 7 settembre, durante il viaggio del Santo Padre in Colombia: occorre meditare queste parole con attenzione poiché esprimono ciò che è essenziale nella vita ecclesiale.

Dio, quando parla all’uomo in Gesù, non lo fa con un generico richiamo come a un estraneo, né con una convocazione impersonale alla maniera di un notaio, neanche con una dichiarazione di precetti da eseguire come fa qualsiasi funzionario del sacro. Dio parla con la voce inconfondibile del Padre che si rivolge al figlio, e rispetta il suo mistero perché lo ha formato con le sue stesse mani e lo ha destinato alla pienezza. La nostra più grande sfida come Chiesa è parlare all’uomo come portavoce di questa intimità di Dio, che lo considera un figlio, anche quando rinnega tale paternità, perché per Lui siamo sempre figli ritrovati.
Non si può, pertanto, ridurre il Vangelo a un programma al servizio di uno gnosticismo di moda, a un progetto di ascesa sociale o a una visione della Chiesa come burocrazia che si autopromuove, né tantomeno questa si può ridurre a un’organizzazione diretta, con moderni criteri aziendali, da una casta clericale.
La Chiesa è la comunità dei discepoli di Gesù; la Chiesa è Mistero e Popolo (Lumen gentium, 5; 9), o meglio ancora: in essa si realizza il Mistero attraverso il Popolo di Dio.
Perciò ho insistito sul discepolato missionario come una chiamata divina per questo oggi complesso e carico di tensioni, un “permanente uscire” con Gesù per conoscere come e dove vive il Maestro. E mentre usciamo in sua compagnia conosciamo la volontà del Padre, che sempre ci attende. Solo una Chiesa Sposa, Madre, Serva, che ha rinunciato alla pretesa di controllare quello che non è opera sua ma di Dio, può rimanere con Gesù anche quando il suo nido e il suo rifugio è la croce.
Vicinanza e incontro sono gli strumenti di Dio che, in Cristo, si è avvicinato e ci ha incontrato sempre. Il mistero della Chiesa è realizzarsi come sacramento di questa divina vicinanza e luogo permanente di questo incontro. Da qui la necessità della vicinanza del Vescovo a Dio, perché in Lui si trova la fonte della libertà e della forza del cuore del Pastore, così come della vicinanza al Popolo Santo che gli è stato affidato. In questa vicinanza l’anima dell’apostolo impara a rendere tangibile la passione di Dio per i suoi figli.
[…]
Sapete bene che la rinnovata consapevolezza che all’inizio di tutto c’è sempre l’incontro con Cristo vivo richiede che i discepoli coltivino la familiarità con Lui; diversamente il volto del Signore si offusca, la missione perde forza, la conversione pastorale retrocede. Pregare e coltivare il rapporto con Lui è, pertanto, l’attività più improrogabile della nostra missione pastorale.
[…] I numerosi eventi, la frammentazione della realtà, l’istantaneità e la velocità del presente, potrebbero farci cadere nella dispersione e nel vuoto. Ritrovare l’unità è un imperativo.
Dove si trova l’unità? Sempre in Gesù. Ciò che rende permanente la missione non è l’entusiasmo che infiamma il cuore generoso del missionario, benché sempre necessario; piuttosto è la compagnia di Gesù mediante il suo Spirito. Se non partiamo con Lui in missione, ben presto perderemo la strada, rischiando di confondere le nostre vane necessità con la sua causa. Se la ragione del nostro andare non è Lui, sarà facile scoraggiarsi in mezzo alla fatica del cammino, o di fronte alla resistenza dei destinatari della missione, o davanti ai mutevoli scenari delle circostanze che segnano la storia, o per la stanchezza dei piedi dovuta all’insidioso logorio provocato dal “nemico”.
Non fa parte della missione cedere allo scoraggiamento, quando forse, passato l’entusiasmo degli inizi, arriva il momento in cui toccare la carne di Cristo diventa molto duro. In una situazione come questa, Gesù non fomenta le nostre paure. E poiché sappiamo bene che da nessun altro possiamo andare perché solo Lui ha «parole di vita eterna» (Gv 6,68), è necessario di conseguenza approfondire la nostra chiamata.
[…] Il Vangelo è sempre concreto, mai un esercizio di sterili speculazioni. Conosciamo bene la ricorrente tentazione di perdersi nel bizantinismo dei “dottori della legge”, di domandarsi fino a che punto si può arrivare senza perdere il controllo del proprio territorio delimitato o del presunto potere che i limiti garantiscono.
Molto si è detto circa “la Chiesa in stato permanente di missione”. Uscire, partire con Gesù è la condizione di questa realtà. Uscire, sì, ma con Gesù. Il Vangelo parla di Gesù che, essendo uscito dal Padre, percorre con i suoi i campi e i villaggi di Galilea. Non si tratta di un percorso inutile del Signore. Mentre cammina, incontra; quando incontra, si avvicina; quando si avvicina, parla; quando parla, tocca col suo potere; quando tocca, cura e salva. Condurre al Padre coloro che incontra è la meta del suo permanente uscire, sul quale dobbiamo riflettere continuamente e fare un esame di coscienza. La Chiesa deve riappropriarsi dei verbi che il Verbo di Dio coniuga nella sua missione divina. Uscire per incontrare, senza passare oltre; chinarsi senza noncuranza; toccare senza paura. Si tratta di mettersi giorno per giorno nel lavoro sul campo, lì dove vive il Popolo di Dio che vi è stato affidato. Non ci è lecito lasciarci paralizzare dall’aria condizionata degli uffici, dalle statistiche e dalle strategie astratte. Bisogna rivolgersi alla persona nella sua situazione concreta; da essa non possiamo distogliere lo sguardo. La missione si realizza sempre in un corpo a corpo.

IL VIAGGIO DEL PAPA IN COLOMBIA: "FACCIAMO IL PRIMO PASSO"

E' cominciato ieri il viaggio del Santo Padre in Colombia.

Di seguito il testo del videomessaggio di Francesco inviato in preparazione alla visita.

Caro popolo della Colombia, tra qualche giorno visiterò il vostro Paese. Verrò come pellegrino di speranza e di pace, per celebrare con voi la fede nel nostro Signore e anche per imparare dalla vostra carità e dalla vostra perseveranza nella ricerca della pace e dell'armonia.

Saluto cordialmente e ringrazio il Signor Presidente e i Vescovi della Conferenza Episcopale per l'invito a visitare la Colombia. Ringrazio anche ognuno di voi che mi accoglie nella vostra terra e nel suo cuore. So che avete lavorato – e avete lavorato molto – per preparare questo incontro. I miei ringraziamenti vanno a tutti coloro che hanno collaborato e continuano a farlo perché esso diventi una realtà.

"Facciamo il primo passo" è il motto di questo viaggio. Esso ci ricorda che abbiamo sempre bisogno di fare un primo passo per qualsiasi attività e progetto. Esso ci spinge anche ad essere i primi ad amare, a costruire ponti, a creare la fraternità. Fare il primo passo ci incoraggia ad uscire per andare incontro all'altro, a tendere la mano e a scambiarci il segno della pace. La pace è quella che la Colombia cerca e per il cui conseguimento lavora da molto tempo. Una pace stabile, duratura, perché possiamo vederci e trattarci come fratelli, non come nemici. La pace ci ricorda che siamo tutti figli dello stesso Padre che ci ama e ci conforta. Sono onorato di visitare questa terra ricca di storia, cultura, fede, uomini e donne che hanno lavorato con determinazione e perseveranza per renderla un luogo in cui regna l’armonia e la fraternità, in cui il Vangelo è conosciuto e amato, dove dire fratello e sorella non risulta un segno strano, ma un vero e proprio tesoro da proteggere e difendere. Il mondo di oggi ha bisogno di consiglieri di pace e di dialogo. Anche la Chiesa è chiamata a questo compito, per promuovere la riconciliazione con il Signore e con i fratelli, ma anche la riconciliazione con l’ambiente che è una creazione di Dio e che stiamo sfruttando in modo selvaggio.

Che questa visita sia come un abbraccio fraterno a ciascuno di voi e che si senta la consolazione e la tenerezza del Signore.

Cari fratelli e sorelle colombiani, desidero vivere questi giorni con voi con animo gioioso, con gratitudine al Signore. Vi abbraccio con affetto e chiedo al Signore di benedirvi, che protegga il vostro paese e gli conceda la pace. E chiedo alla nostra Madre, la Vergine Santa, che abbia cura di voi. E non dimenticate di pregare per me. Grazie e a presto.

PAPA FRANCESCO: LA MORALE E' UNA CONSEGUENZA DELL'INCONTRO CON GESU' CRISTO

Da www.vaticaninsider.it
Andrea
Tornielli, Città del Vaticano

Padre Jorge Mario Bergoglio, all'età di 42 anni, per sei mesi ogni settimana ha incontrato una psicanalista. È lui stesso a rivelarlo in un libro di prossima pubblicazione in Francia, che contiene la trascrizione di dodici dialoghi con il sociologo Dominique Wolton (titolo: “Politique et sociétéˮ, edizioni L'Observatoire). I hanno dialogato grazie alla presenza di un sacerdote che ha fatto da traduttore. Durante una delle interviste, il Papa e l'intellettuale francese, che è direttore di ricerca al CNRS e autore di un famoso libro-intervista con il cardinale Jean Marie Lustiger, hanno parlato del ruolo avuto da alcune donne nella loro vita. Francesco ha citato il coraggio della madre, ha accennato alle due nonne dicendo di ringraziare Dio «per aver conosciuto queste vere donne». Aggiungendo: «Quelle che ho conosciuto mi hanno aiutato molto nella mia vita quando ho avuto bisogno di consultarmi». E ha quindi parlato della psicanalista. Ecco alcuni estratti anticipati da Le Figaro Magazine, nella nostra traduzione dal francese.

Quel consulto per sei mesi
«Ho consultato una psicanalista ebrea - racconta Bergoglio al suo interlocutore - Per sei mesi sono andato a casa sua una volta alla settimana per chiarire alcune cose. Lei era medico e psicanalista, ed è sempre rimasta al suo posto. Poi un giorno, quando stava per morire, mi chiamò. Non per ricevere i sacramenti, dato che era ebrea, ma per un dialogo spirituale. Era una persona molto buona. Per sei mesi mi ha aiutato molto, quando avevo 42 anni». L'esperienza raccontata da Francesco si colloca dunque tra gli anni 1978 e 1979, quando aveva concluso la non facile esperienza di provinciale dei gesuiti d'Argentina e stava iniziando quella di rettore del Collegio Máximo, dove venivano formati gli studenti che desideravano entrare nella Compagnia.

I migranti, i rifugiati e le guerre dell'Occidente
«Il problema inizia nei Paesi da cui arrivano i migranti. Perché lasciano la loro terra? A causa della mancanza di lavoro o della guerra. Questi sono i due motivi principali. La mancanza di lavoro, perché sono stati sfruttati - penso agli africani. L'Europa ha sfruttato l'Africa ... non so se possiamo dirlo! Ma alcune colonizzazioni europee... sì, hanno sfruttato. Ho letto che un capo di stato africano appena eletto come primo atto di governo ha presentato al Parlamento una legge per il rimboschimento del suo paese - ed è stata promulgata. Le potenze economiche del mondo avevano tagliato tutti gli alberi. Rimboschire. La terra è secca per essere stata sfruttata e non c'è più lavoro. La prima cosa da fare, come ho detto alle Nazioni Unite, al Consiglio d'Europa in tutto il mondo, è trovare qui fonti per creare di posti di lavoro, investire. È vero che l'Europa deve investire anche a casa propria. Anche qui esiste un problema di disoccupazione. L'altro motivo per la migrazione è la guerra. Possiamo investire, le persone avranno una fonte di lavoro e non dovranno partire, ma se c'è guerra, dovranno ancora fuggire. Ora chi fa la guerra? Chi dà le armi? Noi».

Laicità dello Stato: le religioni non sono sottoculture
«Lo stato laico è una cosa sana. C'è una laicità sana. Gesù disse: dobbiamo dare a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio. Siamo tutti uguali davanti a Dio. Ma credo che in alcuni Paesi come la Francia, questo laicismo ha un'eredità troppo forte dell'Illuminismo, che costruisce un immaginario collettivo nel quale le religioni sono considerate come una sottocultura. Credo che la Francia - questo è il mio parere personale, non quello ufficiale della Chiesa - dovrebbe “elevareˮ un po' il livello della laicità, nel senso che deve dire che anche le religioni sono parte della cultura. Come esprimerlo in modo laico? Attraverso l'apertura alla trascendenza. Ognuno può trovare la sua forma di apertura».

L'Europa è ferma!
«Non vedo più Schumann, non vedo più Adenauer... L'Europa, in questo momento, ha paura. Chiude, chiude, chiude... L'Europa ha una storia di integrazione culturale, multiculturale come dice lei, molto forte. I Longobardi, i nostri Longobardi oggi, sono barbari che sono arrivati molto tempo fa... E poi tutto si fonde e abbiamo la nostra cultura. Ma qual è la cultura europea? Come definirei oggi la cultura europea? Sì, ha importanti radici cristiane, è vero. Ma non è sufficiente per definirla. Ci sono tutte le nostre capacità. Queste capacità per integrarsi, per ricevere gli altri. C'è anche la lingua nella cultura. Nella nostra lingua spagnola, il 40% delle parole è arabo. Perché? Perché erano lì per sette secoli. E hanno lasciato il segno... Credo che l'Europa abbia delle radici cristiane, ma non sono le uniche. Ci sono altre che non possono essere negati. Tuttavia, credo che sia stato un errore non citare le “radici cristianeˮ nel documento dell'Unione europea sulla prima Costituzione, e questo è stato anche commesso dai governi. Era un errore non vedere la realtà. Questo non significa che l'Europa debba essere interamente cristiana. Ma è un patrimonio, un patrimonio culturale, che abbiamo ricevuto».

«Non mi piace parlare di guerra giusta»
«Oggi dobbiamo ripensare al concetto di “guerra giustaˮ. Abbiamo imparato, nella filosofia politica, che per difendersi si può fare guerra e considerarla giusta. Ma si può definire una “giusta guerra»"? O piuttosto una “guerra di difesa»ˮ? L'unica cosa giusta è la pace... Non mi piace usare il termine “guerra giustaˮ. Sentiamo dire: “Io faccio la guerra perché non ho altri mezzi per difendermiˮ. Ma nessuna guerra è giusta. L'unica cosa giusta è la pace».

La Chiesa di popolo
«Ci sono i peccati dei dirigenti della Chiesa, che mancano di intelligenza o si lasciano manipolare. Ma la Chiesa non sono i vescovi, i papi e i sacerdoti. La Chiesa è il popolo. E il Vaticano II disse: “Il popolo di Dio, nel suo complesso, non si sbagliaˮ. Se vuoi conoscere la Chiesa, vai in un villaggio dove si vive la vita della Chiesa. Andate in un ospedale dove ci sono tanti cristiani che vengono a aiutare, laici, sorelle... Vai in Africa, dove si trovano tanti missionari. Bruciano la loro vita lì. E fanno rivoluzioni reali. Non per convertire, un'altra epoca in cui si parlava di conversione, ma per servire».

L'insistenza sulla morale «sotto la cintura»
«Ma noi cattolici, come insegniamo la moralità? Non puoi insegnarla con precetti del tipo: “Non puoi farlo, devi farlo, devi, non devi, puoi, non puoiˮ. La morale è una conseguenza dell'incontro con Gesù Cristo. È una conseguenza della fede, per noi cattolici. E per altri, la moralità è una conseguenza dell'incontro con un ideale, o con Dio, o con se stessi, ma con la parte migliore di se stessi. La morale è sempre una conseguenza... C'è un grande pericolo per i predicatori, quello di cadere nella mediocrità. Condannare solo la morale - la prego di perdonare l'espressione - “sotto la cinturaˮ. Ma degli altri peccati, quali l'odio, l'invidia, l'orgoglio, la vanità, l'uccisione dell'altro, prendere la vita, non se ne parla. Entrare nella mafia, fare accordi clandestini... “Sei un buon cattolico? Allora dammi l'assegnoˮ».

Amoris laetitia e rigidità
«La tentazione è sempre quella dell'uniformità delle regole... Prenda ad esempio l'esortazione apostolica Amoris laetitia. Quando parlo di famiglie in difficoltà, dico: “Dobbiamo accogliere, accompagnare, discernere, integrare...ˮ e poi ciascuno vedrà le porte aperte. Quello che sta realmente accadendo è che le persone sentono dire la gente: "Non possono fare la comunione", "Non possono farlo": la tentazione della Chiesa è lì. Ma “noˮ, “noˮ e “noˮ! Questo tipo di divieto è quello che troviamo nel dramma di Gesù con i farisei. Lo stesso! I grandi della Chiesa sono quelli che hanno una visione che va oltre, quelli che capiscono: i missionari».

«L'aborto rimane un peccato grave»
L'estensione del potere di assolvere il peccato dell'aborto a tutti i sacerdoti, «attenzione, questo non significa banalizzare l'aborto. L'aborto è grave, è un peccato grave. È l'omicidio di un innocente. Ma se c'è peccato, è necessario facilitare il perdono».

«Il matrimonio è tra un uomo e una donna»
«Matrimonio tra persone dello stesso sesso? “Matrimonioˮ è una parola storica.
Sempre nell'umanità, e non solo nella Chiesa, è tra un uomo e una donna... Non possiamo cambiarlo. Questa è la natura delle cose. Sono così. Chiamiamole “unioni civiliˮ. Non scherziamo con le verità. È vero che dietro c'è l'ideologia di genere. Anche nei libri, i bambini imparano che si può scegliere il proprio sesso. Perché il sesso, essere donna o uomo, sarebbe una scelta e non un fatto di natura? Ciò favorisce questo errore. Ma diciamo le cose come sono: il matrimonio è un uomo con una donna. Questo è il termine preciso. Chiamiamo l'unione dello stesso sesso “unione civileˮ».

Reciprocità con i musulmani
«Non accettano il principio della reciprocità. Alcuni paesi del Golfo sono aperti e ci aiutano a costruire chiese. Perché sono aperti? Perché hanno lavoratori filippini, cattolici, indiani... Il problema in Arabia Saudita è che è davvero una questione di mentalità. Con l'Islam, comunque, il dialogo sta andando bene, perché non so se lo sa, ma l'Imam di Al-Azhar è venuto a trovarmi. E ci sarà incontro: vado. Penso che farebbe bene a loro fare uno studio critico sul Corano, come abbiamo fatto con le nostre Scritture. Il metodo storico e critico di interpretazione li farà evolvere».



* Traduzione: Vatican Insider Staff

SI DIVENTA PREDICATORI DI GESU' CUSTODENDO NEGLI OCCHI IL LUCCICHIO DELLA VERA FELICITA'

Papa Francesco - Udienza generale del 30.08.17
La Speranza (32) - La memoria della vocazione ravviva la speranza.

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi vorrei ritornare su un tema importante: il rapporto tra la speranza e la memoria, con particolare riferimento alla memoria della vocazione. E prendo come icona la chiamata dei primi discepoli di Gesù. Nella loro memoria rimase talmente impressa questa esperienza, che qualcuno ne registrò perfino l’ora: «Erano circa le quattro del pomeriggio» (Gv 1,39). L’evangelista Giovanni racconta l’episodio come un nitido ricordo di gioventù, rimasto intatto nella sua memoria di anziano: perché Giovanni scrisse queste cose quando era già anziano.

L’incontro era avvenuto vicino al fiume Giordano, dove Giovanni Battista battezzava; e quei giovani galilei avevano scelto il Battista come guida spirituale. Un giorno venne Gesù, e si fece battezzare nel fiume. Il giorno seguente passò di nuovo, e allora il Battezzatore – cioè, Giovanni il Battista – disse a due dei suoi discepoli: «Ecco l’agnello di Dio!» (v. 36).

E per quei due è la “scintilla”. Lasciano il loro primo maestro e si mettono alla sequela di Gesù. Sul cammino, Lui si gira verso di loro e pone la domanda decisiva: «Che cosa cercate?» (v. 38). Gesù appare nei Vangeli come un esperto del cuore umano. In quel momento aveva incontrato due giovani in ricerca, sanamente inquieti. In effetti, che giovinezza è una giovinezza soddisfatta, senza una domanda di senso? I giovani che non cercano nulla non sono giovani, sono in pensione, sono invecchiati prima del tempo. E’ triste vedere giovani in pensione … E Gesù, attraverso tutto il Vangelo, in tutti gli incontri che gli capitano lungo la strada, appare come un “incendiario” dei cuori. Da qui quella sua domanda che cerca di far emergere il desiderio di vita e di felicità che ogni giovane si porta dentro: “che cosa cerchi?”. Anche io vorrei oggi domandare ai giovani che sono qui in piazza e a quelli che ascoltano per i media: “Tu, che sei giovane, che cosa cerchi? Che cosa cerchi nel tuo cuore?”.

La vocazione di Giovanni e di Andrea parte così: è l’inizio di un’amicizia con Gesù talmente forte da imporre una comunanza di vita e di passioni con Lui. I due discepoli cominciano a stare con Gesù e subito si trasformano in missionari, perché quando finisce l’incontro non tornano a casa tranquilli: tant’è vero che i loro rispettivi fratelli – Simone e Giacomo – vengono presto coinvolti nella sequela. Sono andati da loro e hanno detto: “Abbiamo trovato il Messia, abbiamo trovato un grande profeta”: danno la notizia. Sono missionari di quell’incontro. Fu un incontro così toccante, così felice che i discepoli ricorderanno per sempre quel giorno che illuminò e orientò la loro giovinezza.

Come si scopre la propria vocazione in questo mondo? La si può scoprire in tanti modi, ma questa pagina di Vangelo ci dice che il primo indicatore è la gioia dell’incontro con Gesù. Matrimonio, vita consacrata, sacerdozio: ogni vocazione vera inizia con un incontro con Gesù che ci dona una gioia e una speranza nuova; e ci conduce, anche attraverso prove e difficoltà, a un incontro sempre più pieno, cresce, quell’incontro, più grande, l’incontro con Lui e alla pienezza della gioia.

Il Signore non vuole uomini e donne che camminano dietro a Lui di malavoglia, senza avere nel cuore il vento della letizia. Voi, che siete in piazza, vi domando – ognuno risponda a se stesso - voi avete nel cuore il vento della letizia? Ognuno si chieda: “Io ho dentro di me, nel cuore, il vento della letizia?”. Gesù vuole persone che hanno sperimentato che stare con Lui dona una felicità immensa, che si può rinnovare ogni giorno della vita. Un discepolo del Regno di Dio che non sia gioioso non evangelizza questo mondo, è uno triste. Si diventa predicatori di Gesù non affinando le armi della retorica: tu puoi parlare, parlare, parlare ma se non c’è un’altra cosa … Come si diventa predicatori di Gesù? Custodendo negli occhi il luccichio della vera felicità. Vediamo tanti cristiani, anche tra noi, che con gli occhi ti trasmettono la gioia della fede: con gli occhi!

Per questo motivo il cristiano – come la Vergine Maria – custodisce la fiamma del suo innamoramento: innamorati di Gesù. Certo, ci sono prove nella vita, ci sono momenti in cui bisogna andare avanti nonostante il freddo e i venti contrari, nonostante tante amarezze. Però i cristiani conoscono la strada che conduce a quel sacro fuoco che li ha accesi una volta per sempre.

Ma per favore, mi raccomando: non diamo retta alle persone deluse e infelici; non ascoltiamo chi raccomanda cinicamente di non coltivare speranze nella vita; non fidiamoci di chi spegne sul nascere ogni entusiasmo dicendo che nessuna impresa vale il sacrificio di tutta una vita; non ascoltiamo i “vecchi” di cuore che soffocano l’euforia giovanile. Andiamo dai vecchi che hanno gli occhi brillanti di speranza! Coltiviamo invece sane utopie: Dio ci vuole capaci di sognare come Lui e con Lui, mentre camminiamo ben attenti alla realtà. Sognare un mondo diverso. E se un sogno si spegne, tornare a sognarlo di nuovo, attingendo con speranza alla memoria delle origini, a quelle braci che, forse dopo una vita non tanto buona, sono nascoste sotto le ceneri del primo incontro con Gesù.

Ecco dunque una dinamica fondamentale della vita cristiana: ricordarsi di Gesù. Paolo diceva al suo discepolo: «Ricordati di Gesù Cristo» (2Tm 2,8); questo il consiglio del grande San Paolo: «Ricordati di Gesù Cristo». Ricordarsi di Gesù, del fuoco d’amore con cui un giorno abbiamo concepito la nostra vita come un progetto di bene, e ravvivare con questa fiamma la nostra speranza.

LA PREGHIERA E LA VICINANZA DEL PAPA PER LE VITTIME DEGLI ATTENTATI DI BARCELLONA

Papa Francesco si unisce al dolore collettivo per il «crudele» attentato terroristico che ieri pomeriggio ha sconvolto Barcellona e «condanna ancora una volta la violenza cieca» che, afferma, è «un'offesa gravissima al Creatore». In una nota diffusa nella serata di ieri dal portavoce vaticano Greg Burke, il Pontefice diceva di aver appreso con «grave preoccupazione» quanto avvenuto lungo la Rambla de Canaletes, a due passi da Plaça de Catalunya, cuore della città, dove intorno alle 17 un furgone bianco è piombato a gran velocità su una folla di cittadini e turisti lì presenti uccidendo e ferendo diversi di loro e andandosi a schiantare contro un chiosco vicino al mercato della Boqueria.
Papa Bergoglio, si legge nella nota vaticana, «prega per le vittime di questo attentato e desidera esprimere la sua vicinanza a tutto il popolo spagnolo, in particolare ai feriti ed alle famiglie delle vittime». Preghiera assicurata anche nel telegramma inviato oggi all'arcivescovo della città catalana, il cardinale Juan José Omella, nel quale il Papa ribadisce «il suo più profondo dolore» per le vittime di questo «atto tanto disumano». Ancora una volta Francesco «condanna la violenza cieca» che ha seminato morte e distruzione in una città europea e che definisce «un'offesa gravissima al Creatore». Perciò «eleva la sua orazione all'Altissimo perché ci aiuti a continuare a lavorare con determinazione per la pace e la concordia nel mondo». Quindi prega per le vittime che, secondo gli ultimi bilanci, ammontano a 15 (due sono italiani) alle quali si uniscono un centinaio di feriti, alcuni in modo anche grave, tra cui diversi bambini.

(da Vaticaninsider news)

AVVISI: SOLENNITA' DELL'ASSUNZIONE DI MARIA - SANTA MESSA PER SANDRA - MEETING DI RIMINI

Martedì prossimo, 15 agosto, è la Solennità dell’Assunzione di Maria. L’orario delle SS. Messe è quello festivo (8.30 - 11 - 18.30), compresa la Santa Messa festiva della Vigilia, lunedì 14 alle 18.30 (al mattino di lunedì 14 sarà celebrata la Santa Messa feriale alle ore 8).

Martedì sera, essendo una festa particolare, NON CI SARA’ la cena condivisa.

Sabato prossimo, 19 agosto, alle ore 18.30 celebreremo l’anniversario della nascita della Serva di Dio Sandra Sabattini, assieme agli amici dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, La Santa Messa coinciderà con il ritrovo settimanale della Comunità fondata da don Oreste e sarà presieduta da don Adamo, responsabile di zona dell’APG23.

Domenica prossima, 20 agosto, inizia il Meeting di Rimini con la Santa Messa presieduta dal Vescovo (in diretta RAI alle 10.45). Il momento conclusivo sarà Sabato 26 agosto, con l'intervento del Card. Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità. L’incontro centrale sarà Martedì 22 agosto alle 17 con Mons. Pierbattista Pizzaballa, Amministratore Apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme.

La Diocesi di Rimini ha indicato alcuni momenti del programma nella lettera del Vicario generale, che si può scaricare cliccando sulla riga che trovate sotto alla foto di Sandra, nella quale sono indicati alcuni gesti della vita diocesana dal prossimo settembre in poi che vi prego di considerare con attenzione.

Download Comunicazione_del_Vicario_generale_ai_sacerdoti.pdf

CONCERTO DI SAN LORENZO: GIOVEDI' 10 AGOSTO ALLE ORE 21.15 NELLA CHIESA DI SAN GIROLAMO

Siamo tutti invitati a partecipare e a proporre ad amici e conoscenti il Concerto di San Lorenzo a cura di Paolo Accardi. Di seguito si può scaricare la locandina invito.

Download locandina_10-8-17.pdf

AVVISI

1) Continuano gli appuntamenti estivi: il martedì la cena condivisa alle ore 20 (nella "piazza" della parrocchia: ognuno porta qualcosa e si condivide) e il venerdì la proiezione del film nel Teatro parrocchiale alle ore 21 (vedi programmazione in bacheca).
2) Perdono di Assisi: dalle 12 di Martedì 1 fino alle 24 di mercoledì 2 è possibile chiedere il dono dell'Indulgenza plenaria, visitando una chiesa e pregando con la recita del Credo, del Padre nostro e di una preghiera secondo le intenzioni del Papa con la confessione e la comunione eucaristica entro 15 giorni.
3) Giovedì 3 agosto alle ore 18: recita del Santo Rosario con la meditazione di alcuni brani tratti dal Diario di Sandra Sabattini.
4) Giovedì 10 agosto alle 21.15 la Parrocchia di San Girolamo organizza il tradizionale Concerto di San Lorenzo (ingresso a offerta libera). Il maestro Paolo Accardi eseguirà un programma musicale dal titolo: “Le stelle lucevano rare tra mezzo alla nebbia di latte”, con brani di Bach, Bossi e Ives e con la partecipazione dell’attrice Francesca Accardi che interpreterà testi pascoliani.

MARTEDI' 11 - MERCOLEDI' 12 - GIOVEDI' 13 LUGLIO: GIOCHI PER BAMBINI, RAGAZZI E FAMIGLIE

Da domani pomeriggio, dalle 16 alle 18 e dalle 21 alle 23, nel piazzale della nostra parrocchia si svolgeranno tre giorni di giochi per bambini, giovani e famiglie.
Un gonfiabile per i più piccoli (all'ombra) e il divertentissimo campo per il calcetto saponato saranno a disposizione per tutti (vedi le fotografie riportate nel sagrato.

MA COME FA CRISTO A DIVENTARE COSI' FAMILIARE, COME PUO' ESSERE COSI' INTIMO IL RAPPORTO CON LUI?

In Mt 10, 37-39 – si tratta di un passo proposto nella liturgia di domenica prossima – Gesù afferma: “Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà”.
Cristo si propone come il centro affettivo: non in alternativa ai rapporti più cari, ma come la radice di ogni rapporto. In Lui si può amare fino in fondo la moglie, il marito, i figli, gli amici, vivendo il compimento di quell’affezione che il cuore desidera e che non è possibile con le nostre sole forze.

Proprio ieri sera, in un dialogo con alcuni di voi, è emersa questa domanda: “Ma come fa Cristo a diventare così familiare, come può essere così intimo il rapporto con Lui?”
Ritengo che questa domanda sia decisiva per il percorso di fede di ognuno di noi e per la vita di tutta la nostra comunità parrocchiale.

Vi propongo di tenerla presente in tutti i dialoghi che avremo occasione di vivere in questa estate, personalmente e nei nostri gruppi,