Avvisi Parrocchiali 2 Luglio - 8 Luglio 2017
Sabato 1
Ore 18.30 S. Messa
Domenica 2
Ore 9.30 S. Messa
Ore 11.00 S. Messa
Ore 18.30 S. Messa
Lunedì 3 – S. Tommaso
Ore 8.00 S. Messa
Ore 18.00 S. Messa presso la chiesa di Villa
Martedì 4
Ore 18.00 S. Messa presso la chiesa della Torricella (Cimitero)
Mercoledì 5
Ore 18.45 In Oratorio, ritiro per donne
Ore 20.30 S. Messa presso la chiesa di Pratello
Giovedì 6
Ore 8.00 S. Messa
Ore 20.30 S. Messa presso la chiesa di S. Emiliano
Venerdì 7
Ore 16.30 S. Messa in casa di riposo
Ore 20.00 S. Rosario nel cortile delle suore
Sabato 8
Ore 16.00 S. Matrimonio tra Stefano Vezzola ed Elisa Belotti
Ore 18.30 S. Messa
Domenica 9
Ore 9.30 S. Messa
Ore 11.00 S. Messa
Ore 18.30 S. Messa
Che cosa ci può insegnare la storia di Charlie di Aldo Maria Valli
«Qualche ora in più, concessa dall’ospedale, per gli ultimi saluti, poi si spegneranno le macchine che tengono in vita il piccolo Charlie, il bimbo britannico di dieci mesi affetto da una rara malattia genetica ritenuta incurabile». Dicono così le agenzie di stampa che sto consultando oggi, 30 giugno 2017.
Charlie Gard è un bambino che muore perché qualcuno ha deciso che deve morire. Chi lo ha deciso e perché? A Charlie Gard è stata diagnosticata una sindrome rarissima. Si chiama sindrome da deplezione del DNA mitocondriale. Provoca un progressivo indebolimento muscolare e finora ha colpito solamente, a quanto risulta, sedici bambini in tutto il mondo.
Di fronte a un caso così difficile, i medici del Great Ormond Street Hospital for Children di Londra, dove Charlie è stato ricoverato, in un primo tempo hanno pensato di applicare una cura sperimentale, ma le condizioni del bambino sono peggiorate a causa di un’encefalopatia. Il vostro bambino, hanno quindi detto i medici ai genitori, Connie Yates e Chris Gard, non potrà più mangiare né parlare autonomamente, ci sarà solo un doloroso peggioramento. Di conseguenza non resta che interrompere l’attività dei macchinari che finora hanno aiutato Charlie a respirare e ad assorbire le sostanze nutritive.
Per nulla disposti ad arrendersi, la mamma e il papà di Charlie hanno raccolto una somma di denaro per poter portare il bambino negli Stati Uniti e sottoporlo a un trattamento sperimentale, ma davanti a questa prospettiva l’ospedale di Londra si è rivolto alla Corte suprema del Regno Unito, che si è opposta al viaggio perché, ha sostenuto, il trasferimento negli Usa e il prolungarsi del trattamento con supporti artificiali avrebbero soltanto causato altre sofferenze al bambino, senza realistiche possibilità di miglioramento.
Di qui la decisione dei genitori di Charlie di presentare ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, ultima speranza per loro. Ma la Corte di Strasburgo ha confermato quanto stabilito dal tribunale inglese, ovvero la sospensione delle cure, dal momento che, ha spiegato, non ha il potere di prendere una decisione su un simile tema al posto di un’autorità nazionale.
«Non ci è permesso di scegliere se nostro figlio debba vivere e non ci è nemmeno permesso di decidere quando e dove Charlie dovrà morire», hanno scritto i genitori su Facebook dopo aver chiesto inutilmente di poter almeno portare il piccolo a casa, per fargli trascorrere lì le ultime ore di vita. In ospedale, hanno infatti spiegato i medici, ci sono più strumenti e risorse per assistere il bambino e ridurre al minimo le sue sofferenze.
Perché la decisione sul destino di Charlie non è stata lasciata ai suoi genitori? La risposta dei giudici inglesi è che «sebbene ai genitori spetti la responsabilità genitoriale, il controllo prioritario è affidato, per legge, al giudice che esercita il suo giudizio oggettivo e indipendente nel migliore interesse del bambino».
Pur cercando di capire le ragioni dei giudici, sono parole che sgomentano. Specie quelle espressioni: «controllo prioritario», «giudizio oggettivo». Sanno tanto di Stato totalitario. Ed è paradossale che a una simile conclusione si sia arrivati in un paese come l’Inghilterra, culla delle libertà individuali.
Un altro paradosso: nel nostro mondo occidentale, nel quale l’autodeterminazione dell’individuo è considerato ormai il principio-cardine della vita sotto ogni aspetto, e nel quale si chiede che gli ordinamenti giuridici e gli apparati statali siano messi sempre di più al servizio di tale autodeterminazione, ecco che una sentenza di tribunale priva di fatto sia Charlie sia i suoi genitori di ogni possibilità di scelta su loro stessi. Ecco così che un sistema come quello liberale costituzionale, nato per garantire i diritti dell’individuo rispetto allo Stato, tradisce se stesso e trasforma lo Stato nell’unica entità in grado di giudicare chi sia degno di vivere e chi non lo sia. […] Nella vicenda di Charlie ciò che inquieta di più è il fatto che, alla fin fine, la sorte di un bambino, di una persona, è stata affidata a entità impersonali. A decidere non è stata mamma Connie, non è stato papà Chris, non è stato nemmeno il dottor X o il dottor Y dopo aver parlato con i genitori, ma è stato un alto tribunale, una corte suprema. In questo giorno tristissimo è difficile non pensare al «Brave New World» di Aldous Huxley, dove la gente è convinta di vivere nel migliore dei mondi possibili, ma non ha alcuna libertà ed è sotto il dominio di misteriosi coordinatori che decidono il destino di tutti.
La vita di Charlie vale meno di quella di un cane di Rino Cammilleri
Perfino papa Francesco ha ammonito il popolo, quando si è accorto che certi cani e gatti hanno più cure e coccole dei bambini. Anzi, ormai i pets hanno sostituito i babies nel cuore di troppi. E Bergoglio non è certo uno che ami andare contro il trend politicamente corretto. Ma una volta tanto, nelle sue uscite a braccio, aveva centrato il punto. Quanno ce vo’ ce vo’. Ormai siamo così incancreniti nell’edonismo dell’«attimo fuggente» (cioè, godi oggi, domani si vedrà…) che ci commuoviamo fino alle lacrime per la sorte di un cagnetto mentre non ci importa niente, anzi sbuffiamo infastiditi, per quella di un bambino malatissimo.
Parliamo di Charlie Gard, il bambino inglese affetto da una rara malattia genetica che i genitori, Chris e Connie, vorrebbero sottoporre a una cura sperimentale negli Usa ma a cui l’ospedale inglese dove è ricoverato vuole staccare la spina. I sette giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo, cui i due genitori si erano rivolti contro l’ospedale (il Great Ormond Street Hospital), hanno dato loro torto e adesso il piccolo può essere tranquillamente terminato. In questo caso, a gridare «siamo tutti Charlie» sono stati solo i credenti, soprattutto i cattolici, che hanno inanellato una catena internettiana di preghiere e stilato una supplica al Santo Padre, affinché ci metta una buona parola.
Si erano rivolti anche al presidente della repubblica italiana, perché concedesse al bambino la cittadinanza, così da avere almeno un appiglio in qualche articolo della nostra Costituzione che parla del diritto alla salute. Ma c’è Charlie e Charlie, come profeticamente il pontefice aveva paventato.
L’altro Charlie è, ovviamente, un cane, per l’esattezza un dogo argentino, che il cuoco italiano Giuseppe Perna aveva inavvedutamente portato con sé a Copenhagen, dove lavora. Qui le autorità danesi gli avevano sequestrato la bestia, appartenente a una delle razze pericolose che è vietato introdurre in Danimarca. A parte il fatto che non è chiaro come l’uomo sia riuscito a fare entrare il suo cane nel Paese (gli agenti di frontiera non sapevano che a quella razza era proibito l’ingresso?), la legge è legge anche in Danimarca e per detta legge il cane vietato andava soppresso. Apriti cielo.
Le organizzazioni animaliste hanno inscenato un tam-tam internazionale che, solo in Italia, in pochi giorni ha raccolto trecentoquarantamila firme, l’ambasciata danese è stata subissata, la solita Maria Vittoria Brambilla si è messa le mani nei rossi capelli e si è subito mobilitata, la cantante Noemi ha lanciato uno spot supplice per la vita di Iceberg (questo il nome del cane, che i TG ci hanno mostrato a lungo mentre affettuoso gioca col suo padrone). Anche il nostro ministro degli esteri, a quel punto, ha dovuto darsi una mossa et voilà: finalmente l’ambasciatore danese Erik Lorenzen ha mostrato il pollice dritto. Il governo danese ha deciso di soprassedere all’esecuzione del cane italiano e tutti stappano bottiglioni di champagne. In effetti, non c’è del marcio in Danimarca: se il dogo italoargentino non si fosse trovato protagonista di una furibonda zuffa con altra bestia, le autorità non se ne sarebbero nemmeno accorte (come le guardie di frontiera).
Comunque, tutto è bene quel che finisce bene. Anche se non si sa come andrà a finire ‘sta storia: il cane dovrà essere rimpatriato? il padrone potrà continuare a tenerlo praeter legem? ci sarà alla frontiera danese un affollamento di cani vietati? Boh. E non ci interessa. Quel che ci interessa è l’ammonimento-profezia del papa, qui avverato in pieno: la cosiddetta opinione pubblica si agita più volentieri per la vita di un cane che per quella di un bambino malato. Siamo ormai alla frutta. Che dico? All’ammazzacaffè. Dopo di che, però, viene il conto…