Civate (LC)
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PARROCCHIA Santi VITO E MODESTO

IMPEGNO

per dire anche noi il nostro SI come Maria...

II DOMENICA DI AVVENTO

È ora di RISPONDERE...come Maria il nostro ECCOMI

Sabato 7 dicembre

preghiamo per la nostra comunità...🙏

Venerdì 6 dicembre

preghiamo....con un gesto 👋

Giovedì 5 dicembre

per iniziare la giornata....☀️

Mercoledì 4 dicembre

preghiamo per il mondo...🌍

Martedì 3 dicembre

preghiamo per i "piccoli"....😇

Lunedì 2 dicembre

preghiamo per la famiglia....🤗

IMPEGNO....

...impegniamoci a vivere ogni cosa che ci accade ad "occhi aperti" per SCOPRIRE la presenza di Gesù

Preghiera per la famiglia...

Accendi una luce e prega con la tua famiglia...

I DOMENICA DI AVVENTO

E' ora di SCOPRIRE...

Aver cura....

Da: ultimo banco .... Alessandro D’Avenia

L’alta marea, che minaccia Venezia come nuova Atlantide, è il Tempo che ci ricorda quanto è fragile la Bellezza ereditata. Lo sa chi ha a che fare con bambini, adolescenti, rose, cristalli come quelli di Venezia, e tutto ciò che è raro. È un privilegio ereditare cose rare: ti insegnano ad amare. E ne abbiamo bisogno per ricordare che pubblico (mezzo, parco, edificio...) è sinonimo di «casa» e non «di nessuno». Questo lo si impara in famiglia e a scuola, purché in famiglia e a scuola si dia alla parola cultura il senso che ha sin dall’origine latina (colere): prendersi cura. È la stessa radice di culto: la cura del sacro. Perso il senso del sacro, cioè di ciò che non è disponibile a possesso e consumo, si smarriscono cura e cultura. Il senso del sacro matura nel ricevere e custodire la bellezza, senza la quale disimpariamo a prenderci cura di cose e persone. Brodskij scrive che«si è ciò che si guarda: la credenza medioevale secondo cui una donna incinta doveva guardare solo cose belle per avere un bel bambino non è così ingenua, se si considera la qualità dei sogni che si fanno in questa città». Paese benedetto, che non guardi le tue cose belle e le trascuri, e se si rompono ti disprezzi, non sogni più e confondi declino con destino... se guardassi Venezia, saresti Venezia.

Corriere della Sera, lunedì 18 novembre

Faro Novembre

auguri … popolo di santi e santificati

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Faro Ottobre

buona lettura e buon cammino comunitario: la Domenica della Comunità

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nuovo anno pastorale ... nuovo Faro

eccolo

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faro luglio

eccolo... buona lettura

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Da “letti da rifare” di Alessandro D’Avenia

Compiti per le mancanze
di Alessandro D’Avenia
24 giugno 2019
«Mamma dice che se sto quassù per due ore, tre giorni a settimana, quest’estate non dovrò fare i compiti», così confida Calvin alla sua tigre di pezza, Hobbes, mentre scruta l’orizzonte da una casa sull’albero in mezzo al bosco. Ho sempre trovato efficace questa vignetta di uno dei fumetti che amo di più (Calvin&Hobbes), per affrontare la questione dei compiti per le vacanze, irrisolvibile se ridotta alla guerra tra due fazioni: chi sostiene che le vacanze siano l’occasione per fare piazza pulita della scuola e chi invece ritiene necessario tenere allenata la mente dei ragazzi come se la scuola non finisse mai. In astratto il dilemma non ha soluzione perché perde di vista la vita: la madre di Calvin centra la questione perché non parte dall’astrazione compiti sì/compiti no o quanti, ma dal figlio: che cosa gli «manca», di che cosa ha bisogno proprio lui? Solo a partire da questa domanda potremo scegliere e concordare «compiti» che porteranno ciascuno a «sentire la vita» che gli manca, che poi è l’unico modo per diventare «capaci di vita». Perché?
Le «mancanze» di creatività, generosità, iniziativa, sono strettamente collegate alla mancanza di «sentimento della vita» e non uso «sentimento» per indicare un’emozione, ma la relazione profonda di cuore e testa, uniti, con l’essenziale. Siamo l’unico essere al mondo che «si sente vivere», cioè capace di dire: quello a cui accade questa cosa sono io. Quindi più entro in contatto profondo con «i materiali della vita» più si approfondisce il mio sentirmi vivere, cioè il senso della mia vita, l’unica cosa capace di renderci felici perché ci strappa dall’indifferenza, il cancro della vita spirituale. Non dimenticherò mai le fughe dalla finestra nell’ora del coprifuoco pomeridiano durante la villeggiatura al mare. Avevo sei o sette anni e mi obbligavano a riposare per recuperare le forze prosciugate dal sole e dal sale ma, quando calava il silenzio, aprivo cautamente la serranda e sgattaiolavo fuori. Camminavo senza meta, esplorando la natura circostante e mi spingevo fino alle dune che nascondevano il mare, mi sembrava tutto pericoloso e straordinario. Studiavo ogni cosa: rumori, animali, reperti; inseguivo lucertole, scarabei e farfalle; inventavo giochi, avventure e tesori. Mentre scrivo questi ricordi sento gli odori e vedo i colori, tanto sono impressi nella mia memoria. Qualche estate dopo, tredicenne, in quella stessa stanza ci rimanevo volentieri perché mio fratello mi aveva prestato un libro che rapiva le ore del coprifuoco pomeridiano. Mi immergevo nelle 1.200 pagine del Signore degli Anelli con lo stesso stupore con cui anni prima scappavo per esplorare il mondo frastornato dalla calura e dalle cicale. Nell’uno e nell’altro caso si trattava di due ore, come quelle di Calvin, dedicate alla scuola dello stupore: la parola scuola viene dal greco scholè, che significava «tempo libero». La densità di ciò che mi veniva incontro era tale che si trattava di veri e propri «eventi», cioè quei fatti che si impongono all’attenzione perché talmente «traboccanti di significato» da diventare chiamate alla vita. In quelle ore ho maturato un profondo «sentimento della vita»: avventura, esplorazione, silenzio, osservazione, lettura, stupore, paura, solitudine buona... Ho imparato a incontrare le cose semplici ed essenziali, e a cercarle in tutto ciò che faccio. Questo mi ripara da quella artificiosa complicazione oggi spacciata per intelligenza e profondità e che, spesso, è il contrario: pigrizia di fronte alla verità che si offre ai nostri occhi. Per esempio, a scuola, abbiamo sotto gli occhi l’essenziale, il traboccante di significato: i ragazzi, e invece di occuparci di loro, siamo più preoccupati da programmi, burocrazia e chissà cos’altro, per poi nasconderci dietro analisi raffinatissime sul perché i giovani d’oggi siano ridotti così... Una vera rivoluzione non comincia mai dalla distruzione ma da un rinnovato atto di comprensione dell’evidente: com-prendere vuol dire «prendere insieme» qualcosa, testa e cuore uniti. Dovremmo ricordarlo noi italiani, che possiamo indicare, con un unico verbo, sia l’azione di capire qualcosa («ho compreso il punto») sia quella del sentirne la vita («ti comprendo»).
Per «sentirmi vivo» vado sempre a caccia del «semplice perduto». Nei letti da rifare cerco di provocare, prima in me e poi in voi, una rivoluzione basata su atti di «comprensione»: mettersi di nuovo di fronte all’evidente, come fosse la prima volta o l’ultima, per sentirne la vita. Solo questo porta l’immaginazione ad accendersi, la creatività a muoversi, la generosità ad attivarsi, solo il «sentimento della vita» ci fa scoprire che siamo «capaci di vita», cioè esseri che, per aver vita, devono prima riceverla: ma per diventare capaci bisogna prima ammettere di essere mancanti, solo così ciò che trabocca può riempirci. E che cosa trabocca? Ciò che è semplice, ricco di verità e bellezza. E dove è questo «semplice perduto»? È in tutto ciò che possiamo definire «mistero», una parola oggi purtroppo (mal)ridotta a fenomeni paranormali, irrazionali o puramente emotivi. «Mistero» è invece tutto ciò che trabocca di significato, ciò che non può essere spiegato da altro, perché è originario e non ulteriormente spiegabile: è la pienezza della vita bella che riempie il cuore e la mente. Semplice è ciò che ha una sola «piega» (plica in latino), diversamente da ciò che va spiegato (liberato dalle pieghe: ex-plicare) perché è com-plicato (pieno di pieghe). Il semplice ha un solo «velo», e per questo ci attrae e seduce, perché vuole s-velarsi a noi. Quei pomeriggi estivi non posso «spiegarli» ma ri-viverli e ri-velarli, perché a quelle cose e a quelle pagine bastava esserci per riversare in me la pienezza di vita che contenevano. E ricordo tutto nei dettagli proprio perché in quei dettagli c’era tutto: il mistero è semplice in sé, non è però facile per noi, perché richiede (oggi è meno scontato) uno stato di «veglia».
La vacanza è luogo privilegiato per questa «veglia» al mistero: vacanza vuol dire infatti «vuoto», quindi «mancanza», l’ideale per riscoprirsi «capaci» di ricevere la vita dove trabocca, essere riempiti di un «contenuto» che non più esserci tolto, e che quindi ci fa «contenti». Anche per questo dedico due settimane delle mie vacanze a un trekking in montagna con ragazzi di 14 e 15 anni, dove il cellulare quasi non prende e bisogna concentrarsi sulle cose evidenti: il passo, la fatica, il silenzio e le parole misurate, la bellezza di laghi, ghiacciai, animali, alberi, fiumi... e gli altri, con cui condividere l’ascesa e questo ben di Dio. Il «ben di Dio» è tutto ciò che ci è dato per riempire la nostra capacità di vita e sentirci di nuovo vivi. Solo questo può farci riposare, perché ci rende di nuovo attenti, fiduciosi e fedeli a una vita che spesso diventa opaca, noiosa, assurda. Inoltre questo ci abitua a ricevere le cose semplici come «eventi» e guarisce sia dall’indifferenza sia dall’ossessione della prestazione, anche in vacanza, atteggiamento che porta a cercare e moltiplicare gli eventi esteriori, nella speranza di trovare il riposo nell’eccezionale o nell’esotico, finendo le vacanze più stanchi di prima. Per ricevere la densità riposante delle cose dobbiamo seguire il consiglio che il Lear di Shakespeare dà alla figlia in uno dei passi più belli di tutta la letteratura: «Vivremo, pregando, cantando,/e raccontandoci antiche storie... e prenderemo su di noi il mistero delle cose come se fossimo le spie di Dio,/e vedremo consumarsi partiti e fazioni di potenti,/che s’alzano e s’abbassano come la marea/sotto l’influsso della luna». Prendere su di sé il mistero delle cose non è un esercizio esoterico o emotivo, ma il serissimo «compito» di ricevere e condividere, con chi amiamo, la vita come continuo «evento» organizzato dalle cose traboccanti di significato, liberi dal sali e scendi di una marea di cose inutili. Solo incontrando «il ben di Dio» diventiamo «spie di Dio»: coloro che, ricevendo il «segreto» traboccante della vita, ne diventano «segretari», lo custodiscono e segnalano ad altri (aggiornando il testo) come spie accese. Questo è il compito di noi adulti in vacanza: aiutare bambini e ragazzi a sentire le loro «mancanze» e incontrare il mistero, il traboccante di significato, la semplicità essenziale delle cose vicine. Spesso viviamo male soltanto perché arriviamo impreparati al presente: siamo altrove, dispersi, mai pronti a ricevere i doni della vita, come Calvin.
Il letto da rifare oggi allora è scegliere bene luoghi e attività delle vacanze. Non si tratta né di intraprendere azioni mirabolanti né di ripetere sempre le stesse cose, ma di scegliere, prima di tutto noi, i materiali necessari a risvegliare il nostro/loro sentimento della vita. Allora i compiti potranno essere di qualsiasi tipo, scolastici o meno, ma mirati a ogni Calvin, concordati (con gli insegnanti?) e condivisi (con familiari e amici?): libri (uno tra quelli dati a scuola?) letti insieme ad alta voce in serate senza tv, esercizi (dallo sport alla preghiera), approfondimenti (dalle osservazioni celesti a imparare una lingua, dalle visite in luoghi studiati a iniziare a suonare uno strumento), tenere compagnia a chi è solo o aiutare chi le vacanze non può permettersele, e tutto ciò che sceglierete con creatività perché lo ritenete, per voi e per i vostri figli, essenziale e traboccante di significato: due ore, tre volte a settimana (senza cellulare). Vi stupirete. Vi riposerete. Ve lo ricorderete.

Corpus Domini

Da una riflessione di Fr. Enzo Bianchi di Bose
qui viene spontaneo chiedersi: cosa significa questo evento? Normalmente si parla di “moltiplicazione” dei pani, ma nel racconto non c’è questo termine. Dunque? Dovremmo dire che c’è stata condivisione del pane, c’è stato lo spezzare il pane, e questo gesto è fonte di cibo abbondante per tutti. In tal modo comprendiamo come ci sia qui una prefigurazione di ciò che Gesù farà a Gerusalemme la sera dell’ultima cena: “Prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: ‘Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me’” (Lc 22,19). Lo stesso gesto è ripetuto da Gesù risorto sulla strada verso Emmaus, di fronte ai due discepoli. Anche in quel caso, al declinare del giorno, invitato dai due a restare con loro (cf. Lc 24,29), “quando fu a tavola, prese il pane, pronunciò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro” (Lc 24,30). Tre episodi che recano lo stesso messaggio: le folle, la gente, il mondo ha fame del regno di Dio, e Gesù, che ne è il messaggero e lo incarna, sazia questa fame con la condivisione del cibo, con lo spezzare il suo corpo, la sua vita, offerta a tutti.

Ecco il mistero eucaristico nella sua essenza: non lasciamoci abbagliare da tante e varie dottrine eucaristiche, ma accogliamo il mistero nella sua semplicità. Cristo si dà a noi ed è cibo abbondante per tutti; una volta spezzato (sulla croce), si dà alla chiesa, a noi, a tutti coloro che lo cercano e tentano di seguirlo, a tutti quelli che hanno fame e sete della sua parola e desiderano condividere la sua vita. Se è vero che la dinamica dello spezzare il pane e del condividerlo trova nella celebrazione della cena eucaristica, nella liturgia santissima, un adempimento, essa però è anche paradigma di condivisione del nostro cibo materiale, il pane di ogni giorno. L’eucaristia non è solo banchetto del cielo, tavola del corpo e del sangue del Signore, ma vuole essere magistero per le nostre tavole quotidiane, dove il cibo è abbondante ma non è condiviso con quanti hanno fame e ne sono privi. Per questo, se alla nostra eucaristia non partecipano i poveri, se non c’è condivisione del cibo con chi non ne ha, allora anche la celebrazione eucaristica è vuota, perché le manca l’essenziale. Non è più la cena del Signore, bensì una scena rituale che soddisfa le anime dei devoti, ma in profondità è una grave menomazione del segno voluto da Gesù per la sua chiesa! La tavola del corpo del Signore sempre dev’essere tavola della parola del Signore e, insieme, tavola della condivisione con i bisognosi.

Con la condivisone dei pani e dei pesci insieme alle folle Gesù inaugura un nuovo spazio relazionale tra gli umani: quello della comunione nella differenza, perché le differenze non sono abolite ma affermate senza che, d’altra parte, ne patisca la relazione segnata da fraternità, solidarietà, condivisione. Sì, dobbiamo confessarlo: nella chiesa si è persa quest’intelligenza eucaristica propria dei primi cristiani e dei padri della chiesa, vi è stato un divorzio tra la messa come rito e la condivisione del pane con i poveri! E se nel mondo esiste la fame, se i poveri sono accanto a noi e l’eucaristia non ha per loro conseguenze concrete, allora la nostra eucaristia appare solo scena religiosa e – come direbbe Paolo – “il nostro non è più un mangiare la cena del Signore” (cf. 1Cor 11,20).

il faro di giugno

ecco … vi raccomando l'editoriale...

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Faro di Maggio

buona lettura

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Buona Pasqua

La Pasqua frantumi le nostre paure e ci faccia vedere le tristezze, le malattie, i soprusi, e perfino la morte, dal versante giusto: quello del «terzo giorno». Da quel versante le croci sembreranno antenne, piazzate per farci udire la musica del cielo. Le sofferenze del mondo non saranno per noi i rantoli dell’agonia, ma i travagli del parto. E le stigmate, lasciate dai chiodi nelle nostre mani crocifisse, saranno le feritoie attraverso le quali scorgeremo fin d’ora le luci di un mondo nuovo. Pasqua, festa che ci riscatta dal nostro passato! Allora, Coraggio! Non temete! Non c’è scetticismo che possa attenuare l’esplosione dell’annuncio: “le cose vecchie sono passate: ecco ne sono nate nuove”. Cambiare è possibile. Per tutti. Non c’è tristezza antica che tenga. Non ci sono squame di vecchi fermenti che possano resistere all’urto della grazia…
Don Tonino Bello

Venerdì santo

Nel Vangelo di Giovanni una delle ultime parole di Gesù è: “ Ho sete”; una sete umanamente spiegabile con la sua situazione, ma che forse in questo momento è forse divina: rivela il desiderio di Dio di dare vita all’uomo, di dargli se stesso. La sete ricorda poi l’incontro di Gesù con la samaritana: in quell’occasione Gesù fa scoprire alla donna la sete profonda che la abita e le promette l’acqua che non viene mai meno, il dono del suo Spirito. Ora egli porta a compimento la sua promessa e il desiderio di comunione di Dio con l’uomo giunge a pienezza: consegnandoci il suo Spirito il Signore ci fa entrare in comunione con Dio e ci salva per sempre dalla morte. Rimaniamo sotto quella croce, lasciamo che un amore così grande sconvolga la nostra vita.

Giovedì santo

Gesù, nell’atto di lavare i piedi, vuole soprattutto comunicare l’amore umile di Dio per noi. Un amore che non è manifestato solo con miracoli e opere spettacolari (che noi potremmo ben pensare di essere incapaci di fare!), ma un amore fatto di gesti semplici. «Io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi; anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri». Così Gesù ci chiede non solo di metterci umilmente al sevizio degli altri, ma che questo sia un modo per fare memoria del suo amore per noi.

faro di aprile

eccolo...

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Una nuova scuola? Da letti da rifare di Alessandro D’Avenia

È avvenuto tutto in modo inatteso! Tutte le forze politiche, improvvisamente memori che dalla qualità della scuola dipende quella del Paese, hanno unanimemente deciso di vararne la Riforma. Mi sembra doveroso lasciare lo spazio della rubrica alle disposizioni contenute nella circolare ministeriale che proprio oggi verrà letta in tutte le scuole italiane.

«Si rendono note le linee guida della riforma che avrà efficacia dal nuovo anno scolastico:
0. Nutre la mente ciò che le dà gioia. La vita cresce grazie a relazioni generative.
1. Non esiste più la scuola dell’obbligo. Va solo chi vuole impegnarsi a conoscere il mondo e la memoria del mondo. Gli altri sono liberi di fare ciò che vogliono (si prevedono per le strade masse di ragazzi annoiati e ignoranti). È compito dei genitori spiegare ai figli le ragioni per cui vale la pena frequentare la scuola. Forniremo vademecum con spunti utili.
2. Insegnanti, docenti e professori non si chiamano più così ma: Maestri. Ogni Maestro/a deve possedere tre requisiti: Conoscenza, Passione, Empatia, cioè amare e conoscere ciò che insegna e amare e conoscere le persone a cui lo insegna. Nessun aspirante privo di una sola delle suddette caratteristiche può diventare Maestro/a. Se ne perde una viene aiutato dagli altri Maestri a superare il momento di difficoltà: non viene mai lasciato solo.
3. I ragazzi scelgono liberamente i Maestri all’interno dei percorsi curricolari della scuola. I Maestri della stessa disciplina usano, in orari diversi, la medesima aula (è possibile anche arredarla con buon gusto e in armonia: si prega di mettere almeno una pianta).
4. Il Maestro dedica il mattino (8.00-13.30) alle lezioni. L’appello (8.00-8.30) non è più un obbligo burocratico, ma parte integrante della didattica: ogni alunno ha a disposizione un minuto per dire come si chiama e qual è stata la cosa più bella e la più brutta del giorno prima. Dalle 8.20 alle 8.30 si ascolta musica, scelta a turno da Maestri e alunni. Nel pomeriggio (15-18) il Maestro studia, riceve studenti e/o genitori per colloqui, recuperi e approfondimenti, corregge i compiti. Le classi sono composte da 12 alunni.
5. Le tappe formative (elementari, medie, superiori) durano 4 anni ciascuna, all’ultimo quadriennio si aggiunge un anno incentrato sulla scelta universitaria o del lavoro. Il fine specifico di ogni quadriennio è: imparare a leggere, scrivere e far di conto; imparare a studiare; imparare a pensare, creare, lavorare. Ogni anno consta di tre trimestri e la valutazione finale di ogni materia risulta dalla media ponderata dei voti dei tre trimestri.
6. I Maestri per diventare tali scelgono, nei loro ambiti, sin dall’inizio un percorso specifico della durata di 7 anni: 4 di laurea e 3 di specializzazione. Ai posti di specializzazione, il cui numero è stabilito in base alla reali necessità, si accede tramite concorso annuale. I tre anni di specializzazione, retribuiti, consistono in un tirocinio attivo annuale a fianco di diversi Maestri della disciplina: un anno alle elementari, uno alle medie, uno alle superiori. Parte dell’anno di tirocinio viene dedicata al sostegno di studenti con Bisogni Educativi Speciali.
7. Lo stipendio di base viene portato alla media dei Paesi UE e adeguato alle ore di lavoro.
8. Non ci sono più interrogazioni/compiti a sorpresa. Ogni verifica (scritto/orale) viene pianificata. Alla fine di ogni quadriennio c’è un esame di verifica degli obiettivi del punto 5. Alla fine dell’anno aggiuntivo del quadriennio delle superiori si affronta un esame il cui voto finale risulterà per il 50% dalla media delle medie dei 5 anni delle superiori, per il 30% dai risultati di test (attitudinali e orientativi) nazionali eseguiti lungo l’anno, per il 20% dall’esame. Aboliti i test per l’università, i ragazzi occupano i posti disponibili (vale anche per chi accede subito al mondo del lavoro) in base al risultato dell’esame.
9. Sono aboliti i banchi. Ogni aula ha un tavolo ovale da 13 posti (contro ogni superstizione): i ragazzi si guardano in viso. Il Maestro non ha la cattedra, ma siede al tavolo o passeggia attorno ad esso. I supporti tecnologici sono: la parola, i libri, i quaderni, la penna (i cellulari sono spenti). Al centro del tavolo con tecnologia olografica può apparire qualsiasi immagine o testo necessari alla lezione. Nel compleanno di uno studente il tavolo viene addobbato a festa e l’appello è sostituito dal festeggiamento.
10. I compiti (studenti legati alla sedia come Alfieri), in quantità da svolgere tra le 15 e le 18 (stesso orario del Maestro), sono preventivi. Gli alunni studiano prima le nozioni “attorno” all’argomento e la lezione diventa la ricerca comune del tesoro. Il Maestro guida la caccia: non svela il tesoro (l’attenzione si attiva solo se può scovare il nuovo) ma mette in condizione di trovarlo (la memoria trattiene solo ciò che scopre non ciò che ripete). Sono quindi abolite le domande-ripetizione: «Quali sono le fasi del pessimismo leopardiano?» e ammesse solo le domande-scoperta, grazie alle quali si fa uso degli indizi per raggiungere conoscenze e soluzioni: «Dai Canti quale concezione della vita deduciamo?». L’errore non è così una colpa ma la leva per elaborare una nuova strategia. I ragazzi trovano le risposte in coppie/gruppi (il 12 dà tutte le possibilità), condividendo punti di vista e conoscenze. L’apprendimento individuale viene saggiato nelle verifiche (scritte/orali) pianificate.
11. Le aule non hanno le porte: chiunque potrà vedere e ascoltare dalla soglia.
12. Ai Maestri è vietato parlare della propria vita privata, se non è attinente e necessario alla lezione (esempio: «La prima volta che incontrai Leopardi avevo 13 anni»). La vita del Maestro si mostra solamente in: ciò che insegna, il modo in cui lo insegna, la cura per coloro a cui lo insegna. Alla fine di ogni lezione i ragazzi ringraziano il Maestro per ciò che hanno imparato con il suo aiuto. Il Maestro che parla male degli altri Maestri sarà multato.
13. Una volta a settimana, a turno, nelle stesse modalità descritte prima, un Maestro guida una lezione per gli altri Maestri della sua disciplina, in modo da evitare onerosi corsi di aggiornamento esterni. Una volta all’anno il Maestro guida una lezione per i Maestri delle altre discipline, i quali scelgono almeno tre di queste lezioni (una per trimestre).
14. Viene istituito il: a) Maestro di Lettura, con qualifica in drammaturgia. Legge, per 4 ore settimanali, ad alta voce, libri scelti con gli altri Maestri. In 13 anni sono 1485 ore di lettura, leggendo almeno 30 pagine l’ora ne otteniamo 45.000 (100 libri da 450 pagine). Gli alunni ascoltano e vengono gradualmente coinvolti nella lettura. Non ci sono verifiche e interrogazioni: i testi non sono più pre-testi per fare altro. Esempio: al primo anno delle superiori si leggerà integralmente l’Odissea, 24 libri, ciascuno dei quali per la lettura ad alta voce richiede 30 minuti: bastano 12 ore. b) Maestro di Grafia per un’ora a settimana, perché la mano unita alla mente è tutto. c) Maestro di Latino (per le medie), per due ore a settimana, perché sintassi, comprensione del lessico e logica sono andati a farsi friggere.
15. I colloqui con i genitori sono tre all’anno e vertono sulla crescita integrale (umana e spirituale) del ragazzo, di cui i voti sono solo una parte. È obbligatoria la presenza di entrambi i genitori che, se mettono in discussione l’operato del Maestro, vengono multati. Durante gli ultimi tre anni ad almeno due dei tre colloqui sarà presente anche lo studente.
16. Il Maestro ha un quaderno per ogni alunno. Ogni pagina è divisa in due colonne: nella prima annota i punti forti e le doti, nell’altra i punti deboli, le fragilità, le fatiche della crescita. Conta sui primi per migliorare i secondi: sa che sanzionando solo i secondi non si otterrebbe quasi nulla. Ogni studente sceglie un Maestro-Tutor (parola latina che si legge come si scrive e significa «colui che protegge»), con il quale avrà tre colloqui l’anno sul suo percorso e sulle eventuali difficoltà. I Maestri si incontrano ogni trimestre per concordare l’azione educativa per ogni studente, in base a quanto osservato nei tre mesi precedenti.
17. I Maestri indicano per ogni argomento quale aspetto della vita viene liberato da menzogna e luoghi comuni: la cultura non è un museo, ma vita che aumenta la vita grazie al vero, al bello, al buono. Distinguendo il vero dal falso, il bene dal male, il bello dal brutto, e le gradazioni intermedie, i ragazzi imparano a giudicare e a scegliere: la libertà, fondata su conoscenza ed esperienza della realtà, è il fine di tutto il percorso educativo.
18. Alla fine dell’anno i Maestri ricevono valutazioni anonime sul proprio operato da parte degli studenti in modo da migliorare i punti deboli e fare affidamento su quelli forti. I giudizi sono ad esclusiva conoscenza dell’interessato, la cui credibilità viene dal fatto che per primo sa di essere in continua ricerca e crescita. Il Maestro non si sente mai «arrivato».
19. Ogni scuola avrà un’ampia biblioteca con sala lettura in cui Maestri e studenti possono fermarsi (sino alle 18) a studiare, lontani da distrazioni (cellulari spenti) e protetti dal silenzio che è il terreno da cui nascono l’intelligenza, il pensiero, la memoria e la persona.
20. Al Maestro è vietato partecipare ai gruppi whatsapp dei genitori.

da leggersi in tutte le classi in data 1 Aprile 2019»