Mercoledì 28 agosto

È profeta chi umilmente comunica il proprio modo di intendere la Parola di Dio, soprattutto quando essa esorta alla conversione profonda del cuore. È più di un profeta chi, conoscendo intimamente il Signore Gesù, fa gli altri partecipi di questa conoscenza interiore, allo scopo di diventare insieme suoi discepoli, proprio come Giovanni il Battista.

PAROLA (Lc 7, 24b-27)

In quel tempo. Il Signore Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che portano vesti sontuose e vivono nel lusso stanno nei palazzi dei re. Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”».

Martedi 27 agosto

Nessuno, quando desidera parlare autenticamente nel nome di Gesù, si mette al suo posto, né negli atteggiamenti, né nelle modalità di comunicazione. Gesù è sempre prima dei suoi annunciatori: essi lo sanno bene e spendono parole perché loro stessi e i loro ascoltatori siano diretti a Lui, incoraggiati alla sua sequela.

PAROLA (Luca 3, 15-18)

In quel tempo. Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

Scuole di teologia per laici nelle zone pastorali

Un’occasione per formare laici adulti che desiderano affrontare i temi fondamentali della fede cristiana con una riflessione critica e una maggiore consapevolezza personale. Da diversi anni il Seminario arcivescovile di Milano è impegnato attivamente nella conduzione delle Scuole di teologia rivolte ai laici ambrosiani, allo scopo di offrire una formazione teologica di base. La Scuola ha un aspetto culturale che la differenzia dal taglio pastorale delle Scuole per operatori pastorali (Sdop) e dal profilo accademico dell’Istituto superiore di Scienze religiose o della Facoltà teologica. Pur assomigliando alla catechesi per adulti, la Scuola parte da nozioni di fede già conosciute, offrendone un approfondimento critico: una caratteristica che può essere apprezzata anche da quanti, pur non aderendo alla fede cristiana, ne vogliono conoscere le motivazioni. Non è finalizzata a un immediato impegno ecclesiale o di testimonianza nel mondo, ma lo può utilmente sostenere e confermare. La Scuola di teologia per laici è nata da un’intuizione di monsignor Antonio Barone, all’epoca in cui era vicario episcopale della Zona VII. Basandosi sull’esperienza già attiva a Monza, la prima Scuola nacque nell’anno pastorale 1997-1998 a Cinisello Balsamo, sotto la regia di don Aristide Fumagalli.

Successivamente ne sono state aperte a Lecco (Zona III), Melegnano (Zona VI), Rho (Zona IV), Gazzada (Zona II) e poi ancora ad Abbiategrasso (Zona VI), Oreno di Vimercate (Zona V) e Gallarate (zona II).

Nel tempo si è così attuato un cambiamento di sede della Scuola all’interno delle varie Zone, per favorire un ampliamento della partecipazione. Negli anni sono state coinvolte complessivamente più di un migliaio di persone. La titolarità dell’iniziativa è del vicario di Zona, che può contare sulla collaborazione di alcuni laici del territorio, non solo per l’organizzazione tecnica, ma anche per la condivisione del progetto, il supporto e la promozione.

Elaborazione dei programmi e svolgimento delle lezioni sono a cura dei docenti del Seminario. Il percorso è strutturato secondo una logica sintetica e organica. Prevede una scansione in cinque anni: biblico, antropologico, teologico, ecclesiologico-sacramentale e morale. Pur offrendo la possibilità di una descrizione completa dell’intera teologia, ogni anno ha una fisionomia monografica, per cui è possibile iscriversi e frequentare le lezioni decidendo di volta in volta. Ogni anno è strutturato in quattro unità di quattro lezioni ciascuna, tenute dallo stesso docente; a esse si aggiunge la lezione introduttiva, il cui scopo è la comprensione della rilevanza dell’argomento per l’esistenza individuale e del rilievo culturale per la situazione contemporanea. Per ulteriori informazioni e aggiornamenti delle proposte consultare il portale della Diocesi www.chiesadimilano.it.

Lunedì 26 agosto

La fede inizialmente purifica, perché porta alla luce la nostra lontananza dai doni di Dio, battezzandoci nell’acqua. Quando giunge a maturazione, diventa seme fecondo che infiamma il cuore e ci ricorda sempre la presenza del Signore Gesù accanto a noi, battezzandoci nello Spirito Santo.

PAROLA (Marco 1, 4-8)

In quel tempo. Vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

Per pregare in settimana

In allegato lo schema per la preghiera personale.

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Nuovo foglio di Comunità

In allegato il programma della settimana.

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Domenica 25 agosto

La caparra dello Spirito, dono di Dio che abita in noi, ci dà la certezza di fede che la vita è più grande di ciò che vediamo e anche di ciò che immaginiamo. Come l’amore del Signore che sperimentiamo nella fede e nella vita umana è molto di più rispetto a quello che percepiamo, così la vita stessa. Questa certezza di fede dà forza nella tribolazione e trasforma la durezza del dolore in nuova forza interiore d’amore in ogni circostanza della nostra storia, soprattutto in quelle più dolorose.

PAROLA (2 Cor 4, 17-5,10)

Fratelli, il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria: noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne. Sappiamo infatti che, quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli. Perciò, in questa condizione, noi gemiamo e desideriamo rivestirci della nostra abitazione celeste purché siamo trovati vestiti, non nudi. In realtà quanti siamo in questa tenda sospiriamo come sotto un peso, perché non vogliamo essere spogliati ma rivestiti, affinché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita. E chi ci ha fatti proprio per questo è Dio, che ci ha dato la caparra dello Spirito. Dunque, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo – camminiamo infatti nella fede e non nella visione –, siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore. Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi. Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male.

Sabato 24 agosto

Il nuovo Tempio del Signore è come quello antico: perfetto e forte. La città che lo ospita è la sposa dell’Agnello, la Chiesa di Gesù, che, attraverso i suoi apostoli, dà la vita ogni giorno per il mondo e così dona la salvezza del Signore.

PAROLA (Ap 21, 9b-14)

Nel giorno del Signore, l’angelo mi parlò: «Vieni, ti mostrerò la promessa sposa, la sposa dell’Agnello». L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello.

Venerdì 23 agosto

Ogni idolatria nasce sempre da un abuso di potere, dalla paura di perdere credibilità e prestigio e, con essi, la stima e perfino la vita. Tutti i popoli corrono il rischio dell’idolatria, soprattutto quando cercano capi e riferimenti che ostentino maggiori capacità persino rispetto a Dio stesso o usano il suo nome per i propri fini terreni.

PAROLA (1 Re 12, 26-32)

In quei giorni. Geroboamo pensò: «In questa situazione il regno potrà tornare alla casa di Davide. Se questo popolo continuerà a salire a Gerusalemme per compiervi sacrifici nel tempio del Signore, il cuore di questo popolo si rivolgerà verso il suo signore, verso Roboamo, re di Giuda; mi uccideranno e ritorneranno da Roboamo, re di Giuda». Consigliatosi, il re preparò due vitelli d’oro e disse al popolo: «Siete già saliti troppe volte a Gerusalemme! Ecco, Israele, i tuoi dèi che ti hanno fatto salire dalla terra d’Egitto». Ne collocò uno a Betel e l’altro lo mise a Dan. Questo fatto portò al peccato; il popolo, infatti, andava sino a Dan per prostrarsi davanti a uno di quelli. Egli edificò templi sulle alture e costituì sacerdoti, presi da tutto il popolo, i quali non erano discendenti di Levi. Geroboamo istituì una festa nell’ottavo mese, il quindici del mese, simile alla festa che si celebrava in Giuda. Egli stesso salì all’altare; così fece a Betel per sacrificare ai vitelli che aveva eretto, e a Betel stabilì sacerdoti dei templi da lui eretti sulle alture.

Giovedì 22 agosto

Fin dalla creazione, Dio non vuole che i fratelli combattano tra loro, anche a costo di non vincere la battaglia politica del potere. Così è anche per i fratelli di Israele.

PAROLA (1Re 11, 41 – 12, 1-2. 20-25a)

Le altre gesta di Salomone, tutte le sue azioni e la sua sapienza, non sono forse descritte nel libro delle gesta di Salomone? Il tempo in cui Salomone aveva regnato a Gerusalemme su tutto Israele fu di quarant’anni. Salomone si addormentò con i suoi padri e fu sepolto nella Città di Davide, suo padre; al suo posto divenne re suo figlio Roboamo. Roboamo andò a Sichem, perché tutto Israele era convenuto a Sichem per proclamarlo re. Quando lo seppe, Geroboamo, figlio di Nebat, che era ancora in Egitto, dove era fuggito per paura del re Salomone, tornò dall’Egitto. Quando tutto Israele seppe che era tornato Geroboamo, lo mandò a chiamare perché partecipasse all’assemblea; lo proclamarono re di tutto Israele. Nessuno seguì la casa di Davide, se non la tribù di Giuda. Roboamo, giunto a Gerusalemme, convocò tutta la casa di Giuda e la tribù di Beniamino, centottantamila guerrieri scelti, per combattere contro la casa d’Israele e per restituire il regno a Roboamo, figlio di Salomone. La parola di Dio fu rivolta a Semaià, uomo di Dio: «Riferisci a Roboamo, figlio di Salomone, re di Giuda, a tutta la casa di Giuda e di Beniamino e al resto del popolo: Così dice il Signore: “Non salite a combattere contro i vostri fratelli israeliti; ognuno torni a casa, perché questo fatto è dipeso da me”». Ascoltarono la parola del Signore e tornarono indietro, come il Signore aveva ordinato. Geroboamo fortificò Sichem sulle montagne di Èfraim e vi pose la sua residenza.

Mercoledì 21 agosto

Anche la sapienza più alta non è esente dal perdersi e dal dimenticare Dio, che è la fonte della sapienza. Il cuore dell’uomo, anche del più giusto, è fallibile e può deviare. Chi devia consapevolmente, si allontana liberamente dalla grazia del Signore e il Signore attende la conversione, per ritornare.

PAROLA (1 Re 11, 1-13)

In quei giorni. Il re Salomone amò molte donne straniere, oltre la figlia del faraone: moabite, ammonite, edomite, sidònie e ittite, provenienti dai popoli di cui aveva detto il Signore agli Israeliti: «Non andate da loro ed essi non vengano da voi, perché certo faranno deviare i vostri cuori dietro i loro dèi». Salomone si legò a loro per amore. Aveva settecento principesse per mogli e trecento concubine; le sue donne gli fecero deviare il cuore. Quando Salomone fu vecchio, le sue donne gli fecero deviare il cuore per seguire altri dèi e il suo cuore non restò integro con il Signore, suo Dio, come il cuore di Davide, suo padre. Salomone seguì Astarte, dea di quelli di Sidone, e Milcom, obbrobrio degli Ammoniti. Salomone commise il male agli occhi del Signore e non seguì pienamente il Signore come Davide, suo padre. Salomone costruì un’altura per Camos, obbrobrio dei Moabiti, sul monte che è di fronte a Gerusalemme, e anche per Moloc, obbrobrio degli Ammoniti. Allo stesso modo fece per tutte le sue donne straniere, che offrivano incenso e sacrifici ai loro dèi. Il Signore, perciò, si sdegnò con Salomone, perché aveva deviato il suo cuore dal Signore, Dio d’Israele, che gli era apparso due volte e gli aveva comandato di non seguire altri dèi, ma Salomone non osservò quanto gli aveva comandato il Signore. Allora disse a Salomone: «Poiché ti sei comportato così e non hai osservato la mia alleanza né le leggi che ti avevo dato, ti strapperò via il regno e lo consegnerò a un tuo servo. Tuttavia non lo farò durante la tua vita, per amore di Davide, tuo padre; lo strapperò dalla mano di tuo figlio. Ma non gli strapperò tutto il regno; una tribù la darò a tuo figlio, per amore di Davide, mio servo, e per amore di Gerusalemme, che ho scelto».

Martedi 20 agosto

Il Tempio, che ospita la presenza del Signore, è come Lui: forte (il cedro), perfetto (quadrato), divino (ulivo), preziosissimo (oro), durevole (sette anni, il tempo perfetto). Dio abita il Tempio e chi lo abita per incontrare Dio stesso.

PAROLA (1Re 6, 1-3. 14-23. 30-38; 7, 15a. 21)

L’anno quattrocentottantesimo dopo l’uscita degli Israeliti dalla terra d’Egitto, l’anno quarto del regno di Salomone su Israele, nel mese di Ziv, cioè nel secondo mese, egli dette inizio alla costruzione del tempio del Signore. Il tempio costruito dal re Salomone per il Signore aveva sessanta cubiti di lunghezza, venti di larghezza, trenta cubiti di altezza. Davanti all’aula del tempio vi era il vestibolo: era lungo venti cubiti, nel senso della larghezza del tempio, e profondo dieci cubiti davanti al tempio. Salomone dette inizio alla costruzione del tempio e la portò a termine. Costruì i muri del tempio all’interno con tavole di cedro, dal pavimento del tempio fino ai muri di copertura; rivestì di legno la parte interna e inoltre rivestì con tavole di cipresso il pavimento del tempio. Costruì i venti cubiti in fondo al tempio con tavole di cedro, dal pavimento fino ai muri; all’interno costruì il sacrario, cioè il Santo dei Santi. L’aula del tempio di fronte ad esso era di quaranta cubiti. Il legno di cedro all’interno della sala era scolpito con coloquintidi e fiori in sboccio; tutto era di cedro e non si vedeva una pietra. Eresse il sacrario nel tempio, nella parte più interna, per collocarvi l’arca dell’alleanza del Signore. Il sacrario era lungo venti cubiti, largo venti cubiti e alto venti cubiti. Lo rivestì d’oro purissimo e vi eresse un altare di cedro. Salomone rivestì l’interno della sala con oro purissimo e fece passare catene dorate davanti al sacrario che aveva rivestito d’oro. E d’oro fu rivestita tutta la sala in ogni parte, e rivestì d’oro anche l’intero altare che era nel sacrario. Nel sacrario fece due cherubini di legno d’ulivo; la loro altezza era di dieci cubiti. Ricoprì d’oro il pavimento della sala, all’interno e all’esterno. Fece costruire la porta del sacrario con battenti di legno d’ulivo e profilo degli stipiti pentagonale. I due battenti erano di legno d’ulivo. Su di essi fece scolpire cherubini, palme e fiori in sboccio; li rivestì d’oro e stese lamine d’oro sui cherubini e sulle palme. Allo stesso modo fece costruire nella porta dell’aula stipiti di legno d’ulivo a quadrangolo. I due battenti erano di legno di cipresso; le due ante di un battente erano girevoli, come erano girevoli le imposte dell’altro battente. Vi fece scolpire cherubini, palme e fiori in sboccio, che rivestì d’oro aderente all’incisione. Costruì il muro del cortile interno con tre ordini di pietre squadrate e con un ordine di travi di cedro. Nell’anno quarto, nel mese di Ziv, si gettarono le fondamenta del tempio del Signore. Nell’anno undicesimo, nel mese di Bul, che è l’ottavo mese, fu terminato il tempio in tutte le sue parti e con tutto l’occorrente. Lo edificò in sette anni. Modellò due colonne di bronzo. Eresse le colonne per il vestibolo dell’aula. Eresse la colonna di destra, che chiamò Iachin, ed eresse la colonna di sinistra, che chiamò Boaz.

Da Avvenire del 18 agosto 2019

Il progressivo indebolimento della centralità e della forza del messaggio religioso e della solidità delle famiglie ha ulteriormente indebolito due fonti tradizionali di stimolo all’allenamento affettivo, sociale e spirituale. Ed è così che molti giovani di oggi, precocemente esposti alle sollecitazioni dei media tradizionali e dei social, aspirano quasi istintivamente a diventare degli 'influencer' piuttosto che degli 'eroi', cercano cioè la scorciatoia più comoda possibile che è quella di diventare ricchi e famosi con il minimo sforzo necessario.

La sfida chiave per una cultura umanamente sostenibile nel prossimo futuro sta nel dare nuove motivazioni (e nel rinnovare quelle antiche) allo sforzo dell’allenamento per una vita virtuosa nella dimensione privata così come in quella pubblica. Ci aiutano in questo le nuove evidenze sui fattori cherendono la vita soddisfacente e ricca di senso. E le bellissime intuizioni di un economista geniale e non abbastanza valorizzato come Tibor Scitovsky autore della 'Società senza gioia'. Scitovsky inventa la distinzione tra beni di comfort e beni di stimolo. I primi (tra i quali possiamo includere tutti i tipi di dipendenze) producono eccitazione ed euforia a breve, ma creano dipendenza e riducono le energie necessarie per raggiungere i beni di stimolo. Le vite di chi non riesce a uscire dalla trappola dei beni di comfort e ne diventa eccessivamente succube finiscono molto spesso in dei vicoli ciechi. I beni di stimolo invece sono quelli che producono appagamento e soddisfazione duratura, ma non sono raggiungibili se non dopo un congruo investimento. Imparare una lingua, sviluppare delle abilità sportive o professionali, sviluppare passioni e impegno civico e sociale, crescere nella vita spirituale sono beni duraturi che ci fanno compagnia nella vita dando senso e ricchezza alla stessa ma, per poter essere goduti e raggiunti, richiedono fatica, impegno, investimento e sforzo. Il fondatore dell’economia civile Antonio Genovesi e il sociologo Mauro Magatti ci ricordano infine che la generatività, ovvero la capacità dei propri percorsi di vita di incidere positivamente sulle vite altrui e di creare relazioni di qualità, è la chiave della soddisfazione e ricchezza di senso della vita.

Se vogliamo uscire dalla legge dell’entropia, che sembra oggi prevalere, l’unica via percorribile è trasmettere il fascino e il valore dei 'beni di stimolo', non solo a parole ma attraverso l’esempio di una vita virtuosa e generativa. Una responsabilità che grava in modo speciale su chi esercita ed eserciterà ruoli di leadership. È questo un metodo profondo ed essenziale per la rinascita umana, sociale, politica e economicadel nostro Paese.

Leonardo Becchetti

Lunedì 19 agosto

Salomone è sapiente, perché legge nelle viscere d’amore delle due donne e scopre chi è la madre vera del bambino. “Tu mi conosci fin nelle viscere” dice il salmo 138. A chi vuol essere sapiente, Dio mostra la via della sua conoscenza d’amore, che legge nel cuore e trova la verità.

PAROLA (1 Re 3, 16-28)

In quei giorni. Vennero dal re due prostitute e si presentarono innanzi a lui. Una delle due disse: «Perdona, mio signore! Io e questa donna abitiamo nella stessa casa; io ho partorito mentre lei era in casa. Tre giorni dopo il mio parto, anche questa donna ha partorito; noi stiamo insieme e non c’è nessun estraneo in casa fuori di noi due. Il figlio di questa donna è morto durante la notte, perché lei gli si era coricata sopra. Ella si è alzata nel cuore della notte, ha preso il mio figlio dal mio fianco, mentre la tua schiava dormiva, e se lo è messo in seno e sul mio seno ha messo il suo figlio morto. Al mattino mi sono alzata per allattare mio figlio, ma ecco, era morto. L’ho osservato bene al mattino; ecco, non era il figlio che avevo partorito io». L’altra donna disse: «Non è così! Mio figlio è quello vivo, il tuo è quello morto». E quella, al contrario, diceva: «Non è così! Quello morto è tuo figlio, il mio è quello vivo ». Discutevano così alla presenza del re. Il re disse: «Costei dice: “Mio figlio è quello vivo, il tuo è quello morto”, mentre quella dice: “Non è così! Tuo figlio è quello morto e il mio è quello vivo”». Allora il re ordinò: «Andate a prendermi una spada!». Portarono una spada davanti al re. Quindi il re aggiunse: «Tagliate in due il bambino vivo e datene una metà all’una e una metà all’altra». La donna il cui figlio era vivo si rivolse al re, poiché le sue viscere si erano commosse per il suo figlio, e disse: «Perdona, mio signore! Date a lei il bimbo vivo; non dovete farlo morire!». L’altra disse: «Non sia né mio né tuo; tagliate!». Presa la parola, il re disse: «Date alla prima il bimbo vivo; non dovete farlo morire. Quella è sua madre». Tutti gli Israeliti seppero della sentenza pronunciata dal re e provarono un profondo rispetto per il re, perché avevano constatato che la sapienza di Dio era in lui per rendere giustizia.

Domenica 18 agosto

Chi non si stanca di chiedere la Sapienza, invece di chiedere lunga vita, morte dei nemici, prestigio e potenza, riceve dal Signore il centuplo rispetto ai suoi desideri. Non solo la Provvidenza del Signore non fa mancare ciò che è necessario, ma il suo amore riempie testa e cuore per affrontare la vita in libertà e semplicità.

PAROLA (1 Re 3, 5-15)

In quei giorni. A Gàbaon il Signore apparve a Salomone in sogno durante la notte. Dio disse: «Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda». Salomone disse: «Tu hai trattato il tuo servo Davide, mio padre, con grande amore, perché egli aveva camminato davanti a te con fedeltà, con giustizia e con cuore retto verso di te. Tu gli hai conservato questo grande amore e gli hai dato un figlio che siede sul suo trono, come avviene oggi. Ora, Signore, mio Dio, tu hai fatto regnare il tuo servo al posto di Davide, mio padre. Ebbene io sono solo un ragazzo; non so come regolarmi. Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che hai scelto, popolo numeroso che per quantità non si può calcolare né contare. Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male; infatti chi può governare questo tuo popolo così numeroso?». Piacque agli occhi del Signore che Salomone avesse domandato questa cosa. Dio gli disse: «Poiché hai domandato questa cosa e non hai domandato per te molti giorni, né hai domandato per te ricchezza, né hai domandato la vita dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento nel giudicare, ecco, faccio secondo le tue parole. Ti concedo un cuore saggio e intelligente: uno come te non ci fu prima di te né sorgerà dopo di te. Ti concedo anche quanto non hai domandato, cioè ricchezza e gloria, come a nessun altro fra i re, per tutta la tua vita. Se poi camminerai nelle mie vie osservando le mie leggi e i miei comandi, come ha fatto Davide, tuo padre, prolungherò anche la tua vita». Salomone si svegliò; ecco, era stato un sogno. Andò a Gerusalemme; stette davanti all’arca dell’alleanza del Signore, offrì olocausti, compì sacrifici di comunione e diede un banchetto per tutti i suoi servi.

Sabato 17 agosto

Le visioni di Balaam parlano del futuro di Israele. Dio mostra a Balaam le sue intenzioni e lo elegge strumento della sua Parola. Attraverso di lui mostra al popolo il suo progetto di vita e di libertà.

PAROLA (Numeri 22,41-23,10)

In quei giorni. La mattina Balak prese Balaam e lo fece salire a Bamòt-Baal, e di là vide un’estremità del popolo accampato. Balaam disse a Balak: «Costruiscimi qui sette altari e preparami qui sette giovenchi e sette arieti». Balak fece come Balaam aveva detto; Balak e Balaam offrirono un giovenco e un ariete su ciascun altare. Balaam disse a Balak: «Fèrmati presso il tuo olocausto e io andrò. Forse il Signore mi verrà incontro; quel che mi mostrerà io te lo riferirò». Andò su di un’altura brulla. Dio andò incontro a Balaam e Balaam gli disse: «Ho preparato i sette altari e ho offerto un giovenco e un ariete su ciascun altare». Allora il Signore mise una parola in bocca a Balaam e gli disse: «Torna da Balak e parla così». Balaam tornò da Balak che stava presso il suo olocausto: egli e tutti i prìncipi di Moab. Allora Balaam pronunciò il suo poema e disse: «Da Aram mi fa venire Balak, il re di Moab dalle montagne d’oriente: “Vieni, maledici per me Giacobbe; vieni, minaccia Israele!”. Come maledirò quel che Dio non ha maledetto? Come minaccerò quel che il Signore non ha minacciato? Perché dalla vetta delle rupi io lo vedo e dalle alture lo contemplo: ecco un popolo che dimora in disparte e tra le nazioni non si annovera. Chi può contare la polvere di Giacobbe? O chi può calcolare un solo quarto d’Israele? Possa io morire della morte dei giusti e sia la mia fine come la loro».

Il Vangelo di oggi

La preghiera scaccia il male dalla storia di tutti e di ciascuno. Fa spazio alla presenza del Padre, che, mediante le Spirito, vede il nostro segreto è lo ama. Il più forte, Il Dio di Gesù, se lo vogliamo, scaccia il forte, il male, quando cerca di tentarci e di portarci lontano dall’amore del Signore.

Luca 11, 21-26

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, ciò che possiede è al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via le armi nelle quali confidava e ne spartisce il bottino. Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde. Quando lo spirito impuro esce dall’uomo, si aggira per luoghi deserti cercando sollievo e, non trovandone, dice: “Ritornerò nella mia casa, da cui sono uscito”. Venuto, la trova spazzata e adorna. Allora va, prende altri sette spiriti peggiori di lui, vi entrano e vi prendono dimora. E l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima».

Venerdì 16 agosto

Ogni cambio al potere, da sempre e in ogni contesto politico, nasconde sempre la possibilità che qualcuno sia epurato – in passato ucciso. Salomone, ci narra la Scrittura, fa la differenza, perché confida in Dio, che saprà suggerirgli dove sta la via della rettitudine.

PAROLA (1 Re 1, 41b-53)

In quei giorni. Ioab, udito il suono del corno, chiese: «Perché c’è clamore di città in tumulto?». Mentre parlava ecco giungere Giònata figlio del sacerdote Ebiatàr, al quale Adonia disse: «Vieni! Tu sei un valoroso e rechi certo buone notizie!». «No – rispose Giònata ad Adonia – il re Davide, nostro signore, ha fatto re Salomone e ha mandato con lui il sacerdote Sadoc, il profeta Natan e Benaià, figlio di Ioiadà, insieme con i Cretei e con i Peletei che l’hanno fatto montare sulla mula del re. Il sacerdote Sadoc e il profeta Natan l’hanno unto re a Ghicon; quindi sono risaliti esultanti e la città si è messa in agitazione. Questo è il clamore che avete udito. Anzi Salomone si è già seduto sul trono del regno e i servi del re sono andati a felicitarsi con il re Davide, nostro signore, dicendo: “Il tuo Dio renda il nome di Salomone più celebre del tuo nome e renda il suo trono più splendido del tuo trono!”. Il re si è prostrato sul letto. Poi il re ha detto anche questo: “Sia benedetto il Signore, Dio d’Israele, perché oggi ha concesso che uno sieda sul mio trono mentre i miei occhi lo vedono”». Allora tutti gli invitati di Adonia si spaventarono, si alzarono e se ne andarono ognuno per la sua strada. Adonia, che temeva Salomone, alzatosi, andò ad aggrapparsi ai corni dell’altare. Fu riferito a Salomone: «Sappi che Adonia, avendo paura del re Salomone, ha afferrato i corni dell’altare dicendo: “Mi giuri oggi il re Salomone che non farà morire di spada il suo servitore”». Salomone disse: «Se si comporterà da uomo leale, neppure un suo capello cadrà a terra; ma se in lui sarà trovato qualche male, morirà». Il re Salomone ordinò che lo facessero scendere dall’altare; quegli venne a prostrarsi davanti al re Salomone, poi Salomone gli disse: «Va’ a casa tua!».

Dio non ha usato il corpo di Maria

L’assunzione in cielo di Maria non è di per sé una verità necessaria, ma di certo dice una verità autentica che appartiene alla nostra fede. Questa verità è contenuta in germe nella pagina di vangelo di oggi, il canto di Maria.

Nel Magnificat Maria racconta la sua vicenda personale con colui che da subito confessa per ciò che è per tutto Israele “il Signore”, ma che poi immediatamente riconosce per ciò che è per lei “mio Salvatore”. Solo il Dio che è riconosciuto da ciascuno come “mio Salvatore” può essere confessato da tutti come “il Signore”. La storia di questa ragazza con il suo Salvatore è iniziata quando ha sentito che il Signore ha posto su di lei il suo sguardo e ha visto la sua piccolezza: “Mi ha guardata per quella che sono, quel poco che sono”. La sua piccolezza non è insignificanza ma marginalità, che è la condizione dei poveri del Signore nel mondo. Maria si è sentita guardata non usata, riconosciuta non utilizzata.

L’inizio e poi il seguito del Magnificat attesta come Maria iscrive la sua intima e personalissima storia con Dio nella storia di tutto il popolo d’Israele, rivelando così come questa giovane donna sia lucidamente consapevole del significato dei fatti che la coinvolgono. Eventi che lei “custodisce e mette insieme nel suo cuore” (Lc 2,19) e dunque avvenimento che lei non subisce passivamente ma che vive attivamente come donna di fede.

Celebrando oggi la glorificazione del corpo di Maria noi confessiamo che Dio non ha fatto del corpo di Maria uno strumento per realizzare il suo disegno. Non ha fatto di Maria e della sua umanità un semplice mezzo per raggiungere un fine. Dio non ha usato il corpo di Maria ma l’ha glorificato!

È una grande tentazione, questa, che il cristianesimo ha conosciuto fin dai primi secoli già nel confessare Gesù vero uomo. Ma ancora oggi, nella riscoperta dell’umanità di Gesù, si corre il rischio di considerarla come un semplice mezzo scelto da Dio per rivelarsi. Non c’è più alta forma di tradimento del cristianesimo che quella di comprendere l’umanità di Gesù come un mezzo.

L’umanità di Gesù è il modo di essere di Dio, non un espediente tra altri possibili e, tantomeno, un tramite temporaneo. Risorgendo da morte, Gesù non ha abbandonato il suo corpo nella tomba come si abbandona uno strumento non più necessario. La fede cristiana ci fa confessare che Gesù è un uomo risorto e asceso in cielo. Nel suo corpo glorificato, il Gesù del cielo non è meno umano del Gesù della terra. La sua umanità è per sempre in Dio, per dire che la sua umanità è per sempre Dio. Ecco la nostra fede: Dio si rivela come umano nella sua divinità.

Oggi confessiamo che Dio non ha usato il corpo di Maria perché venisse al mondo suo Figlio, come non ha usato il seme di Abramo, per generare il suo popolo. Perché Dio nella storia con l’umanità non si è mai servito di nessun uomo e nessuna donna come di un mezzo per realizzare un fine, fosse anche il fine più grande come la salvezza del mondo intero.

Risorto con Cristo, il corpo di Maria, come quello di ogni uomo e ogni donna, è destinato a vivere in Dio, perché la nostra umanità da sempre gli appartiene, sta in lui, è lui. Oggi confessiamo che nell’umanità di Dio c’è anche l’umanità di Maria, come un giorno ci sarà quella di ciascuno di noi e speriamo di tutti.

L’entrare di Maria in cielo nella gloria di Dio ci consenta di comprendere che divino non è più che umano.

Goffredo Boselli

Per oggi: 15 agosto

La Chiesa, tutte le volte che genera Gesù, è sottoposta a persecuzione, perché si mostra debole come il Crocifisso e vulnerabile di un amore che non schiaccia. Dio la protegge, la porta nel deserto, la ama e la rende forte del suo stesso amore, confermandola nel cammino. Maria nella gloria di Dio ne è il segno più vivo.

PAROLA (Ap 11, 19; 12, 1-6a. 10ab)

Nel giorno del Signore, si aprì il tempio di Dio che è nel cielo e apparve nel tempio l’arca della sua alleanza. Ne seguirono folgori, voci, scoppi di tuono, terremoto e una tempesta di grandine. Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna, che stava per partorire, in modo da divorare il bambino appena lo avesse partorito. Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e suo figlio fu rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, dove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni. Allora udii una voce potente nel cielo che diceva: «Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo».

Per oggi: 14 agosto

Il peccato di Davide è molto grave, perché calpesta il povero, preferito e protetto dal Signore, perché abusa del potere che Dio gli ha dato in dono e perché trasgredisce la legge di Dio, consegnata al re prima che al popolo. Il Signore ricorda a Davide che aderire al peccato, lasciandosi trascinare nella spirale della sua seduzione, è allontanarsi da Lui, è entrare nella morte, perché il peccato rifiuta la vita che viene direttamente da Dio. Peccare è perdere di vista la bellezza del dono della vita.

PAROLA (2Sam 11, 2-17. 26-27; 12, 13-14)

In quei giorni. Un tardo pomeriggio Davide, alzatosi dal letto, si mise a passeggiare sulla terrazza della reggia. Dalla terrazza vide una donna che faceva il bagno: la donna era molto bella d’aspetto. Davide mandò a informarsi sulla donna. Gli fu detto: «È Betsabea, figlia di Eliàm, moglie di Uria l’Ittita». Allora Davide mandò messaggeri a prenderla. Ella andò da lui ed egli giacque con lei, che si era appena purificata dalla sua impurità. Poi ella tornò a casa. La donna concepì e mandò ad annunciare a Davide: «Sono incinta». Allora Davide mandò a dire a Ioab: «Mandami Uria l’Ittita». Ioab mandò Uria da Davide. Arrivato Uria, Davide gli chiese come stessero Ioab e la truppa e come andasse la guerra. Poi Davide disse a Uria: «Scendi a casa tua e làvati i piedi». Uria uscì dalla reggia e gli fu mandata dietro una porzione delle vivande del re. Ma Uria dormì alla porta della reggia con tutti i servi del suo signore e non scese a casa sua. La cosa fu riferita a Davide: «Uria non è sceso a casa sua». Allora Davide disse a Uria: «Non vieni forse da un viaggio? Perché dunque non sei sceso a casa tua?». Uria rispose a Davide: «L’arca, Israele e Giuda abitano sotto le tende, Ioab mio signore e i servi del mio signore sono accampati in aperta campagna e io dovrei entrare in casa mia per mangiare e bere e per giacere con mia moglie? Per la tua vita, per la vita della tua persona, non farò mai cosa simile!». Davide disse a Uria: «Rimani qui anche oggi e domani ti lascerò partire». Così Uria rimase a Gerusalemme quel giorno e il seguente. Davide lo invitò a mangiare e a bere con sé e lo fece ubriacare; la sera Uria uscì per andarsene a dormire sul suo giaciglio con i servi del suo signore e non scese a casa sua. La mattina dopo Davide scrisse una lettera a Ioab e gliela mandò per mano di Uria. Nella lettera aveva scritto così: «Ponete Uria sul fronte della battaglia più dura; poi ritiratevi da lui perché resti colpito e muoia». Allora Ioab, che assediava la città, pose Uria nel luogo dove sapeva che c’erano uomini valorosi. Gli uomini della città fecero una sortita e attaccarono Ioab; caddero parecchi della truppa e dei servi di Davide e perì anche Uria l’Ittita. La moglie di Uria, saputo che Uria, suo marito, era morto, fece il lamento per il suo signore. Passati i giorni del lutto, Davide la mandò a prendere e l’aggregò alla sua casa. Ella diventò sua moglie e gli partorì un figlio. Ma ciò che Davide aveva fatto era male agli occhi del Signore. Allora Davide disse a Natan: «Ho peccato contro il Signore!». Natan rispose a Davide: «Il Signore ha rimosso il tuo peccato: tu non morirai. Tuttavia, poiché con quest’azione tu hai insultato il Signore, il figlio che ti è nato dovrà morire».

La Parola per i giorni prossimi

In allegato lo schema della preghiera quotidiana

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NUOVO FOGLIO DI COMUNITA'

In allegato il numero di Comunità della festa dell'Assunta

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Per oggi: 13 agosto

La celebrazione della grandezza di Dio è raccontata dalla Scrittura, come vissuta da Davide e da tutto Israele, con due sentimenti guida: l’attenzione a non inorgoglirsi per il successo che deriva dalla protezione di Dio e l’impegno a manifestare, con la pienezza della propria umanità, la gratitudine al Signore per la sua presenza. Superare l’orgoglio ed esplodere di gioia sono frutti dell’amore che Dio semina in noi da sempre.

PAROLA (2 Sam 6, 1-15)

In quei giorni. Davide reclutò di nuovo tutti gli uomini scelti d’Israele, in numero di trentamila. Poi si alzò e partì con tutta la sua gente da Baalà di Giuda, per far salire di là l’arca di Dio, sulla quale si proclama il nome del Signore degli eserciti, che siede sui cherubini. Posero l’arca di Dio sopra un carro nuovo e la tolsero dalla casa di Abinadàb che era sul colle; Uzzà e Achio, figli di Abinadàb, conducevano il carro nuovo. Mentre conducevano il carro con l’arca di Dio dalla casa di Abinadàb, che stava sul colle, Achio precedeva l’arca. Davide e tutta la casa d’Israele danzavano davanti al Signore con tutte le forze, con canti e con cetre, arpe, tamburelli, sistri e cimbali. Giunti all’aia di Nacon, Uzzà stese la mano verso l’arca di Dio e la sostenne, perché i buoi vacillavano. L’ira del Signore si accese contro Uzzà; Dio lo percosse per la sua negligenza ed egli morì sul posto, presso l’arca di Dio. Davide si rattristò per il fatto che il Signore aveva aperto una breccia contro Uzzà; quel luogo fu chiamato Peres-Uzzà fino ad oggi. Davide in quel giorno ebbe timore del Signore e disse: «Come potrà venire da me l’arca del Signore?». Davide non volle trasferire l’arca del Signore presso di sé nella Città di Davide, ma la fece dirottare in casa di Obed-Edom di Gat. L’arca del Signore rimase tre mesi nella casa di Obed-Edom di Gat e il Signore bene disse Obed-Edom e tutta la sua casa. Ma poi fu detto al re Davide: «Il Signore ha benedetto la casa di Obed-Edom e quanto gli appartiene, a causa dell’arca di Dio». Allora Davide andò e fece salire l’arca di Dio dalla casa di Obed-Edom alla Città di Davide, con gioia. Quando quelli che portavano l’arca del Signore ebbero fatto sei passi, egli immolò un giovenco e un ariete grasso. Davide danzava con tutte le forze davanti al Signore. Davide era cinto di un efod di lino. Così Davide e tutta la casa d’Israele facevano salire l’arca del Signore con grida e al suono del corno.

Per oggi: 12 agosto

I libri biblici che raccontano più nel dettaglio la storia di Israele (Samuele, Re, Cronache) legano il successo militare e politico dei re, e di Davide in particolare, alla rettitudine della condotta di vita e dell’osservanza dei comandamenti da parte loro. Davide, con un piccolo esercito, sconfigge truppe più numerose e più forti, perché Dio rimane con lui, premiando la sua vita giusta.

PAROLA (2 Sam 5, 1-12)

In quei giorni. Vennero tutte le tribù d’Israele da Davide a Ebron, e gli dissero: «Ecco noi siamo tue ossa e tua carne. Già prima, quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele. Il Signore ti ha detto: “Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d’Israele”». Vennero dunque tutti gli anziani d’Israele dal re a Ebron, il re Davide concluse con loro un’alleanza a Ebron davanti al Signore ed essi unsero Davide re d’Israele. Davide aveva trent’anni quando fu fatto re e regnò quarant’anni. A Ebron regnò su Giuda sette anni e sei mesi e a Gerusalemme regnò trentatré anni su tutto Israele e su Giuda. Il re e i suoi uomini andarono a Gerusalemme contro i Gebusei che abitavano in quella regione. Costoro dissero a Davide: «Tu qui non entrerai: i ciechi e gli zoppi ti respingeranno», per dire: «Davide non potrà entrare qui». Ma Davide espugnò la rocca di Sion, cioè la Città di Davide. Davide disse in quel giorno: «Chiunque vuol colpire i Gebusei, attacchi attraverso il canale gli zoppi e i ciechi, che odiano la vita di Davide». Per questo dicono: «Il cieco e lo zoppo non entreranno nella casa». Davide si stabilì nella rocca e la chiamò Città di Davide. Egli fece fortificazioni tutt’intorno, dal Millo verso l’interno. Davide andava sempre più crescendo in potenza e il Signore, Dio degli eserciti, era con lui. Chiram, re di Tiro, inviò messaggeri a Davide con legno di cedro, carpentieri e muratori, i quali costruirono una casa a Davide. Davide seppe allora che il Signore lo confermava re d’Israele ed esaltava il suo regno per amore d’Israele, suo popolo.