SETTIMANA DELLA TERZA DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DEL BATTISTA

Lo schema della preghiera della settimana

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FESTA PARROCCHIALE 2019

Il nuovo numero di Comunità Parrocchiale

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Le nostre relazioni interpersonali e il Vangelo

Lc 6,39-42

In quei giorni Gesù 39disse ai suoi discepoli una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? 40Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
41Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? 42Come puoi dire al tuo fratello: «Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio», mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello.

Le parole che oggi noi ascoltiamo non sono rivolte a un piccolo gruppo di scelti ma hanno un destinatario universale, tutti gli esseri umani (cf. Lc 6,17). A tutti è rivolta da Gesù la chiamata all’amore. Non un appello generico: Gesù non abusa di una parola oggi quasi vuota di un reale significato, ma si riferisce a un amore ben determinato, l’amore concreto del prossimo, esteso anche al nemico, sul modello dell’amore misericordioso del Padre verso tutti (cf. Lc 6,27-38). Chi sceglie di credere e vivere di questo amore deve però mettersi alla scuola di Gesù maestro, con umiltà: l’umiltà di imparare. È necessario che tutti accettiamo di ripulire il nostro sguardo, per poter divenire “ben preparati come maestri” (v. 40).

Gesù maestro insegna a tutti e lo fa anche attraverso parabole (cf. v. 39). Vuole mettere in guardia da una malattia che è di ogni epoca e che colpisce l’animo umano di tutti prima o poi: ipocrisia e facilità nel giudizio che sfocia subito in condanna. Con quella domanda retorica posta all’inizio obbliga ciascuno a mettere sotto il riflettore se stesso, a esaminarsi. Chi si auto-guarda, prima di guardare e sentenziare sugli altri? Chi sa dire di sé ciò che sostiene di discernere e di sapere dell’altro? Riconoscerci ciechi è l’unico punto di partenza per instaurare relazioni che hanno come terreno una comune situazione di debolezza che rende tutti uguali, nessuno migliore dell’altro, ma tutti bisognosi di imparare, di essere corretti.

È una questione di sguardo, che noi rivolgiamo a noi stessi e agli altri, e i due non sono scissi, separati. In questo lungo discorso, Gesù sta tracciando il profilo di colui che desidera veramente vivere secondo il suo vangelo. Ed è proprio la buona e nuova notizia del suo vangelo che può illuminare e cambiare il nostro sguardo. Mettendo prima di tutto noi stessi e la nostra vita sotto la luce del vangelo, Gesù ci invita a riconoscere le travi che sono in noi, nel nostro sguardo, così da poterle spostare, levigare e liberare lo sguardo. Così potremo riconoscere anche quelle degli altri, ma con uno sguardo illuminato dall’amore, dalla misericordia con cui noi stessi ci riconosciamo amati e perdonati nelle nostre cadute, nelle distanze che mettiamo tra noi e il vangelo. Prima di amare chiunque altro, amico o nemico, in modo “ipocrita” (v. 42), Gesù invita a togliere le maschere che indossiamo per nascondere le travi che occupano il nostro sguardo. Gesù ci chiama a unificarci: volto e cuore, relazioni e interiorità, pensiero e azione, tutto sotto la luce del vangelo.

Le nostre relazioni potranno così essere limpide, illuminate da una luce pulita, perché “la lucerna del corpo è l’occhio, se l’occhio è sano, anche il corpo è tutto nella luce” (cf. Lc 11,34). Solo con occhi così ripuliti possiamo posare il nostro sguardo sugli altri e creare relazioni che non rendono schiavi, immobilizzando l’altro in giudizi che esprimono condanna e pronunciano sentenze e valutazioni definitive. Relazioni che non imprigionano gli altri e noi stessi nel passato, nelle etichette, nei pregiudizi rendendo impossibile ogni movimento vitale di cambiamento. Gesù e il suo vangelo in questa pagina non ci lasciano scampo, non sono fraintendibili: per noi possono essere invito costante a essere davvero discepoli che tutto e continuamente devono imparare, alla scuola dell’amore.

Sabato 14 settembre

Gesù ha fatto la volontà del Padre, quando ha vissuto come un dono il poter testimoniare in modo trasparente che Dio è Padre. Il suo essere Dio non era qualcosa di “rubato” (in greco “strappato di mano”), un privilegio per cui essere orgogliosamente superiore agli altri uomini, ma una missione da condividere, donando tutto per la felicità e la gioia di tutti.

PAROLA (Filippesi 2, 6-11)

Fratelli, Gesù Cristo, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre.

Venerdì 13 settembre

Dio ci ha amati per primo, di sua libera iniziativa, in modo pieno e visibile, quando si è svelato in modo comprensibile e completo nella vicenda umana di Gesù. I suoi sentimenti, le sue scelte, le sue Parole, sono faro che illumina la chiamata all’amore reciproco nel suo nome. I credenti, quando si amano a vicenda seguendo l’esempio del Figlio di Dio, Gesù, vivono il loro ringraziamento più alto all’amore gratuito di Dio Padre.

PAROLA (1 Gv 4, 7-14)

Figlioli miei, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi. In questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha donato il suo Spirito. E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo.

Giovedì 12 settembre

Riconoscere che Gesù è venuto nella carne è sicuramente credere con la mente al mistero dell’Incarnazione, ma è soprattutto riconoscere la Parola e l’Amore di Gesù, presenti e operanti nelle occasioni che ci offre l’incontro con gli altri, con la loro carne debole e fragile.

PAROLA (1 Gv 4, 1-6)

Figlioli miei, non prestate fede ad ogni spirito, ma mettete alla prova gli spiriti, per saggiare se provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono venuti nel mondo. In questo potete riconoscere lo Spirito di Dio: ogni spirito che riconosce Gesù Cristo venuto nella carne, è da Dio; ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio. Questo è lo spirito dell’anticristo che, come avete udito, viene, anzi è già nel mondo. Voi siete da Dio, figlioli, e avete vinto costoro, perché colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo. Essi sono del mondo, perciò insegnano cose del mondo e il mondo li ascolta. Noi siamo da Dio: chi conosce Dio ascolta noi; chi non è da Dio non ci ascolta. Da questo noi distinguiamo lo spirito della verità e lo spirito dell’errore.

Mercoledì 11 settembre

I fatti che raccontano l’amore passano da scelte gratuite che “ci perdono”, preferiscono il bene degli altri al proprio. Si ama concretamente e con autenticità, non per falsa umiltà o per voglia di protagonismo, quando si è sempre pronti a donarsi, per quanto ci è umanamente possibile.

PAROLA (1 Gv 3, 17-24)

Figlioli miei, se uno ha ricchezze di questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l’amore di Dio? Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità. In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa. Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.

PER PREGARE

Alleghiamo lo schema di preghiera per la settimana.

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NUOVO FOGLIO DI COMUNITA'

Alleghiamo il foglio della settimana

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Martedì 10 settembre

Praticare la giustizia, nel linguaggio di Giovanni, è promuovere la vita dei fratelli, senza cedere all’odio che nasce dal pensarsi sempre in competizione, per prevalere ed essere qualcuno. Chi ama è felice di non essere solo al mondo, perché è certo che Dio custodisce tutti nei gesti d’amore di chi è vicino.

PAROLA (1 Gv 3, 10-16)

Figlioli miei, in questo si distinguono i figli di Dio dai figli del diavolo: chi non pratica la giustizia non è da Dio, e neppure lo è chi non ama il suo fratello. Poiché questo è il messaggio che avete udito da principio: che ci amiamo gli uni gli altri. Non come Caino, che era dal Maligno e uccise suo fratello. E per quale motivo l’uccise? Perché le sue opere erano malvagie, mentre quelle di suo fratello erano giuste. Non meravigliatevi, fratelli, se il mondo vi odia. Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida ha più la vita eterna che dimora in lui. In questo abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli.

Lunedì 9 settembre

Il mondo, quando è malato di autosufficienza, dimentica il suo Creatore, non lo riconosce più e snobba i discepoli di Gesù, perché non riconosce in essi l’opera di Dio. Ogni uomo, però, dice Giovanni, porta in sé la chiamata ad essere simili a Gesù, il racconto del volto di Dio.

PAROLA (1 Giovanni 3, 1-9)

Figlioli miei, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro. Chiunque commette il peccato, commette anche l’iniquità, perché il peccato è l’iniquità. Voi sapete che egli si manifestò per togliere i peccati e che in lui non vi è peccato. Chiunque rimane in lui non pecca; chiunque pecca non l’ha visto né l’ha conosciuto. Figlioli, nessuno v’inganni. Chi pratica la giustizia è giusto come egli è giusto. Chi commette il peccato viene dal diavolo, perché da principio il diavolo è peccatore. Per questo si manifestò il Figlio di Dio: per distruggere le opere del diavolo. Chiunque è stato generato da Dio non commette peccato, perché un germe divino rimane in lui, e non può peccare perché è stato generato da Dio.

Domenica 8 settembre

Pentirsi e riconoscere le proprie pigrizie è il passo decisivo per convertirsi. Passare dal no al sì alla volontà di Dio inizia con il guardare allo specchio le proprie debolezze e domandare a Dio la forza di cambiare.

PAROLA (MT 21, 28-32)

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».

Sabato 7 settembre

Gesù dalla Croce ha riportato gli uomini all’unità. Amando sino a soffrire e a dare la vita, ha rivelato loro che possiamo superare le divisioni, quando decidiamo di amarci così. Dalla Croce, creduta e vissuta, nasce e rinasce l’unità di ogni comunità cristiana, piccola o grande.

PAROLA (Filippesi 2, 12-18)

12Fratelli, ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo. 13Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo.14Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne.15Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace,16e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia.17Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini.18Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito.

Venerdì 6 settembre

Gli anticristi di cui parla Giovanni sono alcuni membri fuoriusciti dalla comunità, perché pensavano che l’umanità di Gesù fosse apparente. Hanno deciso di non ascoltare lo Spirito, che incide nella nostra umanità la vera umanità di Gesù e ci dà la possibilità di viverla pienamente.

PAROLA (1 Gv 2, 18-29)

18Figlioli, è giunta l’ultima ora. Come avete sentito dire che l’anticristo deve venire, di fatto molti anticristi sono già venuti. Da questo conosciamo che è l’ultima ora. 19Sono usciti da noi, ma non erano dei nostri; se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; sono usciti perché fosse manifesto che non tutti sono dei nostri. 20Ora voi avete ricevuto l’unzione dal Santo, e tutti avete la conoscenza. 21Non vi ho scritto perché non conoscete la verità, ma perché la conoscete e perché nessuna menzogna viene dalla verità. 22Chi è il bugiardo se non colui che nega che Gesù è il Cristo? L’anticristo è colui che nega il Padre e il Figlio. 23Chiunque nega il Figlio, non possiede nemmeno il Padre; chi professa la sua fede nel Figlio possiede anche il Padre.24Quanto a voi, quello che avete udito da principio rimanga in voi. Se rimane in voi quello che avete udito da principio, anche voi rimarrete nel Figlio e nel Padre. 25E questa è la promessa che egli ci ha fatto: la vita eterna.26Questo vi ho scritto riguardo a coloro che cercano di ingannarvi. 27E quanto a voi, l’unzione che avete ricevuto da lui rimane in voi e non avete bisogno che qualcuno vi istruisca. Ma, come la sua unzione vi insegna ogni cosa ed è veritiera e non mentisce, così voi rimanete in lui come essa vi ha istruito.28E ora, figlioli, rimanete in lui, perché possiamo avere fiducia quando egli si manifesterà e non veniamo da lui svergognati alla sua venuta. 29Se sapete che egli è giusto, sappiate anche che chiunque opera la giustizia, è stato generato da lui.

Giovedì 5 settembre

Essere forti come i giovani, saggi della conoscenza dei padri, liberi come i figli che riconoscono in pienezza l’amore di Dio per loro, è distinguersi dal mondo quando siamo sottoposti alle tentazioni del potere, del denaro e del piacere della carne.

PAROLA (1 Gv 2, 12-17)

12Scrivo a voi, figlioli, perché vi sono stati perdonati i peccati in virtù del suo nome.13Scrivo a voi, padri, perché avete conosciuto colui che è da principio. Scrivo a voi, giovani, perché avete vinto il Maligno.14Ho scritto a voi, figlioli, perché avete conosciuto il Padre. Ho scritto a voi, padri, perché avete conosciuto colui che è da principio. Ho scritto a voi, giovani, perché siete forti e la parola di Dio rimane in voi e avete vinto il Maligno.15Non amate il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui; 16perché tutto quello che è nel mondo – la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita – non viene dal Padre, ma viene dal mondo. 17E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno!

Mercoledì 4 settembre

Il nostro comportamento è lo specchio della qualità della nostra conoscenza di Gesù. Conoscerlo è sentirlo e lasciarlo vivere dentro noi, attraverso l’aiuto prezioso dello Spirito.

PAROLA (1 Gv 2, 3-11)

3Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. 4Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità. 5Chi invece osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto. Da questo conosciamo di essere in lui. 6Chi dice di rimanere in lui, deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato.7Carissimi, non vi scrivo un nuovo comandamento, ma un comandamento antico, che avete ricevuto da principio. Il comandamento antico è la Parola che avete udito. 8Eppure vi scrivo un comandamento nuovo, e ciò è vero in lui e in voi, perché le tenebre stanno diradandosi e già appare la luce vera. 9Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre. 10Chi ama suo fratello, rimane nella luce e non vi è in lui occasione di inciampo. 11Ma chi odia suo fratello, è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi.

Martedì 3 settembre

La luce di Dio si vede nella nostra vita da quali sentieri decidiamo di percorrere: se quelli di Gesù, che la vita l’ha donata, o quelli di altri, che la tengono per sé.

PAROLA (1 Gv 1, 5-2, 2)

5Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che noi vi annunciamo: Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna. 6Se diciamo di essere in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità. 7Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato.8Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. 9Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. 10Se diciamo di non avere peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi.21Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. 2È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo.

Lunedì 2 settembre

Il Vangelo passa dal racconto della vita: da quello che Gesù ci dona mentre vediamo, ascoltiamo, tocchiamo, contempliamo la vita, in Comunione con i fratelli.

PAROLA (1 Giovanni 1, 1-4)

1Carissimi, quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – 2la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi –, 3quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. 4Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena.

Domenica 31 agosto

Per ricordare l’amore che Dio ha per noi, occorre ricordare che ha amato noi e ogni uomo quando eravamo peccatori, non quando eravamo giusti. Il vertice dell’amore divino e umano passa dalla gratuità e dalla misericordia, dall’assenza di ogni calcolo e dal dono totale di sé. Il massimo visibile dell’amore nel minimo invisibile del cuore che si fa prossimo alla povertà dell’altro.

PAROLA (Rm 5, 1-11)

Fratelli, giustificati per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio. E non solo: ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione.

Sabato 31 agosto

Il seme muore per rinascere, così fa chi nel nome di Gesù serve gratuitamente, mette se stesso in ciò che fa, perdona per non perdere un fratello e tace aspettando il momento giusto per parlare con amore.

PAROLA (Gv 12, 24-26)

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà».

Venerdì 30 agosto

Gli amici di Gesù, ieri e oggi, sanno chiamarsi per nome: sanno qual è il nome che Dio ha scritto nel loro cuore. È così che diventano fratelli ed è così che camminano insieme. Giovanni chiama Gesù “Agnello di Dio”, pensando alla sua natura di Figlio, che racconta l’amore di Dio Padre con la vita. Gesù chiama Simone “Pietro”, tracciando il suo cammino di comunione singolare con Lui, prima e dopo la sua Morte.

PAROLA (Giovanni 1, 35-42)

In quel tempo. Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo sul Signore Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.

Martirio di S. Giovanni Battista

Mc 6,17-29

In quel tempo 17Erode, aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l'aveva sposata. 18Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». 19Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, 20perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell'ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
21Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell'esercito e i notabili della Galilea. 22Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». 23E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». 24Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». 25E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». 26Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto. 27E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione 28e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. 29I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.



Oggi celebriamo il martirio di Giovanni il Battista, il precursore venuto a preparare la via al Messia (cf. Mc 1,2) e a precederlo fino alla morte e alla sepoltura; “lo posero in un sepolcro” come si dirà per Gesù (cf. Mc 6,29; 15,46).

All’inizio del vangelo incontriamo Giovanni che irrompe con la sua voce potente realizzando le profezie di Malachia (cf. Ml 3,1) e Isaia (cf. Is 40,3). La sua descrizione è molto vivida, un uomo vestito di peli di cammello che si nutre di locuste e miele selvatico, uomo del deserto, profeta che fino all’ultimo compie la propria vocazione denunciando l’ingiustizia e il male, e chiamando a conversione i peccatori, senza tacere di fronte al potere.

Dopo essere stati scossi dalla sua predicazione, incontriamo di nuovo la figura di Giovanni nel racconto paradossale del suo martirio, che ha colpito molto l’immaginario degli artisti. Il narratore ci informa del motivo del suo arresto: Giovanni è un oggetto, un corpo consegnato a chi lo arresta, all’odio di Erodiade, al pusillanime timore reverenziale di Erode e finalmente al capriccio di una ragazza e di sua madre e alla inettitudine di un re che a tal punto disprezza il suo regno da cederlo come premio di una danza; da ultimo il suo corpo è oggetto della sepoltura da parte dei discepoli. Che senso può avere una morte così? Colui che ancora nel grembo materno aveva danzato di gioia nell’incontro tra le due madri, ora per un’altra danza precede il Messia nel martirio.

Parlando di Giovanni, il più grande tra i nati da donna (cf. Mt 11,11), Gesù sottolinea la contrapposizione tra colui che rimane fedele alla verità che deve annunciare e quanti si piegano al potere di turno, vestono abiti di lusso e vivono nei palazzi dei re. Giovanni, venuto con la potenza di Elia per preparare la via al Signore come Elia perseguitato, non si difende dalla violenza, ma muore come agnello condotto al macello perché il suo sguardo era già rivolto a Gesù. Anche nella morte Giovanni prepara la via al Signore perché l’amico dello sposo gioisce alla voce dello sposo e ormai la sua gioia è piena ed è pronto a diminuire perché il Signore cresca (cf. Gv 3,29-30).

Giovanni è il primo dei monaci perché tutta la sua vita si fa attesa, sguardo fisso su Gesù, gioia alla voce dello sposo, martirio di fronte alla violenza insensata senza pretesa di difendere se stesso o la propria missione. E questo anche nel dubbio che lo attraversa (sei tu quello che deve venire?), perché egli sa che sarà il Signore con la sua morte e Resurrezione a spezzare per sempre ogni violenza.

Dirà Gesù: “Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono” (Mt 11,12). Di fronte a questa violenza che ferisce le comunità, i paesi, la società e soprattutto quei luoghi ove i cristiani sono ancora oggetto di persecuzione, noi uomini e donne discepoli di Gesù Cristo, noi monaci sul cammino tracciato da Giovanni non possiamo che volgere lo sguardo al Signore restando vigilanti, senza cessare di denunciare il male e l’ingiustizia, appassionati amanti di Dio e di ogni uomo o donna che incontriamo, pronti a seguire l’agnello ovunque vada senza voler difendere noi stessi sapendo che nella croce di Cristo tutto si compie.

Ricordo allora le parole di un altro monaco e martire, fr. Christian di Tibhirine: “Nelle nostre relazioni quotidiane prendiamo apertamente le parti dell’amore, del perdono, della comunione, contro l’odio, la vendetta, la violenza che ai nostri giorni colpiscono tutti. Entriamo così nell’atteggiamento del Dio di tenerezza e di misericordia che è con ogni uomo che soffre”.

fratel Nimal di Bose

Giovedì 29 agosto

A chi si impegna per vivere da sentinella sulla sua vita, il Signore offre la possibilità di essere per gli altri stimolo a camminare nelle sue vie. È un compito scomodo per chi lo riceve, ma dona luce nuova a chi parla e a chi ascolta.

PAROLA (Isaia 48, 22-49, 6)

In quei giorni, Isaia disse: «Non c’è pace per i malvagi. Ascoltatemi, o isole, udite attentamente, nazioni lontane; il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome. Ha reso la mia bocca come spada affilata, mi ha nascosto all’ombra della sua mano, mi ha reso freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra. Mi ha detto: “Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria”. Io ho risposto: “Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze. Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore, la mia ricompensa presso il mio Dio”. Ora ha parlato il Signore, che mi ha plasmato suo servo dal seno materno per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele – poiché ero stato onorato dal Signore e Dio era stato la mia forza – e ha detto: “È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra”».

Dalle Confessioni di S. Agostino

Dalle «Confessioni» di sant’Agostino, vescovo

(L. 7, 10, 18; 10, 27: CSEL 33, 157-163. 255)

Eterna verità, vera carità e cara eternità!

Stimolato a rientrare in me stesso, sotto la tua guida, entrai nell'intimità del mio cuore, e lo potei fare perché tu ti sei fatto mio aiuto (cfr. Sal 29, 11). Entrai e vidi con l'occhio dell'anima mia, qualunque esso potesse essere, una luce inalterabile sopra il mio stesso sguardo interiore e sopra la mia intelligenza. Non era una luce terrena e visibile che splende dinanzi allo sguardo di ogni uomo. Direi anzi ancora poco se dicessi che era solo una luce più forte di quella comune, o anche tanto intensa da penetrare ogni cosa. Era un'altra luce, assai diversa da tutte le luci del mondo creato. Non stava al di sopra della mia intelligenza quasi come l'olio che galleggia sull'acqua, né come il cielo che si stende sopra la terra, ma una luce superiore. Era la luce che mi ha creato. E se mi trovavo sotto di essa, era perché ero stato creato da essa. Chi conosce la verità conosce questa luce.
O eterna verità e vera carità e cara eternità! Tu sei il mio Dio, a te sospiro giorno e notte. Appena ti conobbi mi hai sollevato in alto perché vedessi quanto era da vedere e ciò che da solo non sarei mai stato in grado di vedere. Hai abbagliato la debolezza della mia vista, splendendo potentemente dentro di me. Tremai di amore e di terrore. Mi ritrovai lontano come in una terra straniera, dove mi pareva di udire la tua voce dall'alto che diceva: «Io sono il cibo dei forti, cresci e mi avrai. Tu non trasformerai me in te, come il cibo del corpo, ma sarai tu ad essere trasformato in me».
Cercavo il modo di procurarmi la forza sufficiente per godere di te, e non la trovavo, finché non ebbi abbracciato il «mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù» (1 Tm 2, 5), «che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli» (Rm 9, 5). Egli mi chiamò e disse: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6); e unì quel cibo, che io non ero capace di prendere, al mio essere, poiché «il Verbo si fece carne» (Gv 1, 14). Così la tua Sapienza, per mezzo della quale hai creato ogni cosa, si rendeva alimento della nostra debolezza da bambini.
Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo. E io, brutto, mi avventavo sulle cose belle da te create. Eri con me ed io non ero con te. Mi tenevano lontano da te quelle creature, che, se non fossero in te, neppure esisterebbero. Mi hai chiamato, hai gridato, hai infranto la mia sordità. Mi hai abbagliato, mi hai folgorato, e hai finalmente guarito la mia cecità. Hai alitato su di me il tuo profumo ed io l'ho respirato, e ora anelo a te. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio di conseguire la tua pace.

S. Agostino: servirlo senza essere servi

Gv 15,9-17

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «9Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.12Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. 13Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. 14Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. 15Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi. 16Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.

“Ci hai fatti per te, o Dio, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”, pregava sant’Agostino (LeConfessioni, I,1,1) di cui oggi la chiesa celebra la memoria. E questa preghiera del vescovo di Ippona fa eco al brano evangelico che è stato scelto per ricordare liturgicamente la sua figura: nel testo – tratto dai discorsi di addio di Gesù nel quarto vangelo – il Signore “comanda” infatti ai discepoli di “rimanere nell’amore” (cf. vv. 9-10). Ora, dimorare nell’amore significa nient’altro che dimorare in Cristo, riposare in Dio.

Infatti, come Cristo è stato amato dal Padre ed è dimorato nel suo amore, così i cristiani sono chiamati a essere custoditi dall’amore di Cristo, per poter riposare in lui e amare a loro volta. Perché il riposo al quale aspira Agostino, e che Cristo offre a chi affida a lui il proprio cuore, non è mai passività, bensì radicamento nell’amore ricevuto per poterlo estendere ad altri. Il dono dell’amore elargito da Cristo, che dà sicurezza e stabilità alle nostre vite, implica anche una responsabilità: si tratta di testimoniare attraverso il nostro amore che la nostra vita è fondata in Cristo.

Tale amore che siamo chiamati a vivere, anzi di cui bisogna “osservare il comandamento” (cf. v. 10), non è un valore etico generale: si tratta dell’amore stesso dimostrato da Cristo a ogni essere umano durante la sua vita terrena e manifestato in modo definitivo nella passione e nella morte di Croce. Quest’amore di Cristo – e nient’altro – dà forma alla responsabilità affidata ai credenti, al comandamento che occorre loro osservare.

Nel suo grande commento al vangelo secondo Giovanni, Agostino si chiede proprio a proposito di questo brano: “Come potremmo noi amare, se prima non fossimo amati?” (Commento al vangelo secondo Giovanni 82,2). L’amore gratuito con il quale il Padre ama il Figlio e che il Figlio a sua volta dimostra ai discepoli chiama anche noi all’amore. Anzi ci spinge a dimorare nell’amore verso i fratelli e le sorelle per attestare il nostro radicamento in Cristo. Prosegue Agostino: “Non siamo dunque noi che prima osserviamo i comandamenti di modo che Cristo venga ad amarci, ma il contrario: se egli non ci amasse, noi non potremmo osservare i suoi comandamenti” (ibid. 82,3).

Osservando il comandamento di Cristo, rimanendo fedele al suo amore, il credente non attende una retribuzione, non cerca una ricompensa che sarebbe conseguenza di una sua buona opera; entra invece nella “gioia piena” (v. 11) che il Signore condivide con lui. Questo il riposo in Cristo che il cuore inquieto dei discepoli desidera.

La vita nell’amore conduce allora chi crede a un cambiamento di statuto: da servo il credente diventa amico (cf v. 15). Colui che ama è liberato dal giogo della servitù e perviene alla libertà. Ed è nella libertà di quest’amicizia, scrive ancora Agostino, che “potremo in modo mirabile e ineffabile e tuttavia vero, servirlo senza essere servi” (Commento al vangelo secondo Giovanni 85,3).

Esattamente quella libertà diventa allora per il credente lo spazio in cui progredire nell’amore, il quale – non ancora saziato – riaccende continuamente il nostro desiderio di riposare nel Signore. Perché solo in lui l’amore giungerà alla sua pienezza.

fratel Matthias di Bose