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PARROCCHIA MADONNA DI POMPEI

Cristiani in Medio Oriente Quale futuro?

Le Comunità Parrocchiali e Religiose dell'Arcidiocesi sono invitate a partecipare all'incontro di preghiera per la pace, promosso dalla Comunità di Sant'Egidio, che si svolgerà a Bari nella Basilica di San Nicola, mercoledì 29 aprile alle ore 19.00.

La difficile e drammatica situazione dei cristiani in medio oriente, troppo a lungo dimenticata dall’opinione pubblica occidentale, interpella tutte le chiese cristiane ad una rinnovata ed urgente responsabilità.

Grande preoccupazione destano infatti le condizioni di vita dei cristiani, che in molte parti del Medio Oriente continuano a subire in maniera pesante e spesso drammatica le conseguenze delle tensioni e dei conflitti in atto. Si tratta di uomini, donne, anziani e bambini il più delle volte relegati ai margini, costretti a emigrare, a lasciare il Paese dove sono nati e dove avrebbero tutti i diritti di continuare a vivere. Sono minoranze spesso inascoltate e discriminate, oggetto di violenze e di vere forme di persecuzione.

Se fino al 1948 i cristiani, di diverse confessioni, rappresentavano circa il 20% della popolazione mediorientale, oggi sono appena il 6%, e questo dato è destinato a diminuire ancora.

Lo stesso Papa Francesco ha in più occasione affermato che la sopravvivenza dei cristiani d’oriente non è unicamente una questione di libertà religiosa: è messa a rischio l'esistenza stessa di una civiltà e dei suoi valori. Per questo la sorte dei cristiani dell’area non può riguardare soltanto i credenti di quelle terre. Tutti siamo chiamati in causa: cristiani, credenti e non, uomini della politica e della cultura. Nessuno può ormai chiudere gli occhi o girare la testa dall’altra parte e non vedere quello che succede a poca distanza da noi.

La stessa Dichiarazione Congiunta di Papa Francesco e del Patriarca Bartolomeo, nel novembre 2014, ha un punto forte: la comune preoccupazione per la situazione in Iraq, in Siria e in tutto il Medio Oriente. Un appello “a tutti coloro che hanno la responsabilità del destino dei popoli affinché intensifichino il loro impegno per le comunità che soffrono e consentano loro, comprese quelle cristiane, di rimanere nella loro terra natia. Non possiamo rassegnarci a un Medio Oriente senza i cristiani, che lì hanno professato il nome di Gesù per duemila anni.”

Il testo firmato da entrambi parla di “ecumenismo della sofferenza” e rivolge a tutti un appello: “la terribile situazione dei cristiani e di tutti coloro che soffrono in Medio Oriente richiede non solo una costante preghiera, ma anche una risposta appropriata da parte della comunità internazionale.”

In questo quadro la Comunità di Sant’Egidio - da molti anni legata ai cristiani di quelle terre – intende promuovere, su iniziativa di Andrea Riccardi, suo fondatore, una Conferenza Internazionale sul futuro dei cristiani in Medio Oriente.

Infatti la situazione in Medio Oriente è sempre più critica e la continua fuga dei cristiani da quelle terre significa la perdita di un pezzo di pluralismo e di democrazia in tutta l’area.

“Dopo i cristiani – ha affermato Andrea Riccardi - sarebbero discriminati gli stessi musulmani e le altre componenti di un panorama irripetibile che costituisce un bene per tutta l’umanità. Morirebbe del tutto l’antica Mesopotamia; sarebbe un etnocidio, cioè un genocidio culturale, oltre che un massacro”.

Il convegno, che avrà per titolo “Christians in the Middle East: What Future?”, si svolgerà a Bari, il 29 e 30 aprile del 2015.

Saranno presenti i patriarchi e i capi delle Chiese cattoliche, ortodosse e orientali, delle comunità cristiane di tutto il Medio Oriente, insieme a rappresentanti della politica internazionale e dei governi che vorranno aderire.

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Convivenze, divorziati, omosessuali: al Sinodo la cifra dell’accoglienza

Un questionario destinato a rovesciare non pochi luoghi comuni sulle convinzioni e sulle richieste delle famiglie, a scombinare non poche certezze costruite in parte sul «sentito dire» e in parte sull’«abbiamo sempre fatto così».

Invece le famiglie italiane sono cambiate, perché è profondamente cambiata la società. Ed è urgente prenderne atto. Così, gli esperti Cei che nelle ultime settimane hanno avuto l’opportunità di leggere migliaia e migliaia di risposte al questionario diffuso dalla Segreteria generale del Sinodo in vista dell’assemblea ordinaria del prossimo ottobre, si sono trovate di fronte non solo a riflessioni autentiche, palpitanti di vita, di difficoltà e di sofferenza, ma anche a spunti che sembrano auspicare un nuovo modello di comunità. In cui la famiglia, come auspicato dal dibattito sinodale, diventi davvero soggetto di pastorale. Si tratterà ora di cogliere il meglio da queste espressioni di massiccia democrazia partecipativa che non ha evidentemente i connotati di un lavoro statistico scientifico, ma che odora di Chiesa semplice ma autentica. Ecco i temi sottolineati con maggior insistenza nelle risposte, secondo la sintesi che ci anticipa don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio
Cei per la pastorale familiare.

La fatica della coerenza
La famiglia perfetta, quella che non ha mai incertezze, né lacerazioni, né dubbi sembra definitivamente consegnata all’agiografia del tempo che fu. Anche i nuclei familiari impegnati nelle comunità cristiane non nascondono più le difficoltà di coniugare verità e misericordia, anche nei confronti di se stessi. Accogliere le fragilità vuol dire innanzi tutto ammettere ed accettare le proprie, a partire dalla coerenza coniugale messa alla prova da quella cultura del relativismo che impregna tutta la società.

Famiglie solidali
Anche questa è una sottolineatura che si ritrova in migliaia di risposte. La famiglia deve tornare al centro di una rete di rapporti che, sia nella pastorale, sia negli altri ambiti sociali, possa contribuire a migliorare la vita di tutti. Tante risposte, per limitarci al ruolo della pastorale, citano l’impegno di famiglie tutor in grado di accompagnare in modo competente e responsabile sia i cammini di catechesi dei ragazzi, sia i fidanzati, sia le giovani coppie. La paura del 'per sempre' nasce in realtà da una sensazione di solitudine che fa apparire il traguardo di un amore senza tempo – al di là del tempo – quasi irraggiungibile. Invece, il sentirsi parte di una rete solidale, contribuisce a distribuire il peso delle responsabilità e aiuta tutti a vivere meglio. Numerose risposte citano il forte dato simbolico rappresentato dalla celebrazione degli anniversari di matrimonio, come testimonianza di una fedeltà che resiste all’usura del tempo.

Divorziati risposati
Tantissime le proposte avanzate per coniugare indicazioni dottrinali e accoglienza autentica: dall’esempio ortodosso rivisto e attualizzato alla necessità di rendere più semplici le procedure di riconoscimento della nullità. Nelle numerose comunità in cui sono stati attivati percorsi di accompagnamento ai separati e ai divorziati, il problema viene avvertito in modo meno dirompente, come se l’accoglienza fosse un dato ormai acquisito. Una specificità pastorale italiana determinata dall’attenzione ormai assodata sia a livello di riflessione teorica, sia di prassi pastorale ordinaria.

Contraccezione
La regolazione delle nascite, forse anche alla luce della drammatica denalità italiana, non appare dalle risposte pervenute un tema che divide. Non è arrivata neppure quella 'bocciatura' dell’Humanae vitae che qualche media aveva inopportunamente pronosticato. Anzi, in tante risposte viene sottolineata la portata profetica dell’enciclica, che troppo spesso è stata ridotta a una sintesi di divieti e di proibizioni. E si suggerisce di ripartire proprio da qui per rilanciare la bellezza dell’apertura alla vita che vuol dire volontà di amare in modo non moralistico e non sessuofobo. In troppe occasioni, si ribadisce, la gioia dell’amore che caratterizza l’approccio cristiano – e quindi anche l’Humanae vitae – è stato presentato in modo riduttivo.

Persone omosessuali
Il problema di quale accoglienza pastorale riservare alle persone omosessuali non stato eluso, ma nella maggior parte dei casi solo per ammettere la diffusa impreparazione delle nostre comunità. Alla luce di un percorso tutto da costruire, più che regole da stabilire, viene sottolineato la necessità di un atteggiamento nuovo per accompagnare queste persone. Meglio uno sguardo differenziato caso per caso capace di accogliere in spirito di autentica fraternità e di sincera comprensione chi si sente escluso, piuttosto che – si sottolinea – un 'prontuario' con regole predefinite. Il tempo dello 'sguardo giudicante' sembra proprio appartenere ad un’altra epoca.

Luciano Moia

© Avvenire, 16 aprile 2015

Verso il Sinodo di ottobre Ecco cosa chiedono le famiglie

Migliaia di risposte al questionario in vista dell'assemblea dei vescovi. Don Gentili (Cei): la crisi del matrimonio il problema più drammatico.

Al di là di ogni previsione il numero dei questionari compilati da diocesi, parrocchie ma anche da tanti nuclei familiari Accanto alle inevitabili preoccupazioni, il desiderio di far emergere impegno solidale e segni di autentica misericordia.

Un fatto storico. Le voci delle famiglie che arrivano direttamente ai vertici della Chiesa. Voci genuine, spontanee, preoccupate, tenere, arrabbiate, ma soprattutto cariche di speranza. Come succede nella vita di tutti i giorni. Voci, soprattutto, che si manifestano in quantità così imponenti da disorientare chi pensava che il secondo questionario, diffuso in vista del Sinodo ordinario di ottobre, non potesse rivelare nulla in più rispetto all’esperienza precedente. Invece, almeno per quanto riguarda l’Italia, è capitato l’inimmaginabile. Decine di migliaia di risposte. Così tante che non è ancora stato possibile stilare un conteggio definitivo. Anche se ieri, 15 aprile, è scaduto il termine stabilito per indirizzare le risposte alla Segreteria generale del Sinodo. Di fronte a questo afflusso massiccio la Cei è stata costretta a mettere in piedi una task force di scrutatori con funzionari dell’Ufficio famiglia, di quello catechistico, della pastorale giovanile e di altri Servizi Cei.

Le risposte sono arrivate in modo articolato da 134 diocesi, un’altra cinquantina ha annunciato che il materiale verrà spedito in questi giorni – sperando in un po’ di tolleranza da parte degli uffici vaticani – ma soprattutto sono state inviate tantissime risposte singole. Come se si fosse fatta più viva la consapevolezza di un momento da vivere in tutta la sua straordinarietà. E così, mentre le risposte al questionario in vista del Sinodo straordinario 2014 erano risultate più 'professionali' – in maggior parte forse preparate o ispirate da addetti ai lavori – questa volta sembra prevalere la spontaneità, l’immediatezza, la semplicità. Con tutti i sentimenti, positivi e negativi, correlati.

Risposte soprattutto che, in riferimento alla famiglia e alle sue molteplici connessioni, tracciano il quadro di una Chiesa molto diversa rispetto agli stereotipi mediatici. L’emergenza più avvertita non riguarda né la pastorale per i divorziati risposati, né quella per le persone omosessuali. «Dalla maggior parte delle risposte – osserva don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio Cei per la pastorale della famiglia – emerge la preoccupazione per il crollo dei matrimoni e per i tassi di natalità, per la difficoltà di spiegare ai nostri giovani la bellezza del 'per sempre', per la confusione che sembra caratterizzare la vita di relazione, segnata da disorientamento e incertezza».

Incombe sul futuro delle famiglie italiane quell’emergenza educativa più volte segnalata che, quando tocca i temi degli affetti, della sessualità, della procreazione, arriva ad incidere direttamente sui fondamenti antropologici e apre interrogativi drammatici sul futuro di tutti. «Non si può dire che non si viva più l’affetto sponsale e che non nascano più figli ma – riprende don Gentili – in troppe occasioni il matrimonio viene considerato un passaggio inutile, forse troppo impegnativo, forse semplicemente troppo costoso in tempi di crisi».

In alcune diocesi il problema è così drammatico che i percorsi di preparazione al matrimonio sono stati drasticamente ridotti e, in alcuni casi, azzerati. Situazione drammatica le cui conseguenze, osservando i contenuti delle risposte, vengono percepite in modo diverso, non sempre puntuale. In alcuni casi, certo, la sensazione è quella di vivere una situazione di passaggio di profonda incertezza. Si legge per esempio su un questionario: «La crisi dell’istituto matrimoniale è così profonda che sembra di camminare su macerie fumanti».

In altre risposte sembra invece di cogliere la volontà di prendere le distanze dai nuovi modelli di vita dei giovani, dalle convivenze sempre più diffuse, da quella vita reale che si è allontanata dalle proposte del magistero. «Dobbiamo chiederci quanto siano attuali alcuni nostri schemi di pastorale familiare e giovanile, quanto impegno abbiamo profuso – continua il direttore dell’Ufficio Famiglia – nei percorsi di educazione all’affettività e alla sessualità. E quanta strada rimanga ancora da fare. Un fatto è comunque certo. Riflettere sui contenuti della grande mole di risposte arrivate in vista del Sinodo, ci ha obbligato a rivedere i nostri schemi, ad attenuare le posizioni più estreme, a trovare sintesi illuminate per inquadrare la verità in una luce di misericordia. Che – conclude don Gentili – anche in vista dell’Anno giubilare, è la vera sfida del prossimo Sinodo».

Luciano Moia

© Avvenire, 16 aprile 2015