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PARROCCHIA S. GIROLAMO

LA "PORTA STRETTA" DI UNA STORIA PARTICOLARE

Omelia nel 61° anniversario della nascita della Beata Sandra Sabattini, San Girolamo 20.08.2022

Dio irrompe nella vicenda umana sempre attraverso la «porta stretta» (Lc 13,24) di una storia particolare. Come dice il Concilio Vaticano II, la stessa Rivelazione è una economia che «comprende eventi e parole intimamente connessi tra loro» (Dei Verbum 2). Una storia particolare, formata da fatti e volti di persone, come quella attraverso la quale Sandra è stata afferrata da Cristo fino a farla tutta Sua, fin dal primo incontro accaduto proprio qui in parrocchia attraverso don Oreste, invitato dallo zio don Giuseppe, primo parroco di San Girolamo, a cui è seguita l’esperienza travolgente del primo campo in montagna con gli amici dell’Associazione Papa Giovanni XXIII.
Ringraziando Dio per il dono della nostra Beata nel 61° anniversario della sua nascita in terra, noi vogliamo innanzitutto vivere la memoria del primo incontro. Essa è decisiva affinché l’azione pastorale delle nostre Comunità sia fedele al metodo dell’incarnazione e, perciò, realmente centrata in Cristo: «fare memoria vuol dire fondarsi nuovamente in Gesù, nella sua vita» (Alla Comunità del Collegio Internazionale del Gesù di Roma, 3 dicembre 2018). Solo in questa fedeltà può esserci un’autentica fecondità, generata dal contagio dell’attrattiva testimoniata nella semplicità e nella concretezza evangelica, che Francesco invita costantemente a riscoprire, suggerendo, tra l’altro, di «prendere i Vangeli e rileggere le tante storie che ci sono per vedere come Gesù incontra la gente, come sceglie gli apostoli» (Omelia a Santa Marta, 24 aprile 2015).
Il metodo che riconosciamo nell’inizio è il medesimo in cui si rinnova l’incontro con Cristo in ogni luogo e in ogni tempo: esso implica sempre la testimonianza di una persona attraverso la quale siamo attratti da Gesù secondo una precisa modalità del Suo sguardo. In questa prospettiva si colloca il significato autentico dei carismi che sono all’origine delle diverse esperienze ecclesiali, personali e comunitarie, dagli ordini religiosi ai movimenti di ogni tempo, secondo la pluralità di forme suscitata dallo Spirito Santo in ogni epoca della Chiesa, fino alla storia particolare di ogni singola comunità e di ciascun fedele: «il nostro incontro con Cristo ha preso la sua forma nella Chiesa mediante il carisma di un suo testimone, di una sua testimone. Questo sempre ci stupisce e ci fa rendere grazie» (Omelia nella Festa della Presentazione di Gesù al tempio, 2 febbraio 2014).
Una storia particolare «è la chiave di volta della concezione cristiana dell’uomo, della sua moralità, nel suo rapporto con Dio, con la vita, con il mondo» (L. Giussani, Generare tracce nella storia del mondo, p. 82).
Nel corso di una cena presso una famiglia della nostra parrocchia, una signora anziana ha raccontato le modalità del primo incontro con suo marito, coi giovani nipoti colpiti dal fatto che è accaduto tutto fin dal primo istante, che, lei stessa sottolineava, era «un momento qualsiasi», in cui è successo qualcosa che ha segnato le loro vite per sempre.
Questa è la dinamica dell’esperienza cristiana, quella di un incontro imprevisto e imprevedibile che accade in “un momento qualsiasi” della nostra esistenza, il quale diventa il momento decisivo, che cambia tutto. Se perdiamo questo metodo, perdiamo tutto del cristianesimo, perché nell’evento dell’incarnazione «sta sia il contenuto che il metodo dell’annuncio cristiano» (Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti all’Assemblea plenaria della Congregazione per il Clero, 16 marzo 2009). Nessuno di noi in apparenza nega Cristo, ma, non di rado, lo si nega come metodo non partendo più dalla storia particolare in cui Egli ci afferra ora, riducendo così il cristianesimo a una dottrina, a un’etica, a un pio intendimento devozionale o ad uno sforzo morale, al punto che dell’esperienza cristiana non rimane più nulla, pur dentro una sua affermazione teorica: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete”. […] Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi» (Lc 13,24-27a.29-30).
La “porta stretta” la riconosce chi, come Sandra, prende sul serio tutta l’esigenza della propria umanità, ovvero «il bisogno di infinito che è dentro di noi e che non possiamo far finta di ignorare», come scriveva pochi giorni prima di compiere vent’anni, sottolineando che «l’infinito è lì che ci aspetta ogni volta che cadono le “posticce” risposte che abbiamo dato al suo bisogno» (Diario, 07 agosto1981).
Il testo di una canzone contemporanea (Anyone di Demi Lovato) esprime tutto il grido dell’umanità di cui siamo costituiti: «Ho provato a parlare con il mio pianoforte / Ho provato a parlare con la mia chitarra / A parlare con la mia immaginazione / Mi sono confidata con l’alcool / […] Sono stanca di conversazioni vuote / Perché nessuno mi ascolta più […] Quindi, perché sto pregando comunque? /
Se nessuno sta ascoltando / Per favore, mandami qualcuno / Signore, c’è qualcuno? / Ho bisogno di qualcuno, oh / Per favore, mandami qualcuno / Signore, c’è qualcuno? / Ho bisogno di qualcuno».
La “porta stretta” è Qualcuno che risponde, in una storia particolare, accolta e accettata non da chi non sbaglia mai, ma da chi è leale fino in fondo con questo bisogno e per questo si commuove quando esso emerge nella propria carne e in quella dei nostri fratelli e sorelle, uomini e donne del nostro tempo, anche loro, come noi, stanchi di «conversazioni vuote».
Costoro sono «gli ultimi che diventano i primi» (cfr. Lc 13,30).
Domandiamo l’intercessione della nostra Beata Sandra Sabattini per essere, come lei, tra loro.

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UN’ATTRATTIVA CHE SPALANCA IL DESIDERIO

Intervento di don Roberto Battaglia al ritrovo diocesano in occasione dell’Incontro Mondiale delle Famiglie.

Ci ritroviamo nella chiesa dove si venera la Beata Sandra Sabattini, la «santa fidanzata». All’inizio del gesto con cui, nella nostra Diocesi, ci uniamo all’Incontro Mondiale delle Famiglie, ci chiediamo quale contributo ci offre la sua esperienza di fidanzamento con Guido Rossi.
Spesso mi si rivolge questa domanda: «cosa ha fatto Sandra per essere Beata?». In realtà, più la si conosce, più ci si accorge che in lei non domina “il proprio fare”, ma l’innamoramento per Cristo: «Non esiste il problema di stare con i poveri, ma col Signore» (Diario, 10.09.1982). Poco più che sedicenne lo aveva riassunto così, rivolgendosi a Gesù: «Scelgo Te e basta» (Diario, 26.02.1978).
Sandra è una giovane donna tutta attratta da Colui che ha conquistato il suo cuore, trascinando la sua affezione in un dono totale di sé stessa: «Non è mia questa vita» (Diario, 27.04.1984).
Ma chi è innamorato è forse una persona “spiritualista” in fuga dal mondo? Una ragazza così presa dall’esperienza che riempie tutta la sua vita, dimentica il fidanzato o lo ama di più? In lei è evidente l’intensità di una vita molto più operosa di chi si ritiene un attivista. Tutt’altro che ripiegata in una visione “intimista” del rapporto con Cristo, Sandra era instancabile nel servizio ai poveri, senza voler «sprecare neanche un istante di questa mia esistenza» (Diario, 06.03.1983).
E col fidanzato? Don Oreste scriveva che lei e Guido erano «Fidanzati come se non lo fossero, secondo i criteri del mondo» (Introduzione al Diario). Le amiche raccontano che non li si vedeva sempre insieme, come accadeva solitamente alle coppie di giovani coetanei, poiché erano innanzitutto tesi a vivere l’esperienza cristiana, aperti al rapporto con tutti, nel desiderio di rispondere alla chiamata di Dio. Guido racconta come si confrontassero spesso sulla fede in rapporto alla vita. Quando un giorno il fidanzato le disse che per lui se anche Dio non esistesse varrebbe la pena vivere una vita corretta, “da buoni”, Sandra rispose con passione: «Se Dio non esistesse sarei disperata». Davvero «Dio conduceva la sua vita», sottolinea lo stesso Guido. Il rapporto col Signore, vissuto nella piena appartenenza all’Associazione Papa Giovanni XXIII, era il centro affettivo della vita di Sandra e questo esaltava il rapporto col fidanzato, nella prospettiva dello scopo ultimo.
Non può esserci rapporto col Mistero se non attraverso il segno carnale in cui esso si manifesta e non c’è nulla di più contrario alla nostra fede del dualismo che oppone o accosta il rapporto con Cristo al rapporto con la persona amata: esso è sempre dentro il segno, attraverso il volto del/della fidanzato/a o dello/a sposo/a, che non si può amare fino in fondo senza riconoscere e adorare nell’altro/a l’Infinito che attrae il nostro desiderio. Sandra vive questa unità all’origine della sua esperienza, che lei stessa descrive così: «Fidanzamento. Qualcosa di integrante con la vocazione: ciò che vivo di disponibilità e d’amore nei confronti degli altri è ciò che vivo anche per Guido; sono due cose compenetrate, allo stesso livello» (Diario, 23.07.1983). Rispondendo a una domanda di don Oreste Benzi circa il motivo per cui lei si dedicava ai giovani della comunità terapeutica di Trarivi, incontrando così più raramente il fidanzato, Sandra disse: «proprio perché questa scelta l’abbiamo fatta assieme, anche se a livello di tempo ci vediamo di meno, io sento che viviamo molto a fondo anche quel poco che ci vediamo, perché quello che vivo è scelto con lui, assieme». Proseguì precisando che «non riesco a parlare del rapporto che ho con Guido se non parlo di tutto quello che vivo di disponibilità con gli altri in Comunità. Cioè, mi viene da metterli sullo stesso piano». Don Oreste intuì il valore quest’affermazione, evidenziando come il fidanzamento, in «questa pienezza di vita», «non è soffocante, ma si dilata», ricevendo «una ricchezza enorme» (23.07.1983).
Sandra ci provoca a prendere sul serio «il bisogno di infinito che è dentro di noi e che non possiamo far finta di ignorare», come scriveva pochi giorni prima di compiere vent’anni, sottolineando che «l’infinito è lì che ci aspetta ogni volta che cadono le “posticce” risposte che abbiamo dato al suo bisogno» (07.08.1981). Un bisogno a cui neanche la persona amata – che più di ogni altra suscita questo desiderio infinito – può rispondere. È una sete come quella della Samaritana del Vangelo, che neppure i suoi cinque mariti avevano soddisfatto, fino a quando non incrociò lo sguardo di quell’uomo capace di penetrare il suo cuore, amandola più di tutti gli uomini che l’avevano posseduta (cfr. Gv 4, 4-42). Sandra ha vissuto cercando quello sguardo in Guido e vivendo assieme al fidanzato un rapporto carnale con Cristo, secondo la modalità in cui Lui l’aveva afferrata facendola Sua.
Si tratta della verginità, in cui giunge al culmine l’amore nuziale. Possiamo proporci di meno?

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“TU VALI PIÙ DELL’UNIVERSO INTERO”

Campo medie a Folgaria (TN), 27 ragazzi e ragazze di San Girolamo con 5 adulti

Dall'osservazione delle stelle, scoprendo l'ampiezza dell'universo, alla bellezza delle montagne, dalla celebrazione della Santa Messa ai giochi insieme, dai canti e i balli alle passeggiate, fino alle avventure in arrampicata e sulla canoa, con la sorpresa finale della discesa sulle cascate, ci siamo sorpresi attratti da uno sguardo diverso alla nostra umanità, lo stesso sguardo che colpì Simon Pietro accogliendo Gesù sulla propria barca, la stessa Presenza che scaraventò a terra Saulo (Paolo) sulla via di Damasco.

L’IDEOLOGIA CHE PRENDE IL POSTO DEL VANGELO È IL PIÙ GRANDE PERICOLO PER LA CHIESA

Papa Francesco intervistato da Fazio su RAI3:

Oggi il male della Chiesa più grande è la mondanità spirituale. Un grande teologo, Henri De Lubac, diceva che la mondanità spirituale è il peggio dei mali che può accadere alla Chiesa. […] La mondanità spirituale crea il clericalismo che porta a posizioni rigide, ideologicamente rigide: l’ideologia prende il posto del Vangelo. Sugli atteggiamenti pastorali ne dico solo due, che sono vecchi: il pelagianesimo e lo gnosticismo. Il pelagianesimo è credere che con la mia forza posso andare avanti. No, la Chiesa va avanti con la forza di Dio, la misericordia di Dio e la forza dello Spirito Santo. E lo gnosticismo, quello mistico, senza Dio, questa spiritualità vuota… no, senza la carne di Cristo non c’è intesa possibile, senza la carne di Cristo non c’è redenzione possibile. Dobbiamo tornare al centro un’altra volta: “Il verbo si è fatto carne”. In questo scandalo della croce, del Verbo incarnato, c’è il futuro della Chiesa.

LA PAROLA DI DIO E' GESU' CRISTO

Verbum Domini, n. 7:

[…] Come ci mostra in modo chiaro il Prologo di Giovanni, il Logos indica originariamente il Verbo eterno, ossia il Figlio unigenito, generato dal Padre prima di tutti i secoli e a Lui consustanziale: il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio. Ma questo stesso Verbo, afferma san Giovanni, si «fece carne» (Gv 1,14); pertanto Gesù Cristo, nato da Maria Vergine, è realmente il Verbo di Dio fattosi consustanziale a noi. Dunque l’espressione «Parola di Dio» viene qui ad indicare la persona di Gesù Cristo, eterno Figlio del Padre, fatto uomo. Inoltre, se al centro della Rivelazione divina c’è l’evento di Cristo, occorre anche riconoscere che la stessa creazione, il liber naturae, è anche essenzialmente parte di questa sinfonia a più voci in cui l’unico Verbo si esprime. Allo stesso modo confessiamo che Dio ha comunicato la sua Parola nella storia della salvezza, ha fatto udire la sua voce; con la potenza del suo Spirito «ha parlato per mezzo dei profeti». La divina Parola, pertanto, si esprime lungo tutta la storia della salvezza ed ha la sua pienezza nel mistero dell’incarnazione, morte e risurrezione del Figlio di Dio. E ancora, Parola di Dio è quella predicata dagli Apostoli, in obbedienza al comando di Gesù Risorto: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15). Pertanto, la Parola di Dio è trasmessa nella Tradizione viva della Chiesa. Infine, la Parola di Dio attestata e divinamente ispirata è la sacra Scrittura, Antico e Nuovo Testamento.

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L'INTEPRETAZIONE DELLA SACRA SCRITTURA NELLA CHIESA

Verbum Domini, nn. 29-30

Un altro grande tema emerso durante il Sinodo, sul quale intendo ora richiamare l’attenzione, è l’interpretazione della sacra Scrittura nella Chiesa. Proprio il legame intrinseco tra Parola e fede mette in evidenza che l’autentica ermeneutica della Bibbia non può che essere nella fede ecclesiale, che ha nel sì di Maria il suo paradigma. San Bonaventura afferma a questo proposito che senza la fede non c’è chiave di accesso al testo sacro: «Questa è la conoscenza di Gesù Cristo, da cui hanno origine, come da una fonte, la sicurezza e l’intelligenza di tutta la sacra Scrittura. Perciò è impossibile che uno possa addentrarsi a conoscerla, se prima non abbia la fede infusa di Cristo, che è lucerna, porta e anche fondamento di tutta la Scrittura».[ Breviloquium, Prol.: Opera Omnia, V, Quaracchi 1891, pp. 201-202]. E san Tommaso d’Aquino, menzionando sant’Agostino, insiste con forza: «Anche la lettera del vangelo uccide se manca l’interiore grazia della fede che sana».[Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 106, art.2.]
Questo ci permette di richiamare un criterio fondamentale dell’ermeneutica biblica: il luogo originario dell’interpretazione scritturistica è la vita della Chiesa. Questa affermazione non indica il riferimento ecclesiale come un criterio estrinseco cui gli esegeti devono piegarsi, ma è richiesta dalla realtà stessa delle Scritture e da come esse si sono formate nel tempo. Infatti, «le tradizioni di fede formavano l’ambiente vitale in cui si è inserita l’attività letteraria degli autori della sacra Scrittura. Questo inserimento comprendeva anche la partecipazione alla vita liturgica e all’attività esterna delle comunità, al loro mondo spirituale, alla loro cultura e alle peripezie del loro destino storico. L’interpretazione della sacra Scrittura esige perciò, in modo simile, la partecipazio¬ne degli esegeti a tutta la vita e a tutta la fede della comunità credente del loro tempo». [Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993), III, A, 3: Ench. Vat. 13, n. 3035.] Di conseguenza, «dovendo la sacra Scrittura esser letta e interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta», [Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 12] occorre che gli esegeti, i teologi e tutto il Popolo di Dio si accostino ad essa per ciò che realmente è, quale Parola di Dio che si comunica a noi attraverso parole umane (cfr 1Tes 2,13). Questo è un dato costante ed implicito nella Bibbia stessa: «nessuna Scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione, poiché non da volontà umana fu recata mai una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di Dio» (2Pt 1,20-21). Del resto, è proprio la fede della Chiesa che riconosce nella Bibbia la Parola di Dio; come dice mirabilmente sant’Agostino, «non crederei al Vangelo se non mi ci inducesse l’autorità della Chiesa cattolica». [Contra epistolam Manichaei quam vocant fundamenti, V, 6: PL 42, 176]. È lo Spirito Santo, che anima la vita della Chiesa, a rendere capaci di interpretare autenticamente le Scritture. La Bibbia è il libro della Chiesa e dalla sua immanenza nella vita ecclesiale scaturisce anche la sua vera ermeneutica.

30. San Girolamo ricorda che non possiamo mai da soli leggere la Scrittura. Troviamo troppe porte chiuse e scivoliamo facilmente nell’errore. La Bibbia è stata scritta dal Popolo di Dio e per il Popolo di Dio, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. Solo in questa comunione col Popolo di Dio possiamo realmente entrare con il «noi» nel nucleo della verità che Dio stesso ci vuol dire. [Cfr Benedetto XVI, Udienza Generale (14 novembre 2007): Insegnamenti III, 2 (2007), 586-591]. Il grande studioso, per il quale «l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo», [Commentariorum in Isaiam libri, Prol.: PL 24, 17] afferma che l’ecclesialità dell’interpretazione biblica non è un’esigenza imposta dall’esterno; il Libro è proprio la voce del Popolo di Dio pellegrinante, e solo nella fede di questo Popolo siamo, per così dire, nella tonalità giusta per capire la sacra Scrittura.
Un’autentica interpretazione della Bibbia deve essere sempre in armonica concordanza con la fede della Chiesa cattolica. Così san Girolamo si rivolgeva ad un sacerdote: «Rimani fermamente attaccato alla dottrina tradizionale che ti è stata insegnata, affinché tu possa esortare secondo la sana dottrina e confutare coloro che la contraddicono». [Epistula 52, 7: CSEL 54, p. 426].
Approcci al testo sacro che prescindano dalla fede possono suggerire elementi interessanti, soffermandosi sulla struttura del testo e le sue forme; tuttavia, un tale tentativo sarebbe inevitabilmente solo preliminare e strutturalmente incompiuto. Infatti, come è stato affermato dalla Pontificia Commissione Biblica, facendo eco ad un principio condiviso nell’ermeneutica moderna, «la giusta conoscenza del testo biblico è accessibile solo a colui che ha un’affinità vissuta con ciò di cui parla il testo». [Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993), II, A, 2: Ench. Vat. 13, n. 2988.]
Tutto questo mette in rilievo la relazione tra la vita spirituale e l’ermeneutica della Scrittura. Infatti, «con la crescita della vita nello Spirito cresce anche, nel lettore, la comprensione delle realtà di cui parla il testo biblico».[ Ibidem, II, A, 2: Ench. Vat. 13, n. 2991.]
L’intensità di un’autentica esperienza ecclesiale non può che incrementare un’intelligenza della fede autentica riguardo alla Parola di Dio; reciprocamente si deve dire che leggere nella fede le Scritture fa crescere la stessa vita ecclesiale.
Da qui possiamo cogliere in modo nuovo la nota affermazione di san Gregorio Magno: «le parole divine crescono insieme con chi le legge». [Homiliae in Ezechielem, I, VII, 8: PL 76, 843 D.] In questo modo l’ascolto della Parola di Dio introduce ed incrementa la comunione ecclesiale con quanti camminano nella fede.

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L'INTEPRETAZIONE DELLA SACRA SCRITTURA NELLA CHIESA

Verbum Domini, nn. 29-30

Un altro grande tema emerso durante il Sinodo, sul quale intendo ora richiamare l’attenzione, è l’interpretazione della sacra Scrittura nella Chiesa. Proprio il legame intrinseco tra Parola e fede mette in evidenza che l’autentica ermeneutica della Bibbia non può che essere nella fede ecclesiale, che ha nel sì di Maria il suo paradigma. San Bonaventura afferma a questo proposito che senza la fede non c’è chiave di accesso al testo sacro: «Questa è la conoscenza di Gesù Cristo, da cui hanno origine, come da una fonte, la sicurezza e l’intelligenza di tutta la sacra Scrittura. Perciò è impossibile che uno possa addentrarsi a conoscerla, se prima non abbia la fede infusa di Cristo, che è lucerna, porta e anche fondamento di tutta la Scrittura».[ Breviloquium, Prol.: Opera Omnia, V, Quaracchi 1891, pp. 201-202]. E san Tommaso d’Aquino, menzionando sant’Agostino, insiste con forza: «Anche la lettera del vangelo uccide se manca l’interiore grazia della fede che sana».[Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 106, art.2.]
Questo ci permette di richiamare un criterio fondamentale dell’ermeneutica biblica: il luogo originario dell’interpretazione scritturistica è la vita della Chiesa. Questa affermazione non indica il riferimento ecclesiale come un criterio estrinseco cui gli esegeti devono piegarsi, ma è richiesta dalla realtà stessa delle Scritture e da come esse si sono formate nel tempo. Infatti, «le tradizioni di fede formavano l’ambiente vitale in cui si è inserita l’attività letteraria degli autori della sacra Scrittura. Questo inserimento comprendeva anche la partecipazione alla vita liturgica e all’attività esterna delle comunità, al loro mondo spirituale, alla loro cultura e alle peripezie del loro destino storico. L’interpretazione della sacra Scrittura esige perciò, in modo simile, la partecipazio¬ne degli esegeti a tutta la vita e a tutta la fede della comunità credente del loro tempo». [Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993), III, A, 3: Ench. Vat. 13, n. 3035.] Di conseguenza, «dovendo la sacra Scrittura esser letta e interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta», [Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 12] occorre che gli esegeti, i teologi e tutto il Popolo di Dio si accostino ad essa per ciò che realmente è, quale Parola di Dio che si comunica a noi attraverso parole umane (cfr 1Tes 2,13). Questo è un dato costante ed implicito nella Bibbia stessa: «nessuna Scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione, poiché non da volontà umana fu recata mai una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di Dio» (2Pt 1,20-21). Del resto, è proprio la fede della Chiesa che riconosce nella Bibbia la Parola di Dio; come dice mirabilmente sant’Agostino, «non crederei al Vangelo se non mi ci inducesse l’autorità della Chiesa cattolica». [Contra epistolam Manichaei quam vocant fundamenti, V, 6: PL 42, 176]. È lo Spirito Santo, che anima la vita della Chiesa, a rendere capaci di interpretare autenticamente le Scritture. La Bibbia è il libro della Chiesa e dalla sua immanenza nella vita ecclesiale scaturisce anche la sua vera ermeneutica.

30. San Girolamo ricorda che non possiamo mai da soli leggere la Scrittura. Troviamo troppe porte chiuse e scivoliamo facilmente nell’errore. La Bibbia è stata scritta dal Popolo di Dio e per il Popolo di Dio, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. Solo in questa comunione col Popolo di Dio possiamo realmente entrare con il «noi» nel nucleo della verità che Dio stesso ci vuol dire. [Cfr Benedetto XVI, Udienza Generale (14 novembre 2007): Insegnamenti III, 2 (2007), 586-591]. Il grande studioso, per il quale «l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo», [Commentariorum in Isaiam libri, Prol.: PL 24, 17] afferma che l’ecclesialità dell’interpretazione biblica non è un’esigenza imposta dall’esterno; il Libro è proprio la voce del Popolo di Dio pellegrinante, e solo nella fede di questo Popolo siamo, per così dire, nella tonalità giusta per capire la sacra Scrittura.
Un’autentica interpretazione della Bibbia deve essere sempre in armonica concordanza con la fede della Chiesa cattolica. Così san Girolamo si rivolgeva ad un sacerdote: «Rimani fermamente attaccato alla dottrina tradizionale che ti è stata insegnata, affinché tu possa esortare secondo la sana dottrina e confutare coloro che la contraddicono». [Epistula 52, 7: CSEL 54, p. 426].
Approcci al testo sacro che prescindano dalla fede possono suggerire elementi interessanti, soffermandosi sulla struttura del testo e le sue forme; tuttavia, un tale tentativo sarebbe inevitabilmente solo preliminare e strutturalmente incompiuto. Infatti, come è stato affermato dalla Pontificia Commissione Biblica, facendo eco ad un principio condiviso nell’ermeneutica moderna, «la giusta conoscenza del testo biblico è accessibile solo a colui che ha un’affinità vissuta con ciò di cui parla il testo». [Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993), II, A, 2: Ench. Vat. 13, n. 2988.]
Tutto questo mette in rilievo la relazione tra la vita spirituale e l’ermeneutica della Scrittura. Infatti, «con la crescita della vita nello Spirito cresce anche, nel lettore, la comprensione delle realtà di cui parla il testo biblico».[ Ibidem, II, A, 2: Ench. Vat. 13, n. 2991.]
L’intensità di un’autentica esperienza ecclesiale non può che incrementare un’intelligenza della fede autentica riguardo alla Parola di Dio; reciprocamente si deve dire che leggere nella fede le Scritture fa crescere la stessa vita ecclesiale.
Da qui possiamo cogliere in modo nuovo la nota affermazione di san Gregorio Magno: «le parole divine crescono insieme con chi le legge». [Homiliae in Ezechielem, I, VII, 8: PL 76, 843 D.] In questo modo l’ascolto della Parola di Dio introduce ed incrementa la comunione ecclesiale con quanti camminano nella fede.

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L'INTEPRETAZIONE DELLA SACRA SCRITTURA NELLA CHIESA

Verbum Domini, nn. 29-30

Un altro grande tema emerso durante il Sinodo, sul quale intendo ora richiamare l’attenzione, è l’interpretazione della sacra Scrittura nella Chiesa. Proprio il legame intrinseco tra Parola e fede mette in evidenza che l’autentica ermeneutica della Bibbia non può che essere nella fede ecclesiale, che ha nel sì di Maria il suo paradigma. San Bonaventura afferma a questo proposito che senza la fede non c’è chiave di accesso al testo sacro: «Questa è la conoscenza di Gesù Cristo, da cui hanno origine, come da una fonte, la sicurezza e l’intelligenza di tutta la sacra Scrittura. Perciò è impossibile che uno possa addentrarsi a conoscerla, se prima non abbia la fede infusa di Cristo, che è lucerna, porta e anche fondamento di tutta la Scrittura».[ Breviloquium, Prol.: Opera Omnia, V, Quaracchi 1891, pp. 201-202]. E san Tommaso d’Aquino, menzionando sant’Agostino, insiste con forza: «Anche la lettera del vangelo uccide se manca l’interiore grazia della fede che sana».[Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 106, art.2.]
Questo ci permette di richiamare un criterio fondamentale dell’ermeneutica biblica: il luogo originario dell’interpretazione scritturistica è la vita della Chiesa. Questa affermazione non indica il riferimento ecclesiale come un criterio estrinseco cui gli esegeti devono piegarsi, ma è richiesta dalla realtà stessa delle Scritture e da come esse si sono formate nel tempo. Infatti, «le tradizioni di fede formavano l’ambiente vitale in cui si è inserita l’attività letteraria degli autori della sacra Scrittura. Questo inserimento comprendeva anche la partecipazione alla vita liturgica e all’attività esterna delle comunità, al loro mondo spirituale, alla loro cultura e alle peripezie del loro destino storico. L’interpretazione della sacra Scrittura esige perciò, in modo simile, la partecipazio¬ne degli esegeti a tutta la vita e a tutta la fede della comunità credente del loro tempo». [Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993), III, A, 3: Ench. Vat. 13, n. 3035.] Di conseguenza, «dovendo la sacra Scrittura esser letta e interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta», [Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 12] occorre che gli esegeti, i teologi e tutto il Popolo di Dio si accostino ad essa per ciò che realmente è, quale Parola di Dio che si comunica a noi attraverso parole umane (cfr 1Tes 2,13). Questo è un dato costante ed implicito nella Bibbia stessa: «nessuna Scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione, poiché non da volontà umana fu recata mai una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di Dio» (2Pt 1,20-21). Del resto, è proprio la fede della Chiesa che riconosce nella Bibbia la Parola di Dio; come dice mirabilmente sant’Agostino, «non crederei al Vangelo se non mi ci inducesse l’autorità della Chiesa cattolica». [Contra epistolam Manichaei quam vocant fundamenti, V, 6: PL 42, 176]. È lo Spirito Santo, che anima la vita della Chiesa, a rendere capaci di interpretare autenticamente le Scritture. La Bibbia è il libro della Chiesa e dalla sua immanenza nella vita ecclesiale scaturisce anche la sua vera ermeneutica.

30. San Girolamo ricorda che non possiamo mai da soli leggere la Scrittura. Troviamo troppe porte chiuse e scivoliamo facilmente nell’errore. La Bibbia è stata scritta dal Popolo di Dio e per il Popolo di Dio, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. Solo in questa comunione col Popolo di Dio possiamo realmente entrare con il «noi» nel nucleo della verità che Dio stesso ci vuol dire. [Cfr Benedetto XVI, Udienza Generale (14 novembre 2007): Insegnamenti III, 2 (2007), 586-591]. Il grande studioso, per il quale «l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo», [Commentariorum in Isaiam libri, Prol.: PL 24, 17] afferma che l’ecclesialità dell’interpretazione biblica non è un’esigenza imposta dall’esterno; il Libro è proprio la voce del Popolo di Dio pellegrinante, e solo nella fede di questo Popolo siamo, per così dire, nella tonalità giusta per capire la sacra Scrittura.
Un’autentica interpretazione della Bibbia deve essere sempre in armonica concordanza con la fede della Chiesa cattolica. Così san Girolamo si rivolgeva ad un sacerdote: «Rimani fermamente attaccato alla dottrina tradizionale che ti è stata insegnata, affinché tu possa esortare secondo la sana dottrina e confutare coloro che la contraddicono». [Epistula 52, 7: CSEL 54, p. 426].
Approcci al testo sacro che prescindano dalla fede possono suggerire elementi interessanti, soffermandosi sulla struttura del testo e le sue forme; tuttavia, un tale tentativo sarebbe inevitabilmente solo preliminare e strutturalmente incompiuto. Infatti, come è stato affermato dalla Pontificia Commissione Biblica, facendo eco ad un principio condiviso nell’ermeneutica moderna, «la giusta conoscenza del testo biblico è accessibile solo a colui che ha un’affinità vissuta con ciò di cui parla il testo». [Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993), II, A, 2: Ench. Vat. 13, n. 2988.]
Tutto questo mette in rilievo la relazione tra la vita spirituale e l’ermeneutica della Scrittura. Infatti, «con la crescita della vita nello Spirito cresce anche, nel lettore, la comprensione delle realtà di cui parla il testo biblico».[ Ibidem, II, A, 2: Ench. Vat. 13, n. 2991.]
L’intensità di un’autentica esperienza ecclesiale non può che incrementare un’intelligenza della fede autentica riguardo alla Parola di Dio; reciprocamente si deve dire che leggere nella fede le Scritture fa crescere la stessa vita ecclesiale.
Da qui possiamo cogliere in modo nuovo la nota affermazione di san Gregorio Magno: «le parole divine crescono insieme con chi le legge». [Homiliae in Ezechielem, I, VII, 8: PL 76, 843 D.] In questo modo l’ascolto della Parola di Dio introduce ed incrementa la comunione ecclesiale con quanti camminano nella fede.

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OMELIA NEL FUNERALE DI MONICA MARIANI BONORI

Viviamo questo momento nel contesto del Tempo di Natale, nei giorni immediatamente successivi alla Solennità dell’Epifania, nella quale la nostra carissima Monica ha terminato il suo pellegrinaggio terreno, dopo aver ricevuto l’Unzione degli infermi e l’assoluzione con l’indulgenza plenaria. Per questa ragione, nella Liturgia odierna, è stato riproposto il brano del Vangelo secondo Matteo che narra del cammino dei Magi (Mt 2,1-12), descritto così da Papa Francesco proprio l’altro ieri: «[Essi] si lasciano inquietare da una domanda e da un segno: “Dov’è colui che è nato? Abbiamo visto spuntare la sua stella” (Mt 2,2). […] Come ha affermato Benedetto XVI, erano “uomini dal cuore inquieto […] Uomini in attesa […] ricercatori di Dio” (Omelia, 6 gennaio 2013). Questa sana inquietudine che li ha portati a peregrinare da dove nasce? Nasce dal desiderio. […] Desiderare significa tenere vivo il fuoco che arde dentro di noi e ci spinge a cercare oltre l’immediato, oltre il visibile. Desiderare è accogliere la vita come un mistero che ci supera, come una fessura sempre aperta che invita a guardare oltre, perché la vita non è “tutta qui”, è anche “altrove”. […] Van Gogh, scriveva che il bisogno di Dio lo spingeva a uscire di notte per dipingere le stelle. Sì, perché Dio ci ha fatti così: impastati di desiderio; orientati, come i magi, verso le stelle» .
Oggi noi desideriamo accompagnare Monica nell’ultimo passo del suo peregrinare, non permettendo alla nostra ferita di chiudersi ma, al contrario, posti di fronte al mistero della morte, dilatando tutto il nostro desiderio a partire da quella che lo stesso Francesco ha chiamato «nostalgia di ciò che ci manca» . Si tratta della compagnia più vera che possiamo fare anche a Fabio, ai figli Luca, Lorenzo e Lisa, alla sorella e ai fratelli di Monica, a tutti i suoi parenti ed amici.
Ho approfondito il rapporto con Monica proprio condividendo il Pellegrinaggio a piedi da Macerata a Loreto – era presente anche la sorella Rossella – nel quale si cammina assieme tutta la notte. Era il 9 giugno 2018. Ricordo benissimo, non molti giorni dopo, la mattina in cui venne a dirmi che era stata scoperta la recidiva del tumore. Non ho dimenticato quel giorno, perché il fatto che lei, così discreta, avesse voluto subito condividere con me questa notizia, implicava il concepirsi insieme nell’esperienza della Comunità cristiana.
Quando sorprendo l’accadere di un legame profondo, mi torna sempre in mente ciò che scrisse Cesare Pavese: «da chi non è pronto a legarsi con te per tutta la vita non dovresti accettare neanche una sigaretta» . Si è insieme veramente quando ci si sostiene nel cammino al Destino e un’amicizia vera non nasce dall’organizzazione di iniziative o attività varie, ma dal condividere la domanda sul senso dell’esistenza, così come la comunione fiorisce dal sorprendersi insieme attratti e afferrati da Cristo.
La stessa Monica, diversi mesi dopo, descrisse così la sua esperienza: «[Il Pellegrinaggio] è stato un momento importante perché abbiamo condiviso e ci siamo ritrovati, ciascuno con le proprie ferite, a percorrere un cammino che è la metafora della vita, dove ci si sostiene l’un con l’altro. Qualche settimana dopo, ho scoperto che la mia malattia aveva ripreso […] e in quell’occasione ho approfondito le riflessioni che avevo fatto nel corso della camminata notturna, sul fatto che ognuno di noi abbia delle ferite e su quanto sia importante, per la nostra umanità e per gli altri, condividerle in modo da trovare forza nelle persone che ci circondano e nella Comunità […]. Ho scoperto quanto sia importante la preghiera, che ti riempie di forza nei momenti in cui è più difficile sopportare la prova. Con la preghiera e la condivisione non si è mai soli e questo è fondamentale per percorrere la propria esistenza fino in fondo» .
Con queste parole la nostra amica ha descritto un luogo – la comunione che è la Chiesa – in cui la nostra ferita – nella quale emerge il grido della nostra umanità – non è censurata ma abbracciata e il desiderio non è ridotto ma esaltato.
Per questo sono i Magi, provenienti da un paese lontano, a riconoscere Gesù, mentre gli scribi di Gerusalemme, pur conoscendo alla perfezione le Sacre Scritture e sapendo indicare il luogo in cui doveva nascere Cristo (Mt 2,4-6), non si muovono.
Non si comprende il Vangelo se non lasciandoci abbracciare ora dalla medesima esperienza che ha generato quei testi, come affermò Benedetto XVI riguardo agli stessi scribi e ai capi dei sacerdoti consultati da Erode: «Sono grandi specialisti che conoscono tutto. E tuttavia non vedono la realtà, non conoscono il Salvatore. […] Questo è un grande pericolo anche nella nostra lettura della Scrittura: ci fermiamo alle parole umane, parole del passato, storia del passato, e non scopriamo il presente nel passato, lo Spirito che parla oggi a noi nelle parole del passato» .
Monica si è coinvolta in un presente, partecipando al Coro di San Girolamo, frequentando gli incontri della nostra Comunità, rendendosi disponibile per il doposcuola e per i turni nella segreteria parrocchiale. Alla ripresa delle celebrazioni, dopo il lockdown del 2020, si proponeva sempre per curare il servizio di accoglienza e l’igienizzazione della chiesa. Proprio ieri Gabriella, responsabile della nostra Caritas parrocchiale, mi ricordava il suo “Sì” ad aiutare una bimba nigeriana, la cui madre era morta in mare col fratellino, segno di una disponibilità attenta al bisogno dell’altro, nel desiderio di non scartare nessuno. I suoi tanti allievi, con le loro famiglie, ricordano la passione con cui si è dedicata all’insegnamento fino a quando le è stato possibile.
Le sono grato perché, con i limiti e le resistenze che tutti ci portiamo addosso, si è lasciata abbracciare accettando con semplicità un rapporto umano reale e non formale ed ho potuto sperimentare l’accoglienza della sua famiglia, discreta e affettuosa al tempo stesso. Proprio nella sua casa ho parlato con lei l’ultima volta il 28 dicembre scorso, quando ha ricevuto l’Eucarestia assieme a Fabio, e con lui ha sottolineato l’intensità del loro rapporto nuziale, grata perché i figli lo avevano riconosciuto.
Il pellegrinaggio dei Magi si compie nella grandissima gioia per rivedere la stella e nello stupore guardando il bambino con sua madre (cfr. Mt 2, 10-11): Dio non risponde alla domanda infinita della nostra umanità ferita con una spiegazione, ma facendosi uomo.
A questo abbraccio carnale consegniamo Monica e ciascuno di noi, affinché, per la Sua misericordia, possiamo presto ritrovarci insieme in Paradiso.

Nella foto: Monica nel gruppo di San Girolamo che partecipò al Pellegrinaggio a piedi da Macerata a Loreto il 9 giugno del 2018.

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"VOLLE VENIRE COLUI CHE SI SAREBBE POTUTO ACCONTENTARE DI AIUTARCI

Scarica il pdf con il Libretto della Veglia al seguente link:

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OMELIA NELLA SANTA MESSA DELLA NOTTE DI NATALE 2021

Omelia nella Santa Messa della Notte di Natale 2021, per scaricare il testo in formato pdf clicca sul seguente link:

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"VOLLE VENIRE COLUI CHE SI SAREBBE POTUTO ACCONTENTARE DI AIUTARCI

Invito alla Veglia in preparazione al Natale, martedì 21 dicembre 2021

CONCERTO DEL CORO DI SAN GIROLAMO 17 DICEMBRE 2021

Venerdì 17 dicembre Concerto del Coro di San Girolamo, dal titolo "Il viaggio":

INCONTRI della COMUNITA' PARROCCHIALE

Nel tempo di Avvento diversi adulti della Comunità parrocchiale di San Girolamo si sono incontrati per sostenerci nel cammino della vita.

INCONTRI della COMUNITA' PARROCCHIALE

Nel tempo di Avvento diversi adulti della Comunità parrocchiale di San Girolamo si sono incontrati per sostenerci nel cammino della vita.

BEETHOVEN: OLTRE IL LIMITE

Sabato 30 ottobre ore 21

BEETHOVEN: OLTRE IL LIMITE

Sabato 30 ottobre, alle ore 21 nella nostra chiesa di San Girolamo, proponiamo un Concerto di musica da camera con brani di Ludwig van Beethoven eseguiti dal Trio Enthèos Nell'intento di valorizzare la passione per la musica e la bellezza di un giovane della nostra Parrocchia, promuoviamo nella nostra Chiesa questo concerto allo scopo di scoprire il desiderio del cuore umano che il genio di Beethoven fa emergere, condividendo con i ragazzi del Trio Enthèos, con i loro familiari ed amici e con chi lo desidera, la commozione per la nostra stessa umanità.

BEATA SANDRA PREGA PER NOI

La Beatificazione di Sandra Sabattini è stata una grande esperienza di unità, segno di speranza per la Chiesa riminese e per la nostra Città.

Nell’esperienza di Sandra riconosciamo l’incontro che ha cambiato le nostre vite, per questo ci siamo sorpresi insieme nel preparare e nel vivere la Beatificazione assieme agli amici dell’Associazione Papa Giovanni XXIII: ogni parola ed ogni gesto della celebrazione in Cattedrale è fiorito da quell’unità che solo Cristo presente, qui ed ora, può generare.

Da quando sono arrivato in Cattedrale prima dell’apertura, guardando gli amici di Comunione e Liberazione che stavano disponendosi per il servizio di accoglienza e il coro delle aggregazioni laicali, con i coristi dei vari movimenti ecclesiali assieme agli amici della Parrocchia di San Girolamo, che faceva le ultime prove, al saluto affettuoso con Paolo Ramonda (Responsabile generale di APG23) e con i familiari di Sandra, fino all’ultimo abbraccio dopo la Messa, il più commosso, con un amico col quale mai avrei immaginato sino a qualche anno fa di poterci guardare così, tutto ha affermato la contemporaneità di Cristo: siamo insieme mendicando di immedesimarci col “sì” radicale di Sandra.

Non possiamo proporre a noi stessi e a tutti gli uomini e donne che incontriamo ogni giorno, meno di questo.

don Roberto

IL SIGNIFICATO DELLA BEATIFICAZIONE PER LA CITTA' E PER LA DIOCESI

Leggi l'articolo di don Roberto sul Resto del Carlino:

Download don_Roberto_su_Sandra_Sabattini_Carlino_Rimini_del_21.10.21_pp._1_e_12.pdf

BEATIFICAZIONE DI SANDRA SABATTINI

DOMENICA 24 OTTOBRE ORE 16 IN BASILICA CATTEDRALE

IL METODO DEL CONTAGIO

Leggi l'articolo su Il Ponte: riflessione di don Roberto sulla Lettera pastorale del nostro Vescovo Francesco, clicca sul seguente link

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PRIMA RIUNIONE DEL CPP RINNOVATO PER IL TRIENNIO 2021-2024

Care amiche e cari amici del Consiglio Pastorale Parrocchiale,
dopo il bellissimo incontro di ieri sera (7 luglio 2021) – che a mio parere costituisce un punto di non ritorno per il nostro CPP e per la Comunità di San Girolamo – in ogni gesto, in ogni rapporto, in ogni occasione di ritrovo, la tensione non può che essere quella di “mettere in comune la vita” (tra virgolette cito alcuni contenuti degli interventi), privilegiando “i rapporti in cui sono a tema io”, la “nostra umanità” e la “nostra vita”, cioè “cosa serve veramente per vivere”: ogni gruppo, gesto, iniziativa, deve essere ribaltato e rivoluzionato a partire da quanto emerso nel nostro dialogo.
Solo quando si percepisce la possibilità di una umanità diversa, “praticanti” e “non praticanti” (per usare ancora queste brutte espressioni) tornano a interessarsi del cristianesimo. Fuori da questa concretezza non c’è nulla di interessante per la vita e ritrovi o iniziative parrocchiali varie, se non mettono a tema la questione dell’esistenza e del suo significato, aumentano lamento e scetticismo, come la Lettera pastorale del nostro Vescovo, sulla quale abbiamo iniziato a lavorare ieri sera (Non lasciamoci rubare la speranza, disponibile in formato cartaceo in parrocchia e in pdf sul sito www.sangirolamo.org ), fa capire molto bene.
Aiutiamoci a guardare i fatti e i volti di cui abbiamo parlato ieri (dal percorso con gli adulti della nostra Comunità in quest’ultimo anno a quanto accaduto nel campeggio coi ragazzi delle medie, con le persone che sono state colpite e che abbiamo visto cambiare): così, fedeli al metodo semplice dell’esperienza cristiana, potremo vivere il nostro compito di responsabilità nei confronti di noi stessi e di tutti gli amici della Comunità, essendo noi per primi a imparare quello che crediamo già di sapere.
Per questo vale la pena condividere l’esistenza, sostenendoci nel dramma del vivere. Non posso proporre, a me stesso e a ognuno di voi, niente di meno di “una questione di vita o di morte”, in un dialogo a colazione, bevendo una birra insieme, condividendo il dramma della malattia, i problemi del lavoro e della famiglia, nei ritrovi dei gruppi parrocchiali, guardando la partita o ritrovandoci a cena, liberamente, con qualche amico, senza escludere nulla della nostra vita.
Solo così Cristo non rimarrà un “puro nome” e potrà essere riconosciuto come corrispondente alle esigenze profonde della nostra umanità.
Per chi è disposto a verificare questa proposta non è promessa una vita tranquilla o senza problemi, ma un’avventura all’altezza dei desideri del nostro cuore.
Un abbraccio,
don Roberto
Rimini 8 luglio 2021

Scarica il testo in formato pdf cliccando sul seguente link:

Download Lettera_ai_membri_del_CPP_-_08.07.2021.pdf

NON LASCIAMOCI RUBARE LA SPERANZA

Scarica la Lettera pastorale del nostro Vescovo Francesco cliccando sul seguente link:

Download Lettera_pastorale_2021_-_Non_lasciamoci_rubare_la_speranza.pdf

CAMPEGGIO MEDIE A FOLGARIA (TRENTO)

UNA PROPOSTA ESIGENTE PERCHÉ IL NOSTRO CUORE È ESIGENTE

Dal 25 al 28 giugno 2021 si è svolto il campeggio dei ragazzi di 5a elementare e 1a media della nostra Parrocchia di San Girolamo, con 33 ragazzi e 8 adulti. Si è unito a noi anche don Paolo, parroco della Riconciliazione, assieme un ragazzo della sua Parrocchia.
Siamo partiti curando bene il nostro programma, ma ricordandoci che niente da noi preparato poteva costituire una novità. Ci siamo detti, con le parole del poeta Montale: «Un imprevisto è la sola speranza».
L’imprevisto è accaduto in un modo che non avrei potuto immaginare e che mi ha sorpreso ancora una volta: tra noi c’era una Presenza all’opera e il “sì” di ragazzi e adulti ha assecondato l’azione di un «Amico grande grande».
Lo hanno raccontato i ragazzi stessi durante il viaggio di ritorno, sottolineando come quello che hanno vissuto sia stata un’esperienza «straordinaria» che ha «sorpreso e stupito”, «più di quello che immaginavo», come diversi hanno detto. Tutti hanno descritto la «bellezza dell’essere insieme», dalla «sorpresa per la presenza di tanti amici», da parte di chi non si aspettava questa partecipazione, fino al giudizio di chi, incerto se venire o rimanere a casa, ha riconosciuto la «convenienza» di aver accettato la sfida, avendo «guadagnato moltissimo» nell’esperienza vissuta al campeggio.
Una ragazza ha raccontato di come sia stata colpita «dal camminare insieme nelle passeggiate in montagna», testimoniando come la fatica del cammino trovi il suo significato e il suo gusto nella «bellezza della meta» che si raggiunge.
Si tratta di una questione decisiva per giovani e adulti: la scoperta che ciò che rende bello e intenso il cammino della vita è l’esperienza della bellezza che riempie il cuore e dà significato ad ogni passo.
Ogni ragazzo ed ogni adulto ha potuto fare la verifica personale della proposta di Cristo in una compagnia guidata, dal momento di preghiera iniziale della giornata ad un modo diverso di stare insieme e di guardarci gli uni gli altri, sperimentabile nel gioco, nelle passeggiate, nell’avventura dell’arrampicata e della canoa sul lago, nelle sfide a numeri con le pile nelle serate, fino al tifo per la nazionale di calcio e alla Santa Messa, celebrata insieme circondati dalla bellezza delle montagne.
Ognuno ha potuto sperimentare se si è più liberi seguendo qualcuno o affermando sé stessi, se si è felici accontentandosi di cedere all’istintività o se vale la pena impegnarsi in un cammino guidato.
Lo descrive bene un adulto, che ha voluto partecipare accompagnando i due figli, sottolineando, con grande stupore, come la proposta del campeggio abbia «reso ogni momento, un MOMENTO». «Un pasto, una passeggiata, un gioco, un canto, una preghiera, un urlo, una partita a numeri nel bosco, rappresentano quel famoso MOMENTO».
Il suo racconto mette in evidenza come il problema educativo non riguarda i giovani ma gli adulti. Non abbiamo organizzato delle attività per i ragazzi, ma abbiamo proposto, innanzitutto a noi stessi, l’esperienza che desideravamo comunicare ai più piccoli. Non è ragionevole seguire chi organizza cose belle per altri – se facessimo solo questo, non saremmo diversi da coloro che strumentalizzano i giovani per vendere i propri prodotti – ma chi mette in comune ciò che riempie la propria vita.
Io sono personalmente grato e commosso per come tutti gli adulti presenti al campeggio si siano messi in gioco personalmente, a partire dalla provocazione iniziale: «è possibile rinascere quando si è vecchi?» (cfr. Gv 3,4). Me ne sono accorto quando un’altra mamma presente, che aveva voluto accompagnare le proprie figlie, coinvolgendosi nel gioco con i più piccoli ha espresso tutta la propria felicità per l’esperienza che stava vivendo.
Occorrono adulti che siano i primi a seguire, disposti a lasciarsi stupire e a verificare nella propria esperienza ciò che si vuole comunicare ai più giovani, come ancora il nostro amico racconta, fino a scoprire che non bisogna aver paura di sfidare i nostri ragazzi con una proposta esigente.
È il cuore dei giovani e di noi adulti ad essere esigente: il cuore chiede tutto e per meno di questo non vale la pena essere insieme. Lo stesso amico conclude così il suo racconto, con una proposta che è per tutti, laica ed umanissima: «quest’esperienza bellissima è consigliata a tutti coloro che vogliono farsi qualche domanda».
don Roberto

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UNA SOVRABBONDANZA DI VITA

Leggi l'articolo di don Roberto sull'Osservatore Romano di sabato 12 giugno:

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2021-06/quo-131/una-sovrabbondanza-br-di-vita.html

Per
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